RUGIADE - Stefania Giammillaro su "Di padre in giglio" di Claudio Negrato

Stefania Giammillaro


Nella silloge "Di padre in giglio", di prossima uscita per la casa editrice "Le Mezzelane", Claudio Negrato ci ricorda che il primo vagito è anelito di grazia, specie quando il solstizio si declina in fulgore di nascita, colto nella sua densità etimologica: dal latino solstitium, composto da sol-, "sole" e -sistere, "fermarsi".

Il sole si ferma e dà vita.

Speravo che nascesse con il solstizio

dell’inverno, il giungere al mondo

che si specchia

in se stesso, dentro all’incipit

di candido gelo, che lascia,

che passa sopra

alle sanguigne spoglie rinsecchite.


E’ un evento, la nascita del piccolo Edoardo, immortalato e delineato in un crescendo a spirale attraverso le sei sezioni che compongono la silloge “Di padre in giglio”: E se tu vedessi quelle madri, E’ gloria il tuo nome, E tu apri e chiudi porte, Ho indossato la tua luce, Perdersi tra le sillabe e E sarà quasi sera che contiene l’ultima poesia in epilogo.

L’autore tratteggia un cammino cadenzato, che accompagna la manina nella mano, dove si intercetta, serpeggiante tra i versi, un pascoliano arrendersi, che non è solo auspicare allo sguardo del Fanciullino nello stupore primo che scopre il mondo, ma, addirittura, sembra empatizzarsi con esso, vestirne i panni, accorgersi, come in una trasfigurazione, già attuata con quegli occhi bambino:


Chissà che cosa ne sarà

della meraviglia,

del calesse che ti piglia,

trainato da pariglia di cavalli

a dondolo (uno è unicorno, per la verità),

che ti conduce nelle storie della casa,

dove nulla ti spaventa,

dove tu fai l’inchino a ogni novità,

rispetti l’etichetta e ogni formalità,

accogli ogni cortigiano, ogni gioco prediletto,

con il volto spalancato

e con il massimo rispetto.

La prospettiva proposta dal poeta, nonostante l’unicità del tema trattato, non è monocorde, ma si assesta su un approccio trasversale, a vocazione caleidoscopica, mutuando dal Manifesto di “figlio”:

E a San Giuseppe

non sai ancor chiamarmi

se non coll’incompiuto sorriso

 

e mi modelli il volto e il collo

con la carne delle mani

e con dei richiami

che sono segreti messaggi cifrati

 

appartengono al nostro mondo

 

e finché crolli nel sonno profondo

tra braccia e in riva al cuore

prima di acquartierarti nella culla

il respiro sembrerà

 

voler fremere

sortire quella doppia lallazione

che ancora sussurrar non sa

 

papà.

 

Andando a ritroso alla sua “Dichiarazione di Padre


Se cerchi il segreto del mio sguardo

se cerchi di sapere cosa mordono

i miei occhi marroni

cosa gelosamente mantengono

nella stiva del mio petto

 

allora mi dovrai togliere la stanchezza

dagli spessi occhiali dal fondo senza fine

come il fondo del caffè di tutte le mattine

e tenere le mani sulla mia faccia

 

dovrai scavare con le unghie la terra

tra i miei denti e sentirai rosicchiare

tra labbra ferite dall’amore

vocali e consonanti misere

di un padre

che ha però saccheggiato la vita

 

per poi scoprirla sul serio

tra i miei effetti personali.

 

Passando attraverso il culto del sublime nell’amore materno che, atteggiandosi quasi a contraltare di quello paterno, non conosce limiti ed irradia orizzonti, in cui perdersi nell’innata e connaturata intesa tra bimbo e mamma, quale stella polare che guida i suoi passi nel tempo dei giorni.

 

Segui la tua mamma cometa per ogni camera

come un cane fedele che ride

felice con la coda

e anche tu scodinzoli le tue braccia

per tenere il tuo equilibrio

anche se sei tutto sbilanciato

verso l’abbraccio di tua madre.

E’ una festosa allegoria di sensi e di indagini “prime”, pure, essenziali che scavano metaforicamente le lacrime come soglia della vita che transeat all’agognato porto di pace secondo i moti della Fatal quïete di Foscolo.

Questa notte

di alta febbre

la luna e le perle

sono state fuoco

incessante per te

e gli occhi anneriti

di tua madre

sono stati porto

di un pianto sepolto.

 

Lo stile si arricchisce di un’accurata selezione di immagini e di richiami mitologici o di stampo storico-letterario, mai percepita come forzata, quanto piuttosto naturalmente aderente alla formazione classica dell’autore e di cui lo stesso si serve come trampolino per condensare e smuovere riflessioni di matrice filosofica.

 

Un Quasimodo sul tavolino bianco

nel mezzo del caldo giardino e una fitta muraglia

d’arsura d’estate,

e la piccola gatta dalla natura di tigre

che gioca e si stende fanciulla

tra le ombre di erbette

e che battaglia come tra i Danai

contro la scoperta di invisibili nemici

e tu improvvisi un nascondino

tra la biancheria di uno stendino

finché le nubi s’appressano

e s’arrampicano e grattano il cielo

 

e assieme al vento dell’ovest

tu, piccolo Sisifo,

mi porti indietro i miei sassi di sempre.

