SGUARDI - Gabriela Fantato - L’Io sparito. Da Umberto Saba a Umberto Fiori

Gabriela Fantato


La filosofia del primo Novecento ha posto al centro il problema del soggetto, non tanto come indagine in sé ma come "crisi dell'Io", almeno per come era stato inteso fino a quel momento. Basti pensare a Schopenhauer, Nietzsche e Freud, figure di pensatori note a tutti, che hanno posto l'accento sulla natura problematica dell' Io e il loro pensiero si è mosso dal superamento di una concezione precedentemente condivisa, sia di taglio empiristico, con un Io concreto diciamo, definito dall'esperienza del mondo e dalla sua natura sensoriale, sia da quella idealistica, dove il soggetto veniva considerato come “centro elaboratore” del rapporto con il mondo, un Io idealizzato quindi, inteso come forza plasmatrice del rapporto con il reale.

Dalla crisi dell'Io, dunque, occorre partire per una riflessione filosofica, artistica e letteraria sul Novecento e, dunque, anche in campo poetico il problema del ruolo, della collocazione dell’Io si pone centrale. Gran parte della poesia lirica ha continuato a porre l'Io al centro del suo dire, in una poesia, quindi, intesa come espressione dei sentimenti, delle emozioni e dell'esperienza del soggetto del mondo. Anche se occorre ricordare che negli anni Sessanta, e anche Settanta, con la sperimentazione diffusa in tutte le arti, c’è stato in poesia il periodo della Neoavanguardia che ha posto la centralità del problema del linguaggio, unito alla decostruzione dell'Io inteso come soggetto elaboratore e creatore del discorso, secondo la logica della comunicazione quotidiana. Erano anni di cambiamenti epocali dove la complessità del mondo stava modificandosi e, quindi, da quel momento in poi non è più possibile elidere il problema del senso del soggetto nel fare poesia, seppure ancora è diffusa oggi una poesia che pone al centro la soggettività, vista come fulcro per dire l'ambito emozionale di chi scrive, anche se sovente oggi si incontra in poesia un Io trasfigurato, in maschere o in doppi di sé, il problema resta aperto.

Sicuramente nella realtà attuale, globalizzata, sempre più complessa e problematica, sfaccettata e frammentata, il soggetto traballa, e se necessita di una visione del reale, retta sulla propria esperienza, resta il fatto che “Io è altro”, come scrisse già Rimbaud, per cui, resta comunque cruciale porre attenzione al senso stesso del concetto di Soggetto.  Dagli anni Settanta ad oggi, ci sono vari sentieri percorsi dalla poesia: la poesia sperimentale, in linea con la ricerca iniziata dalle Neoavanguardie; la scrittura poetica che si avvicina alla narrativitá della prosa, superando ogni scansione ritmico-metrica, modalità che è molto diffusa oggi e apprezzata;  poi ci sono poesie di pensiero, che si interrogano quasi filosoficamente sul senso dell’Io nel mondo; ma anche testi sulla natura stessa dell'essere nel mondo, una direzione di ricerca che definirei poesia ontologica; ci sono poi testi dove l‘Io si colloca in rapporto al Tutto, al divino dunque, in senso metafisico, così da vivere nel Vuoto, tanto che si attua un azzeramento del soggetto e una poesia dell’Assenza, direi, ma ci sono anche poeti che perseguono in modo originale una scrittura intimista e di taglio psicologico. In conclusione, ci sono molti percorsi e modalità poetiche, anche miste e devianti da queste linee generali che ho cercato di individuare, ma la domanda è sempre questa: partendo dalla consapevolezza novecentesca della crisi dell'Io, come si può dire, oggi, il soggetto scrivente in poesia?

Facciamo un passo indietro.

