RONDINI - Melania Valenti - Visioni, scuola e poesia

 

Melania Valenti


Visioni. Amo i visionari, sono visionaria fino al midollo e, sì, questo è il lato di me che amo di più. Perché è ciò che ha resistito, ciò che, fedele, mi accompagna nonostante le intemperie, nonostante tutto e tutti. Nonostante, spesso, anche me.

riporto la definizione:

Visionàrio agg. e s. m. (f. -a) [der. di visione]. – 1. Che ha delle visioni, delle apparizioni soprannaturali o delle allucinazioni visive: un santoneun fanatico v.un soggetto paranoico v.una ragazza psichicamente labile e v.; come sost.: un v.una visionaria; i v. hanno spesso il ruolo di angeli nella letteratura2. estens. Che immagina e ritiene vere cose non rispondenti alla realtà, o elabora disegni inattuabili; sognatorepoliticiriformatori v.; e come sost., essere, o essere considerato un v.una v.come puoi credere a quel visionario?[1]

Sognatore, quindi, è il visionario. Di sogni invisibili ai più, di progetti ritenuti dagli altri irrealizzabili. Politici, riformatori, esseri di pace, donne e uomini che per la loro visione del mondo hanno spesso sacrificato la vita e molto spesso non sono giunti a vedere realizzati i propri progetti di una esistenza sognata. 

Ma dove saremmo, senza quegli uomini e quelle donne che sono stati capaci di avere un cuore e una vista lunga oltre il proprio tempo? Quanto bene (e ahimè quanto male) è stato profuso e si è generato da menti che in vita hanno sofferto per le loro idee visionarie?

Che mondo sarebbe, adesso, senza le parole e le idee di Martin Luter King




che diede la vita e infiammò il futuro non solo degli afroamericani di allora, ma del mondo tutto. O senza le azioni di donne che hanno cambiato la storia, da Rosa Parks[2] a Mary McLeod Bethune.

Mary McLeod Bethune, figlia di ex schiavi, quindicesima di diciassette fratelli, fu l’unica della famiglia a frequentare la scuola e a laurearsi. Da bambina, studiò presso una scuola missionaria per bambini afroamericani che, come epilogo, avrebbe dovuto portarla a partire come missionaria in Africa. Ma poi per l’Africa non partì mai, rimanendo negli Stati Uniti e diventando insegnante a sua volta, battendosi con l’esempio concreto per l’istruzione dei bambini afroamericani.

Franklin D. Roosevelt e la moglie, Eleanor Roosevelt, divenne sua amica al punto da far modificare le leggi di segregazione e sederle accanto durante la Southern Conference on Human Welfare del 1938 in Alabama. La Bethune divenne poi capo del FDR Black Cabinet, prima afroamericana a guidare un dipartimento federale, segnando la storia dei diritti civili delle minoranze[3].

Il suo metodo di insegnamento, insieme alla sua attività di analisi come consigliera politica, furono volti ad eliminare dalla popolazione afroamericana l’innato senso di vergogna e inferiorità maturate in secoli di persecuzioni e oppressione. E la sua arma fu la cultura, fu l’istruzione, trasmessa mediante l’insegnamento.  

Insegnare a scuola è un privilegio, ne parlavo ieri con i genitori di alcuni alunni e alunne. È una fortuna, l’unica rimasta nel mondo a scatafascio dell’istruzione italiana. È una fortuna entrare in classe ogni mattina e confrontarsi con menti ancora in procinto, con anime pure e assetate soltanto di comprensione e ascolto.

È un sogno vero, una realtà magnifica, respirare aria nuova e rinnovata, andare avanti con gli anni ma tornare ogni mattina indietro nel tempo. E per me, per la mia vita di piccola che si è ritrovata in un soffio troppo avanti, una fortuna, frutto di sacrifici in età matura, di una visione, appunto. In cui ho creduto, a dispetto di molti e molto. E rinunciando al riposo, al sonno, alla serenità. Ma per qualcosa di più grande, nel mio piccolo: per la libertà di poter dire che non c’è età per realizzare la propria visione del mondo. Iniziando dalla propria vita.

 

Papà, radice e luce, portami ancora per mano
nell’ottobre dorato del primo giorno di scuola.
Le rondini partivano, strillavano:
fra cinquant’anni ci ricorderai.

Maria Luisa Spaziani

Papà, radice e luce, ne I fasti dell'ortica, Mondadori, 1996

  (La poesia della Spaziani letta da Sergio Carlacchiani)


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