ORDITI - Anna Rita Merico - Eugenio Borgna e la memoria del cuore

 

Anna Rita Merico

Guardare tutti gli angoli e gli spifferi da cui entra la poesia, benevolo vento che trasforma il nudo dell’esperienza in parola. Guardare tutti gli angoli e gli spifferi da cui entra la follia, parente stretta della poesia, a essa intimamente accomunata da mistero d’indicibile.

Ne ha fatto arte di ciò un Maestro dell’ascolto: Eugenio Borgna.[1]

Dovessi immaginare la scrivania del suo Studio, la vedrei sovrastata dalle carte di condizioni umane ineliminabili da lui attraversate con impareggiabile sapienza. Tristezza, emarginazione, speranza, silenzio, attesa, disperazione, preghiera, isolamento, segreto, nostalgia, indifferenza, angoscia, desiderio, solitudine, dolore. Immagino carte vergate minuziosamente a mano con inchiostri colorati su carta avorio, come preziose duecentine del pensiero affinate dal tempo dell’ascolto e dall’arte dello snodare intrichi ed intrighi di vita. Con il suo lavoro attraversa lo scacco esistenziale e ne trae giade sprofondate lì, ferme nell’attesa di emergere. Levatore di mistero, il Maestro ne concerta sintassi e -mai- un libro è uguale all’altro. Un libro, dunque, un racconto, una vita.

Con fare funambolico tocca corde dell’essere interrogandole attraverso la voce di autrici e autori che, talvolta inconsapevolmente, ne hanno lasciato scoccare verità. La sua è una lenta meta lettura di testi letterari e non solo. Egli li accomuna e li spaia a seconda di ciò che sente emergere dal suono di un budello di corda per uno strumento che è l’animo umano. Il suono da lui prodotto è radicale, preciso, attento. È suono originato dalle ragioni del cuore e, pertanto, il suo rimbombo è adamantino, avvezzo alle metamorfosi. Il suo tessere tira spola tra poesia, forme espressive e psichiatria investendo tutte le vibrazioni delle archeologie della solitudine ossia tutte le vibrazioni dell’ascolto dell’infinito che è in noi.

Ne La solitudine dell’anima[2], Eugenio Borgna dice della solitudine attraverso la nordica dimensione del cinema di Bergman. Sussurri e grida del 1971. Borgna riposiziona il film attraverso l’acume del suo occhio avvezzo a scandagliare i fondi segreti del dolore: ne lascia emergere verità luminose.

L’inondazione di rosso scarlatto nelle scenografie di Sussurri e grida, torna a noi come un interno d’anima scandagliato al microscopio. La lettura di Borgna ci consente di ri-attraversare mentalmente scene cardine di questo film. Ritroviamo, nei contrasti del bianco-rosso, nella stanza in cui Agnese è allattata e durante gl’ indimenticabili movimenti della m.d.p. che riprendono l’allattamento al seno offerto dalla governante Anna, lo spazio non-luogo dell’anima ferita. Negli spazi interni della villa si delinea il ruolo delle sorelle, Karin e Maria: entrambe ritratte nella loro incapacità di saper vedere-leggere bisogni, timori e tremori espressi da Anna. Vera protagonista della trama è l’assoluta freddezza e cesura dei legami di sorellanza, da essi è facile risalire ai vissuti di incapacità di cura materna da cui le tre figlie provengono come luogo arcano e innominabile. La lettura di Borgna ci trasporta nel dentro delle scene girate da Bergman, svelandocene un profondo che trasforma il nostro sguardo: ciò che appare è la vita arcaica delle tre sorelle in fase neonatale e prenatale e quella stanza in cui campeggiano il rosso e il bianco, diviene tavolozza in cui si muove il circolo negato del sangue e del latte, che alimenta relazione primaria di attaccamento al mondo. Lo svelamento delle origini in cui le crepe avvengono, minando il tessuto del contenimento, rappresenta uno dei fini degli attraversamenti di Borgna.

L’ascolto di Eugenio Borgna genera lezioni di visione e di consapevolezza trasportando la poesia dell’esistenza in un luogo di profonda com-passione e solidarietà per l’umano e le sue fragilità.

La linea della malinconia che s’allarga ed invade l’esistenza di Antonia Pozzi, malinconia pervasa di tristezza, una sostanza inafferrabile e potente quanto la sua poesia e la sua scelta fatale di interruzione della propria esistenza. Poesia e abisso uniti. Entrambi convergono nella scrittura di Antonia Pozzi. Una scrittura sempre avvinghiata ad un lirismo estremo come onda capace di raggiungere vertici di altezze e fragilità estreme di estenuazione nel sentire. Esperienza del tempo, della nostalgia, della speranza, dell’inimmaginabile s’affastellano intorno alla resa di stati emotivi temerari quando toccano il gelido sfrangiato e mai, in lei, armonizzato, della relazione tra arte e vita. Dice molto di Antonia Pozzi, nella lettura che ne fa Borgna[3], il significato della immedesimazione-proiezione di Pozzi nella figura di Tonio Kröger (Thomas Mann, 1929). È personaggio in cui struggimento, rimpianto, sensibilità segnano la relazione impossibile tra l’idealismo della dimensione artistica e la terrestrità della dimensione esistenziale. La coesistenza di questi due poli magnetizza l’attenzione di Antonia Pozzi che vive la propria dimensione creatrice come esperienza che la isola e la separa riempiendola di rassegnazione e nostalgia. L’esperienza creatrice, per Antonia, si è arenata sulla landa sabbiosa della malinconia trascinandola nella fascinazione dell’idea della morte mentre, lo sconfinamento in esperienze allucinatorie le fanno scrivere nei Diari:

Ieri sera un angelo mi ha preso per mano. Non era ancora buio. Di là dai veli della pioggia e della sera gli alberi e le montagne erano ugualmente oscuri. L’angelo mi ha messo una mano sulle spalle, mi ha fatto salire di corsa le scale nere, fin qui nella mia stanza… mi sono alzata come da un sonno di anni, leggera come una donna che ha partorito. Ho aperto gli occhi. L’angelo non c’era più.”[4]

Eugenio Borgna ci svezza alla visione ed all’ascolto delle interiorità ferite accompagnandoci a vedere ciò che definisce magistralmente la memoria del cuore, quella che traccia e guida le rotte verso l’approdo. Borgna ci addita l’esile spazio che separa approdo e deragliamento, invitandoci a leggere il deragliamento come parte dell’approdo e viceversa. Cerniera di ciò: la poesia in tutte le sue forme creatrici.

Gratitudine ai Maestri, disvelatori di Leggi di Vita.

 

 

 

 

 

 

 



[1] Eugenio Borgna, libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano, già responsabile del Servizio di psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara.

[2]Eugenio Borgna La solitudine dell’anima, Feltrinelli 2011

[3] Eugenio Borgna Le intermittenze del cuore, Feltrinelli 2003

[4] ivi pg. 74


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