 

Da un corso universitario del 1958-59 deriva il libro fondamentale Poesia italiana del Novecento di Debenedetti, uscito nel 1974 per le edizioni Garzanti, con introduzione di Pasolini, un libro fondamentale, nel quale si sono individuate alcune linee della poesia del Novecento e che resta comunque testo di riferimento per tutti coloro che si interrogano sulle varie direzioni del fare poesia. Già in quel libro Debenedetti notava la sparizione dell'Io o il suo "travestimento", creato attraverso maschere, doppi e altre forme di porre l'Io, e lo faceva a partire dai testi della seconda produzione di Ungaretti e di Montale, tuttavia il problema dell'Io è un interrogativo ancora aperto oggi, per la poesia.

Il grande critico, in quel testo cruciale, poneva grande attenzione su Saba, che considerava il capofila dell’altra linea della poesia novecentesca, aldilà dell'ermetismo e, infatti, di Saba viene ivi rivendicata la “modernità”: il poeta triestino usa la lirica, i mezzi della lirica come strumenti, ma il suo fine, a giudizio di Debenedetti, è diverso in quanto egli «è principalmente un drammaturgo, nel quale tutto diventa scena, tutto diventa personaggio», si legge in Poesia italiana del Novecento, ma non si tratta solo del personaggio del poeta, ma anche dei personaggi esterni chiamati a vivere nei testi di Saba,  e ancora degli stessi sentimenti del poeta, che «si raffigurano come esseri tangibili, come gesti, come movimenti, come voci: insomma prendono attributi da personaggi, da dramatis personae», prosegue il grande critico. In Saba, insomma, tutto diventa personaggio, questa la postura lirica innovativa, continuata da Penna, Caproni e Sereni, autori che danno vita a una "poesia relazionale", potremmo dire, tesa al rapporto con l'altro da sé e con il mondo, come annota Debenedetti stesso.

A mio avviso, si può partire da questi autori per ricollocare il problema dell' Io in poesia oggi, ponendo però attenzione al lavoro di alcuni poeti contemporanei, già considerati maestri di poesia, come Umberto Fiori che, consapevole dello smottamento del mondo e del pensiero occidentale avvenuto nel ‘900 e, quindi, della frattura stessa nella collocazione del poeta e della poesia all’interno di un quadro  modificatosi ormai in modo radicale, crea una poesia dove non l’Io ma l’atto del vedere è al centro della scena poetica. Così che il soggetto viene depotenziato, posto in una condizione di scacco rispetto agli oggetti che si danno nella loro evidenza sensibile e si mostrano nella loro “materica ottusità”, potremmo dire. Si veda, per esempio, “Apparizione”, nella raccolta Esempi, 1992:

Alte sopra la tangenziale, chiare,
due case con in mezzo un capannone.
È questa l’apparizione,
ma non c’è niente da annunciare.

Eppure solo a vederli
là fermi, diritti davanti al sole,
i muri ti consolano
più di qualsiasi parola.

Cancellate, ringhiere,
scale, colonne, cornicioni:
ha l’aria, tutto, come se qualcuno
dovesse veramente rimanere.

 

Fiori ha una modalità innovativa di collocare l’Io: il Soggetto è spogliato, depotenziato e sparito, tanto che si riduce all’occhio che guarda e, con acuta precisione, registra il mondo. l’Io è diventato puro sguardo. A un soggetto razionale e interrogante, inteso come giudice obiettivo e disinteressato delle cose, Fiori privilegia un soggetto che è parte integrante del mondo stesso in divenire: non coscienza delle cose, ma cosa tra le cose, tanto che persino la vista umana, per definizione senso del dominio della ragione, è ridimensionata, per dare spazio al vedere in sé, come capacità di descrivere l'esistente, senza interpretazione e senza alcuna “ansia metafisica” di cogliere un "oltre" che superi il dato concreto. Con attenzione e precisione quasi maniacali, Umberto Fiori da sempre fissa nei versi lo sguardo sul mondo che, nel suo ripetersi, può consentire di cogliere lo straordinario che è sotteso al consueto, per scorgerne il meccanismo che lo regge e trovarne, forse, il nesso e le caratteristiche. La poesia diventa allora per questo poeta una possibilità per cogliere il reale, aldilà di ogni interpretazione individuale.