 

Ricorre anche un accenno alla professione del Negrato, che in modo sapientemente originale paragona e abbina la parola poetica di insegnante a quella di padre: l’arte del dire e del non-dire attraverso il verso che infine svela anche quando prova a nascondere il cielo.

 

Insegno a scuola l’arte del dire

in versi, in prosa e a mentire

con la parola in piena e con il verbo,

e ad affermare il vero e il bello

e poi il gesto e la gentilezza,

a offrire una carezza, a esondare

 

nel cielo.

 

E poi sono padre e il verso

rimane incerto, e non osa la parola

incespicare tra le righe della prosa

deambulare priva di equilibrio,

e poi mi manca pure il gesto

e io so solamente mostrarti la luna

 

il cielo.

 

 

Il lessico, in piena rispondenza al versificare ossequioso dei dettami del Fanciullino, è scevro da qualsivoglia ampollosità e ridondanza, anzi, secondo un reale approccio bambino, ne sottolinea con terenziana ironia quasi l’inutilità, invitando al “piccolo” che è “l’essenza”, che è “verità”.

 

E pure il mio piede

vede il tuo essere pellegrino,

viandante della dimora

e trova dentro a una scarpa nera

un pezzettino di fetta biscottata,

il pane del tuo viaggio nella terra

consacrata. E infili il tuo cibo

tra le suole delle scarpe, dietro al divano

e dentro ai cassetti gonfi di cianfrusaglie:

imbuchi un po’ di fresco zefiro

nel nostro pensier per non volar

mai via dalla nostra memoria.

 

La scelta linguistica piana non preclude il ricorso a soluzioni di elevato livello poetico, attraverso l’uso puntuale, a titolo meramente esemplificativo, di correlativi oggettivi come: “allungare la stanchezza delle ossa”, “mi porti indietro i miei sassi di sempre”, “e non smetto di gettare la rete/cercando il lato giusto dal bordo/della nostra dimora”, “e arrivi nel giro dei raggi/della tua piccola bici”.

Il nocciolo della missione poetica propugnata dall’autore sembra, dunque, ricondursi alla volontà dello stesso di rendersi testimone e sostenitore di un poiesis che disdegna le tenebre e la mortificazione nel dolore, mirando, invece, alla luce, che si fa elogio alla vita e che è gloria in ogni nome di chi è venuto al mondo grazie ad un atto d’amore.


È una gloria il nome.

                                     Ogni cosa

ne possiede uno e la vita è ricoperta

di aggettivi e ogni azione cerca

il proprio verbo. Pure le stelle e le costellazioni

hanno etichette o microchip

con codici alfanumerici.

                                           Ogni cosa

possiede un nome, tranne

il pensiero di rimanere senza te.


Claudio Negrato

Claudio Negrato (Venezia, 1982) vive e lavora nella Riviera del Brenta. Sposato e padre di tre figli, insegna presso il Maria Lazzari di Dolo lingua e letteratura italiana. La passione per la poesia è sempre stata coltivata nella sua vita, ciononostante, solamente nel 2023, grazie agli stimoli offerti dai suoi allievi, ha deciso di uscire allo scoperto mettendo a disposizione parte del suo repertorio poetico. Nel 2023 sono stati pubblicati Sentire il gusto della luna, Edizioni Tripla E, e Ho sete di cuore, Le Mezzelane, mentre è del marzo 2024 la terza raccolta dal titolo Cercando di non essere invano, Carmina. Sono in preparazione Parole ovunque dietro le quinte per i tipi de Il Convivio, Di padre in giglio per Le Mezzelane, e una traduzione dal francese delle poesie di M. Desbordes-Valmore. Sempre per le Mezzelane è in preparazione un’antologia contenente anche dei testi dei suoi studenti.

Prima di dedicarsi pienamente alla poesia, Claudio ha svolto attività di ricerca, ottenendo un dottorato presso le Università di Ca’ Foscari di Venezia e l’Université Paris VIII e pubblicando alcuni articoli accademici sulla lingua poetica di Ludovico Ariosto e sui linguaggi politici di Gasparo Contarini.

La sua grande passione per l’insegnamento lo ha portato a lavorare con studenti stranieri presso la Società Dante Alighieri di Venezia, in diverse scuole (dal liceo agli istituti professionali) e all’Università. Ultimamente, trova soddisfazione insegnando scrittura poetica ai propri ragazzi del Maria Lazzari, con i quali organizza serate letterarie e concorsi poetici per studenti.

Nel suo percorso lavorativo, ha pure svolto la funzione di vicedirettore d’albergo presso il Des Alpes di Madonna di Campiglio e il Greif di Corvara in Badia.

Appassionato di musica, si diletta a suonare alcuni strumenti, dal basso alla chitarra, per arrivare infine a scoprire la bellezza delle note del pianoforte.

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