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Filippo Golia (disegno di Marco Petrella)
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A lungo ho inseguito Maria Pina Ciancio, prima di incontrarla. Dovevo parlare con lei perché era stata amica di Assunta Finiguerra, una poetessa dialettale lucana su cui ho scritto una biografia, o forse un’inchiesta letteraria (che ancora galleggia in cerca di un editore).
Lei e Maria Pina Ciancio si erano conosciute alla fine degli anni 90, si erano frequentate, lo attestavano alcune fotografie trovate in rete, che mi avevano incuriosito molto.
Speravo che, incontrandola, avrei ricavato molte informazioni e novità utili per il mio racconto.
Eppure mi sembrava così remota. Anche la poesia che campeggia sul suo sito:
Mi abitano i paesi spopolati
e il vento
la luce che scorre in un istante
e frana nella crepa dei calanchi
nella carne
Molto bella, mi suggeriva subito una lontananza e un’irraggiungibilità, come anche i brevi cenni biografici, la nascita in Svizzera e le origini lucane, l’esistenza raminga ma “alla scoperta di luoghi interiori”.
In quella prima poesia che ho letto, avevo notato un’armonia esteriore ed interiore, infranta da un particolare: quel “nella carne” che non fa parte di nessuno dei due paesaggi e spezza l’equilibrio appena raggiunto, facendolo precipitare nell’inquietudine.
E lo è stata, remota.
Credo ci siamo trovati circa un anno dopo che ero riuscito a contattarla per la prima volta: nel frattempo avevo letto una plaquette di sue poesie, che lei mi aveva inviato: “Tre fili d’attesa”; lei aveva letto (anche ai suoi alunni, è un’insegnante nelle scuole medie) un mio racconto per bambini sul periodo del Covid; intanto avevo finito di scrivere la biografia di Assunta Finiguerra e le avevo inviato il testo e lei lo ha letto e apprezzato e tutto questo prima di incontrarci. Al momento è lei l’unica persona al mondo ad aver letto quel testo e ad avermene parlato (con molto affetto!).
A proposito della plaquette di poesie che mi aveva inviato, le avevo scritto un commento, in cui sottolineavo come, nei brevi quadri ordinati, quasi bozzetti di vita di paese, che componeva, sopraggiungesse sempre una nota acuta, o molto bassa, un trasalimento, uno scarto, a incrinarne la superficie trasparente; come se al tono realistico se ne sovrapponesse un altro surreale e, forse, perfino satirico.
Dopo la festa i vecchi sono angeli
e conservano ancora il rossore del ballo
Stanno aggrappati agli orli delle case
e non dicono nulla
per un giorno si dimenticano il freddo
e la paura del sonno che non viene.
oppure
C’è un tempo irreale qui
che comincia con la neve
e finisce a quaremma
con la strada che si asciuga
e i cani impazziti che rincorrono
il pallone di Antonella
Ecco, quel “pallone di Antonella” è un precipizio, venendo da un orizzonte pacificato che scavalca addirittura le stagioni, improvvisamente capitomboliamo fin troppo vicini ad Antonella, che per noi, del resto, non è nulla. Un po’ come l’ultimo verso negli haiku, che sposta tutta l’attenzione del lettore (o del poeta?) altrove. È come la “carne” nell’altra poesia.
E insomma, prima di incontrarla, Maria Pina Ciancio, tra la doppia origine, lucana e svizzera, la vita raminga, le poesie rarefatte ma con quella punta acuminata, e il lungo apprendistato necessario per arrivarle vicino, mi ero fatto l’idea fosse una specie di monaco zen o di santo ortodosso, e che insomma, non sarebbe stato facile avviare una conversazione.
E invece, se l’altalena che mi era sembrato scorgere nella sua poesia era di lontananza e vicinanza, quando l’ho raggiunta nel paese fuori Roma dove vive, è stata di gran lunga la vicinanza che l’ha spuntata.
Ho incontrato una donna espansiva, che aveva voglia di chiacchierare.
Aveva un po’ di febbre, quel giorno, mi ha detto, ma non voleva darmi buca all’ultimo momento (e dopo tanto tempo), quindi per parlare abbiamo cercato un posto dove non ci fossero correnti e alla fine ci siamo seduti sotto un colonnato, nel patio di un bar, e, come al solito in queste occasioni, si è rivelato il luogo più ventoso di tutto l’alto piazzale di quella cittadina aerea; dunque, ero un po’ preoccupato per lei.
Maria Pina mi ha parlato a lungo di Assunta Finiguerra, con molti particolari, partendo da ciò che avevo già scritto e che lei aveva letto. Ma mi ha raccontato anche di sé, soprattutto del suo rapporto difficile col padre, operaio emigrato in Svizzera. Questo, del rapporto con un padre difficile, e ancora legato a una tradizione patriarcale, era un tratto che la accomunava ad Assunta, e ne abbiamo discusso.