Se pensiamo in particolare all’ultima raccolta Ritratto automatico (Garzanti; 2023) ci rendiamo conto che questa volta la ricerca sembrerebbe centrata sull’Io e, in effetti, il titolo ci promette un ritratto, che subito però viene definito «automatico», perché tracciato non da una persona ma da un dispositivo meccanico che ne fissa l’effigie. Ecco che l’Io via via si frammenta, si moltiplica si depotenzia e allo stesso tempo proprio nella ripetizione dello scatto automatico è possibile cogliere qualche tratto di consapevolezza sulla nostra pretesa di una centralità dell’Io. La raccolta nasce dal fatto che Umberto dal 1968 ha iniziato una vera collezione: si tratta di 750 sue fototessere, custodite maniacalmente, forse, ma mostrate in parte al lettore sin dalla copertina: sono dei «santini», con cui il poeta ha riempito «l’album delle figurine», dichiara l’autore, e che sono l’origine del suo ultimo lavoro. Ma anche questo riprodurre così tante volte l’identità meccanicamente rappresentata, non è un modo per decostruire qualunque idea si abbia di noi stessi? Certamente, infatti, quello di Fiori è un procedimento poetico che va ben oltre i personaggi cavillosi di Pirandello o le maschere di Saba, superando anche qualsiasi tentativo di identificare le tante sfaccettature dell’Io in chiave di una psicologia del profondo. Nel procedimento di ripetizione meccanica-tecnologica dei testi di Ritratto automatico si moltiplica e insieme si frantuma totalmente il soggetto, riuscendo a mostrare che, non solo è impossibile cogliere in un’unica idea o rappresentazione dell’identità psicologica, ma  che neppure la nostra identità fisica  è ben definita e  ogni volta se ne ha solo una scheggia o un frammento,  così che  nell’ammasso di fotogrammi, gli attributi degli elementi costitutivi della faccia si sovrappongono, si deformano, trasferendo le proprie prerogative l’uno sull’altro e risultano «comunque transitori / insufficienti».  Di fronte alla sparizione radicale dell’Io resta soltanto la possibilità di salvarsi con l’autoironia? Forse sì, proprio come in questo testo:

 

Lineamenti: parecchi. Quanto basta.
Irrevocabili. Comunque transitori,
insufficienti. Occhi a sventola.
Mento aquilino. Orecchie azzurre, tarchiate.
Labbra castane; poi, brizzolate.
Colorito composto, eretto.
Collo: uno solo, come il petto. Attaccàti.
Guance due, ben ravviate.
Capelli sfuggenti, equini.
Denti biondastri, a caschetto.

Settecentocinquanta nasi.
Nei primi della serie
è stata in qualche caso riscontrata
la bellezza dell’asino.

 

Certamente non è questa l’unica strada possibile, ma certamente questa è una raccolta radicale e persino tragica, un modo cruciale per affrontare in poesia la sparizione dell’Io.

 

 

Commenti

  1. La Poetry Kitchen ha ben compreso da tempo questa disparizione dell'Io ed è arrivata ad una poesia dell'avatar con la raccolta Exodus "Voci degli avatar dagli esopianeti"
    https://www.progettocultura.it/index.php?id_product=1674&rewrite=exodus-voci-degli-avatar-dagli-esopianeti&controller=product

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  2. Pietro Brogi29/08/24, 11:05

    Il fatto di moltiplicare le tracce, anche temporali, dell' io, mi sembra che non sia un indice della cancellazione dello stesso. Se pensiamo a Fernando Pessoa che arriva addirittura a diversificare il proprio se stesso attraverso sapientemente costruiti poeti eteronimi, nel mio immaginario mi sto avvicinando di più ad una logica di 'super-io'...

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