LA STANZA DEI DESIDERI - Ivana Rinaldi - Epistolari d’amore e di altre faccende
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Ivana Rinaldi |
Catherine Pozzi – Rainer Maria Rilke, Carteggio
1924 – 1925, Non dimenticherò che mi avete teso la mano. Cura e
traduzione di Giorgio Anelli.
Postfazione di Marilena Garis, Giuliano Ladolfi Editore, 2023.
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Con questo epistolario tra Catherine Pozzi e Rainer Maria Rilke apriamo una serie di note, chiamiamole così, su alcuni scambi epistolari tra personaggi della poesia, della cultura, della politica. Uno strumento che ha contribuito a tracciare la storia delle idee ai piani alti, e spesso, l’unica modalità di accesso alla scrittura per le classi subalterne: pensiamo alle lettere degli emigranti, dei soldati in guerra, degli esiliati per ragioni politiche. Pensiamo alle lettere che un padre scrive a sua figlia, ritrovate per caso. Un padre che con la terza elementare scrive in un italiano perfetto e ricco, con note di affetto rispettoso e caldo. Fra le più grandi e significative le Lettere dal carcere di Gramsci o quelle indirizzate alle sorelle Schucht. Le innovazioni tecnologiche, specialmente dell’era digitale, hanno spazzato via, letteralmente, il cartaceo. Messaggi, chat, email, sostituiscono quello che una volta la lettera suscitava: stupore e attesa, rendendo la scrittura di oggi insipida, impersonale e sciatta. Per non dire dei danni dell’intelligenza artificiale, in grado ormai di elaborare con qualche input persino lettere d’amore.
L’epistolario tra la poetessa francese e il grande poeta tedesco è tra i più significativi e struggenti del secolo scorso. Un nugolo di lettere, solo ventitré, curate e tradotte mirabilmente dal francese, con qualche nota dal tedesco, dal poeta Giorgio Anelli: “Lettere sensibili e superbe; pregne e inorgoglite dal godimento che soltanto esse possono aver donato, in primis al grandissimo e misterioso Rilke e alla stupenda Catherine Pozzi” (Giorgio Anelli, p. 15).
E il traduttore che ne è interprete a sua volta secondo le indicazioni di Slowski ci offre una perla rara. Rilke nel 1924 si trova in Svizzera, nel Castello di Muzot a Serre Velais, per problemi di salute e, tramite Paul Valéry, entra in contatto con Catherine Pozzi, con cui il poeta francese ha una tormentata relazione. Valéry si incarica di portarle in dono la traduzione dei Sonetti di Elizabeth Barret Browning, una poeta inglese da lei molto amata. Un omaggio che Catherine apprezza esprimendo in risposta ammirazione profonda per il Poeta e i versi dei poeti tedeschi, a suo dire i migliori, “dove la lingua, le cadenze e le moltitudini di parole, rendono una musica bella”. Non è difficile condividere la sua ammirazione pensando anche ai contemporanei di Rilke, Hugo Von Hofmannsthal o Georg Trakl. Il fatto che Katherine conosca il tedesco facilita la loro amicizia velata di desiderio inespresso. “Fatemi credere, Signore, che un giorno ci incontreremo”. L’aria rarefatta della poesia e dell’ammirazione reciproca si respira nella risposta di Rilke: “Sono rarissime le lettere che (nel nostro tempo) non bruciano all’istante, ma durano nell’anima, restano, agiscono e aggiungono una presenza inesauribile all’animo del destinatario” (R.M. Rilke, p. 14). Catherine sembra affascinata dallo Sturm und Drang, molto poco parigino, ma sicuramente più coinvolgente sul piano emotivo; tanto quanto Rilke dalla cultura e dalla poesia francese.
Man mano che il carteggio si fa più frequente, è più caldo, si manifesta la gratitudine reciproca per aver sottratto l’una all’altra alla solitudine a cui la malattia li costringe entrambi: “Non dimenticherò che mi avete teso la mano” (C. Pozzi, p. 18), e in risposta Rilke. “Quanto a voi, Signora, ho promesso a me stesso di prendervi per una persona estremamente esistente e mai di scrivere una parola che possa essere indirizzata a un sogno. Cercherò.” (p. 22). Con il tempo, Catherine rivela la sua fragilità fisica, una pleurite, una polmonite, e infine la tubercolosi, che la spingono a passare molta parte dell’anno a Sud della Francia: “Sono così fragile e debole che la prossima raffica di vento, leggermente forte, sarà la più forte. Vi prego di considerarmi un sogno”. Così dal Sud della Francia si irradiano sottili onde di simpatia che molto assomigliano all’amore. La carta nasconde, come oggi la tecnologia, quei corpi che invece vorrebbero farsi vivi, per godere di un po’ di felicità.
Non mancano i riferimenti alla loro contemporaneità, a Valery soprattutto e a quelle figure che animano i salotti del tempo: “Ho qui con le mie traduzioni, il ritratto di Paul Valéry che mi aveva lasciato partendo da Sierre. Ma con quale gioia aspetto il ritratto che mi avete annunciato" (R.M. Rilke, p. 32).
Sono frequenti le richieste di consigli reciproci su ciò da fare della loro arte e specialmente di consegnarla l’uno all’altra. “Saranno questi due libri gemelli (Sonetti ed Elegie), ai quali affido la dolce missione di affidarmi a voi, carissima amica”. L’occasione è offerta dai Sonetti a Orfeo che Rilke le invia insieme a Malte con queste dediche “A Madame Catherine Pozzi/questo libro (il Malte) - già vecchio che/vorrebbe acconsentire... e allo stesso tempo/quest’altro libro (Sonetti a Orfeo) che meglio/acconsente.” Con l’invio delle sue opere, scrive Marilena Garis nella postfazione, Rilke ritorna sul verbo – acconsentire - che potrà trovare compimento nelle Elegie duinesi. Non sappiamo se mai queste arriveranno nelle mani di Catherine, ma è sicuro che tra i due intercorre un’idea diversa del tempo e della morte. Del permanente e dell’impermanente. Scrive Catherine. “Sono cresciuta con Platone e le cose che non cambiano, l’essere eterno immortale, ho imparato con tutto il cuore e con un appassionato assenso a cercare il permanente sotto le mutevoli apparenze”. Rilke deve raccontare qualcosa di sé, della sua infanzia, per cui è arrivato a separare vita e arte, a quell’assenso resiliente, a quell’abbandono al Tutto per cui vita e morte si fondono costantemente, che è l’assenso definitivo alla vita e alla morte delle Elegie. “Posso affermare che mi sento tanto eguale, mente e corpo e che, se acconsento alle trasformazioni necessarie, a tutti gli Addii che il ritmo sovrano ci impone, è proprio perché vedo la nebbia di tutti questi mutamenti farsi trasparente, grazie alla nostra fiamma che li attraversa senza mai spegnersi”.
Il 29 dicembre 1926, Rainer Maria Rilke si spegne a Val-Mont in Svizzera, rifiutando gli oppiacei nella fase terminale della leucemia, mentre Catherine gli sopravvivrà per quasi dieci anni fino alla sua morte a Parigi, il 3 dicembre 1934, per tubercolosi.
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