LA STANZA DEI DESIDERI - Ivana Rinaldi - Simone Weil Joë Bousquet, Corrispondenza

 

Ivana Rinaldi


Il breve e intenso carteggio tra Simone Weil e il poeta Joë Bousquet è un concentrato di bellezza, amicizia, sapienza. La vita della giovane pensatrice, nel 1942, un anno prima della sua morte a soli 34 anni, si incrocia con il triste destino del poeta di Carcassonne, mutilato della prima guerra – una pallottola lo aveva colpito alle spalle e per questo costretto all’immobilità e al dolore mitigato dall’oppio. Il loro unico incontro era avvenuto in una notte di marzo del 1942, a Marsiglia. Simone si trovava lì in attesa di partire per New York, dove avrebbe accompagnato i suoi genitori. E diede vita a un’amicizia trasparente e ricca di desiderio – non sapremo mai se erotico o intellettuale o entrambi. Di sicuro il loro fu un dialogo in cui riversarono se stessi: l’uno martoriato dalla sofferenza fisica che proiettava nella poesia le sue angosce “poète malgré lui”, e la pensatrice che volle provare tutte le esperienze, da quella della fabbrica alla guerra, volontaria in Spagna nelle Brigate Internazionali, resistente durante il conflitto mondiale: un’anima torturata dalla sventura del genere umano.

Nel loro dialogo che si snoda nell’arco di alcuni mesi, essi trovarono solidarietà e conforto intellettuale. Simone Weil, che nel Sud della Francia collaborava ai Cahiers du Sud, pensava alla creazione di un corpo volontario di crocerossine da inviare al fronte, chi meglio del poeta della miseria avrebbe potuto aiutarla. Di lui probabilmente aveva letto il romanzo autobiografico Traduit du silence e anche per questo volle conoscerlo. In Italia, dove aveva trascorso un breve periodo, Simone aveva sviluppato la sua vocazione per la poesia, che coltivava sin da bambina (Simone Weil, Cinque lettere dall’Italia a J. Pasternak, primavera 1937, in Nuovi Argomenti, maggio-giugno 1953, pp. 80-103). In quella notte di marzo i due rimasero insieme fino all’alba, lei distesa su una stuoia per poche ore, lui nel suo letto da infermo. Fu il preludio della loro amicizia, un sentimento che accompagna tutto il percorso intellettuale e spirituale della filosofa: “L’amicizia deve essere una gioia gratuita come quella che dona l’arte e la vita (...). L’amicizia non deve guarire le pene della solitudine, ma duplicarne la gioia”. (I Quaderno, pp 148-156).

Difficile affondare lo sguardo in un epistolario così profondo in cui ci guida il curatore del volume, Adriano Marchetti. Nel confronto serrato di due anime nobili rimane la distanza di essere due e non uno, “due creature distinte”, una perfetta contraddizione che ha il potere di un reciproco riconoscimento, di un’attrazione amorosa, ciascuno nella verità del proprio essere” (A. Marchetti, p. 74). Tanti gli argomenti di cui Simone Weil e Joë Bouquet scrivono: dall’amicizia al dono: “Considero tale attenzione come un dono gratuito e generoso da parte sua. L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono. Creda nella mia amicizia” (p.15) conclude Simone.

In risposta Joë rivela di essere coinvolto in questa avventura avvincente dal principio alla fine: “Sono estremamente felice di conoscerla. Credo nella nostra amicizia. Più di chiunque altro lei potrebbe aiutarmi a distruggere quel che in me rimane di non evoluto, di ereditato (p.17). Credo stranamente che esista un oggetto da offrire al pensiero affinché l’anima abbia in questo mondo un centro di gravità (.....) Forse cerco solamente la felicità e l’oblio della morte (p. 18). Morire solamente quando ci fosse per sempre la felicità. Si è felici solamente per il modo che si ha di essere ospiti di se stessi” (p. 1 9).

Nel corso del loro scambio epistolare si snodano due figure retoriche: il “guscio da rompere” per Simone, per uscire dalla tenebre dell’uovo alla luce. Svelare, svelarsi, come l’Amore. L’Amore che è Dio stesso e che abita nel profondo di ogni essere umano. Pensare alla sventura, portarla nella carne come un chiodo, affinché il pensiero abbia il tempo di temprarsi e guardarla. Joë Bousquet, in questo processo iniziatico fa riferimento al labirinto. Il labirinto è un simbolo della peregrinazione dell’anima, delle prove che deve superare di volta in volta per giungere a un ordine immutabile. “La bellezza del mondo è l’orifizio del labirinto”.

In questo dialogare secondo “mania”, secondo una passione amorosa, in cui l’istante non è più tale, avviene la scoperta dell’altro/dell’altra.


Simone Weil Joë Bousquet, Corrispondenza (a cura di Adriano Marchetti), SE, 1994


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