Ero stupito di trovarmi di fronte a quella concretezza e ad una fisicità che raccontava la stessa storia delle parole. Osservavo e mi colpivano i suoi polsi, che mi erano sembrati più forti di quanto ci si aspetterebbe in una donna, e ora pensavo che dovevano essere i polsi del padre.
Mi sono procurato un altro suo piccolo volume di poesie. Mi è arrivato a casa “Il gatto e la falena – frammenti e poesie scelte 1996-99”.
Di nuovo quei nitidi e bellissimi paesaggi (spesso lucani) interiori:
È d’argilla
questa mia malinconia
che si asciuga
in fondo al cuore
dove ogni notte
traccio stelle di sabbia
sull’orlo (incerto)
dei calanchi
Qua e là un dolore più accentuato; sempre quel sentimento orientale, quell’aura breve e giapponese:
Questa notte
è un varco d’ombra
dove scivola argenteo
il guinzaglio della luna
In diverse poesie mi è sembrato di sentir serpeggiare quello che definirei lo “stigma paterno”:
Parlatemi sottovoce
con parole sussurrate
perché chiara e breve
è la notte
dell’avvoltoio in agonia
Ma solo in una ho trovato nominato un “padre”, che non necessariamente è quello biografico:
Ora che il volo è basso
e il vento ferisce la terra
ora padre si disperde
a mezz’aria
il grido dello stormo
Ma soprattutto mi è sembrato di sentire, a orecchio, un’altra cosa nelle poesie di “Il gatto e la falena”: una memoria di Sandro Penna, alcuni suoi motivi sparsi e, ritrovato due volte quasi identico, il celebre verso:
Ed io non mi ricordo più chi sono
Su questo ho sentito i dubbi di Maria Pina Ciancio: all’epoca in cui ha scritto quei versi aveva letto soprattutto poesia americana. Certamente non Penna!
Eppure, anche lei ha ammesso che qualcosa, oggi, pensando a Penna, può tornare e trovare un senso.
Ma non serve necessariamente aver letto: in poesia esistono dei luoghi, che ci si può trovare a frequentare, o ad aver frequentato, a prescindere da ogni lettura.
Mentre l’influenza di Rocco Scotellaro è ovviamente onnipresente e dichiarata, Sandro Penna qui sembra un’eco, forse legata a quel precipizio nell’inquietudine (e nella carne), segnalato fin dall’inizio.
Quindi devo confermare che non è stato facile, ma è stato bello, inseguire Maria Pina Ciancio; lei e la sua poesia, una delle cui cifre è, forse, una ricercata e sofferta (molto sofferta) elusività.
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Maria Pina Ciancio, di origine lucana, è nata in Svizzera nel 1965. Trascorre la sua infanzia tra la Svizzera e il Sud dell’Italia e oggi vive nella zona dei Castelli Romani.
Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica. Tra i suoi lavori ‘Il gatto e la falena’ (Premio Parola di Donna, 2003), ‘La ragazza con la valigia’ (Ed. LietoColle, 2008), ‘Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro‘ (Fara Editore 2009), ‘Assolo per mia madre’ (Edizioni L’Arca Felice, 2014), ‘Tre fili d’attesa‘ (Associazione Culturale LucaniArt 2022), D’Argilla e neve (in corso di stampa). Nel 2012 ha curato il volume antologico ‘Scrittori & Scritture’ – Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani. Nel 2023 per le Edizioni Macabor ‘La scrittura che rivela‘.
Suoi scritti e interventi critici sono ospitati in cataloghi, antologie e riviste di settore. Recentemente è stata inserita nelle collettive: ‘Orchestra’ (a cura di Guido Oldani) LietoColle 2010; ‘Il rumore delle parole – 28 poeti del Sud‘ (a cura di Giorgio Linguaglossa), Edizioni EdiLet 2015, ‘Sud – Viaggio nella poesia delle donne‘ (a cura di Bonifacio Vincenzi) Edizioni Macabor 2017, ‘Il sarto di Ulm, Bimestrale di poesia’, Macabor Editore, luglio-agosto 2020, ‘Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020′ (a cura di Mario Fresa), Società Editrice Fiorentina 2021.
È presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt e su internet cura lo spazio web
lucaniart.wordpress.com
Nell’agosto del 2023, al Festival Internazionale di Poesia in Versi, in occasione del Premio Nazionale di Poesia “Calabria-Veneto” I edizione, le è stato conferito il Premio alla Cultura per la poesia.
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