FIGLI DI VENTIDUE STELLE - Sergio Daniele Donati - Alzare lo sguardo al cielo dell’etica

 

Sergio Daniele Donati

Giochiamo assieme con la serietà irrinunciabile di un famosissimo detto kantiano. Vi va?

Dice il grande filosofo “la legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me”.

Eppure sappiamo di quanto lo spazio interno ed esterno siano concetti del tutto relativi.

Il cielo che noi vediamo come a noi esterno è, visto da altra galassia, l’interno minuscolo di un Universo che ride.

E gli organi, le pareti del nostro stomaco ad esempio, non sono forse per i microbi che le abitano il cielo stellato a cui rivolgono i loro desideri di elevazione etica?

Allora per gioco, immaginiamo di avere un ventre che contenga stelle, pianeti e satelliti e che, quando alziamo il nostro sguardo timido verso un alto, che è anch’esso relativo, esso colga un canto, un canto etico, fatto di parole e inni e passaggi in minore che ci ricordano la potenza del piccolo.

La poesia può farlo, sapete, questo scambio, questo changement de point de vue, anzi è uno dei suoi giochi preferiti, mescolare le direzioni, confonderci, portarci ad una visione delle cose che non sia troppo lineare, perché la linea è un’astrazione in natura, ove tutto si esprime per curve e piegamenti.

Abbiamo bisogno di un’etica anche fuori di noi, e non solo sopra perché ethos è sempre relazione e non possiamo vivere quella legge se non “in relazione con”.

E abbiamo bisogno di stelle dentro di noi, non si offenda Kant  - è col massimo rispetto ed amore per il suo pensiero che per celia sto scrivendo queste cose - , perché in noi si accorcia la distanza e le stelle/sogni interiori non sono frutto di una visione illusoria che ci fa percepire luce da astri magari già scomparsi da millenni.

La stella interiorizzata, come simbolo della potenza del sogno di un cielo di etica che ci avvolge e ci ricorda sempre del nostro bisogno di relazionarci.

D’altronde William Shakespeare, fonte inesauribile di ispirazione, ci dice chiaro: siamo fatti della stessa materia dei sogni.

E se la legge etica è dentro di noi, come sostiene Kant, allora di sogno è composta. Ma quale sogno, se non quello di saper decifrare tessiture e testi, di porci con lo sguardo ad un firmamento fatto di caotiche lucine cui noi, proprio in virtù del nostro anelito all’ordine, riusciamo a spiegarci tracciando linee immaginarie: le costellazioni.

Sogno e ordine, sogno e legge etica sono connesse.

E se, giocando come si faceva all’inizio, si immaginasse la legge etica come pneuma che ci avvolge e dentro di noi la potenza del cielo stellato, il risultato non cambierebbe forse molto, giacché anche la tessitura di quella legge, il suo testo, composto di lettere alle volte indistricabili, indecifrabili, viene da noi interpretato e fatto oggetto di una ermeneutica, sulla base del sogno della comprensione.

Siamo incapaci, ed è un bene che sia così, di guardare all’infinitamente grande e all’infinitamente piccolo, senza porci il tema del significato, dei perché, del senso.

 

Una siepe/firmamento è sufficiente a Giacomo Leopardi per naufragare nel sogno del tempo, delle stagioni, della dolcezza dell’essere presente a sé stessi.

Un limite di visione che quella siepe gli dona, gli permette di percepire l’interiorità di una negata immediata percezione e comprensione delle cose, lo trascina altrove.

E il dentro e il fuori sono solo concetti relativi per chi, ad esempio, si sia rivolto agli antichi testi sacri.

D.o dice ad Abramo: “Vai via lascia la casa dei tuoi padri, i tuoi armenti, per andare nella terra che io stesso ti indicherò”.

Quale più grande incertezza si può creare in un uomo se gli si chiede di abbandonare tutto senza indicargli subito la destinazione, quale fiducia gli si impone di avere in una voce che egli stesso vive allo stesso tempo come interiore ed esteriore?

La risposta è nelle prima due parole. Quel vai via in ebraico si dice Lech Lechà e significa sia, appunto, vai via, che vai verso te stesso.

Ogni viaggio è allo stesso tempo esteriore che interiore, gli sta dicendo la voce.

Così, giocando, ma con la serietà dei giochi dei bimbi, il dentro e il fuori kantiani possono essere scambiati senza per questo far perdere senso e sogno al nostro muoverci in un mondo (interiore ed esteriore) da decifrare, in una tessitura/testo preziosa che dovremmo trattare con la delicatezza del sarto di paese, evitando strappi e ponendo fili d’oro sui suoi orli forse un po’ slabbrati.

 

In ogni caso dal nostre essere ermeneuti e interpreti di quella tessitura non possiamo fuggire, possiamo, al contrario, mostrare la comprensione di un gioco che in noi si manifesta sin dal primo respiro.

Una piccola mia poesia e un abbraccio a voi lettori.

 

Chi sono io?

Chiedilo allo specchio rotto.

Chi sono io?

Chiedilo alle stelle

Chi sono io?

Chiedilo alla voce che ti abita.

Chi sei tu?

Il tessuto sacro su cui ti muovi,

spinto dal Sogno che dà vita

ad ogni tuo respiro.


Commenti

  1. Questa cosa degli universi interiori la penso un sacco anch’io. L’universo dentro e il micelio fuori, far parte di qualcosa che addirittura sfugge per la sua enormità… grazie Sergio!

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  2. Sergio, il tuo contributo sembra legato con filo invisibile a tante delle nostre vite.
    Viaggiare per ritrovare il nostro essere interiore.
    Vivere per riconoscersi.
    E in tutto questo il Sogno che permea la realtà. Credo che sogno e realtà non siano sempre in antitesi e che bisognerebbe cercare quel filo sottile che li unisce.
    Grazie immensamente 🙏
    Annalisa (attenta lettrice del sabato mattina)

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  3. Non puó che essere così...
    Un firmamento fuori che spinge con la sua eterna potenza a rivolgere lo sguardo dentro. Mi sembra di saperlo da sempre anche se ogni volta lo dimentico.

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