PLANCTON - Silvia Longo - su “Passi Nel Passato” di Angela Caporaso, Asatami Legesse Editore

 

Silvia Longo


La bellezza nell’impermanenza e la bellezza dell’arte, che permane.




Ho tra le mani Passi nel passato”, plaquette di Angela Caporaso uscita lo scorso agosto per Asatami Legesse, “microeditore senza utile, distribuzione né periodicità”, come mi racconta Dario Roberto Dioli, ideatore dell’iniziativa.

Asatami Legesse significa Editore Legesse, in lingua amarica”, prosegue. “E Legesse è il nome che, come da tradizione, ho ricevuto dalla mia famiglia quando ho sposato Zewditu, che ho coinvolto per realizzare a mano queste plaquette, soprattutto quelle di poesia lineare per le quali Zewditu cuce delle cornici che sembrano stampate: è una sarta, e il progetto è nato così, spontaneamente, in famiglia. Fare qualcosa insieme alla persona che ami è bello, e altrettanto lo è stato coinvolgere altre persone, voci diverse a volte confinate in una nicchia, mettere in contatto, tenere la porta aperta. In un mondo caratterizzato dalla polarizzazione è bello riaffermare che siamo tutti diversi e dare spazio alla poesia visiva.  Non abbiamo collane. Siamo partiti con un numero zero (da noi non esistono numeri uno). A oggi abbiamo stampato una decina di titoli, e ogni uscita è per me un piccolo sogno di collaborazione con autori che amo.”

“Passi nel passato” è dunque una pubblicazione artigianale, nata dalla collaborazione tra Dario Roberto Dioli e l’artista Angela Caporaso. 20 copie assemblate a mano, firmate e numerate (la mia è la n.6). Un piccolo gioiello di poesia visiva e manifattura: un libriccino in carta da acquerello 300 gr/m2, ruvida a fronte e liscia sul retro - che invoglia i polpastrelli alla carezza - rilegato con un cordino nero più volte annodato. Colpisce da subito l’essenzialità, il dire denso della Caporaso. Al centro, una sua poesia recita:

“Puoi farlo solo col pensiero

ritornare ad un immutabile passato.

Impossibile riscrivere il già scritto”.

La coerenza con il titolo è evidente, per stile e contenuto, poiché già da esso, “Passi nel passato”, emerge l’intenzione dell’autrice a coniugare diverse forme d’arte. L’allitterazione è ricerca di suono: musica, dunque, percepibile in questo caso come qualcosa di sussurrato, un’indicazione di dinamica scritta sotto il pentagramma a suggerire una intensità di piano. E i concetti espressi confermano l’intendimento alla poesia e la riflessione sul tema centrale dell’opera intera: il tempo, quello definito da unità di misura, inteso come rappresentazione e organizzazione di eventi in base alla loro successione e alla durata. Ma se il titolo suonava in qualche modo come una promessa – viaggeremo indietro nel tempo – la poesia afferma il contrario. Non ci si può spostare fisicamente a ritroso, in senso cronologico, ma soltanto con il pensiero. Né si può riscrivere il già scritto, su quella linea retta con la quale studiamo la Storia, mentre viviamo la nostra.


Nella pagina accanto, una tavola realizzata con tecnica mista: forme (geometriche o più sinuose, dal triangolo al cerchio, passando per la spirale), colori (che da tenui, pastello, virano a tinte più scure: spicca un quadrato, al centro dell’opera, che ricorda il monitor di un computer o una lavagna, qualcosa insomma sul quale è possibile scrivere e cancellare), caratteri alfabetici minuscoli e maiuscoli, spesso ripetuti in sequenze, come a suggerire un pensiero insistente, o qualcosa che somiglia a un richiamo. E un riquadro bianco, in cui compare un brandello di testo, come lo si fosse strappato da un libro. La frase è volutamente lasciata incompleta, sebben alcune parole siano intuibili: “contatto”, “lassù” o “quassù”, “dietro”, “rifugiarsi”. Nella sezione sinistra, in basso, pare di intuire una figura umana stilizzata: le gambe rivolte a sinistra, come stesse camminando verso il passato sulla già citata linea retta del tempo, e il corpo rivolto a destra, in una sorta di torsione. Me ne è venuta una sensazione struggente: ciascuno di noi è costantemente in bilico tra le dimensioni cronologiche della propria esistenza terrena, messo alla prova dalla malinconia per il passato – da una parte – e dall’altra necessariamente sospinto verso il futuro. A volte è difficile comprendere il punto di cesura, nel nostro tempo, tra ciò che si conclude e ciò che invece sta iniziando, forse perché non esiste davvero demarcazione netta tra ieri e oggi, ma il tutto sussiste e muove in continuità, di giorno in giorno, di causa in effetto, di seme in frutto. In evoluzione.

Credo infatti che la cifra di un artista risieda nello studio, nella ricerca e nella sperimentazione di modalità espressive diverse, nella capacità di reinterpretare i canoni estetici oggettivi utilizzando quelli personali, in una sorta di laboriosa rielaborazione, di un’indagine – per certi versi filosofica e per altri esistenziale – sulla condizione umana; nella forza della reinvenzione costante del pensiero e del linguaggio, che si deve plasmare e adattare alle circostanze del vivere attraverso gli anni. Perché questo è il perno sul quale si avvita il significato di “Passi nel passato”, una sorta di Recherche che trova in se stessa spunto e compimento. Instillando nel fruitore un’inquietudine che però si scioglie nel suggerimento di lasciar andare il passato e di accogliere ciò che verrà.

L’esperienza immersiva in questa opera mi ha donato momenti di bellezza. Mi ha rimessa in contatto con l’universo di Angela Caporaso, artista che seguo da molto tempo - con la quale ho avuto l’onore di collaborare - della quale apprezzo l’ecletticità, l’impegno civico, la libertà di pensiero e aggregazione, che la portano a confrontarsi e interagire, a esperienze nuove. Come questa, con “Asatami Legesse” di Dario Roberto Dioli, che ho avuto il piacere di conoscere grazie a Angela Caporaso. Con sincera gentilezza, egli ha condiviso con me il senso del suo persistere nell’arte e il significato del nome che ha ricevuto per amore, quando si è sposato con Zewditu, e che per amore ha attribuito alla sua editrice: “Legesse è un nome nobile di colui che dona e si toglie qualcosa che possiede, senza nulla volere in cambio. Non attende che gli si chieda qualcosa. Dona prima”.

E non è forse questa, l’essenza dell’arte?


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Silvia Longo lavora nel sociale. Ha collaborato con blog, riviste e webzine a tema letterario e scritto testi di canzoni, introduzioni per allestimenti artistici, commenti a opere musicali, prefazioni (o postfazioni) per libri di narrativa e poesia.

Ha pubblicato il romanzo “Il tempo tagliato” (Longanesi, 2012).

Suoi racconti e poesie sono presenti in diverse antologie (Sperling & Kupfer, Liberodiscrivere, Caffèorchidea, Magnum-Edizioni).


Commenti

  1. Scritto letto stamani pare confermi / mia intuizione di vecchio morituro / non gladiatore ma reduce di vita / consumata per scelte scellerate e / ontologico assetto di somma darwiniana /e biblica mano, facciamo poesia / perché invidiamo il teatro e attori e attrici, / perciò leggiamo i versi e li pubblichiamo, / richiamo dell’ applausi che dica che / viviamo e sappiamo il sipario alla / fine, il confine ci perseguita dal / primo vagito e ci conforta talvolta / apprendere che altri insistono a / sopportare il silenzio della gente, noi / stessi gente che non contiamo niente! (Mi fermo qua, scusatemi, sono Luigi nespoli e non fa niente se non mi dedicate un coccodrillo)

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