SGUARDI - Gabriela Fantato - L’Io sparito. Da Umberto Saba a Umberto Fiori
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Gabriela Fantato |
Dalla crisi dell'Io, dunque, occorre
partire per una riflessione filosofica, artistica e letteraria sul Novecento e,
dunque, anche in campo poetico il problema del ruolo, della collocazione
dell’Io si pone centrale. Gran parte della poesia lirica ha continuato a porre l'Io
al centro del suo dire, in una poesia, quindi, intesa come espressione dei
sentimenti, delle emozioni e dell'esperienza del soggetto del mondo. Anche se
occorre ricordare che negli anni Sessanta, e anche Settanta, con la
sperimentazione diffusa in tutte le arti, c’è stato in poesia il periodo della
Neoavanguardia che ha posto la centralità del problema del linguaggio, unito
alla decostruzione dell'Io inteso come soggetto elaboratore e creatore del
discorso, secondo la logica della comunicazione quotidiana. Erano anni di
cambiamenti epocali dove la complessità del mondo stava modificandosi e,
quindi, da quel momento in poi non è più possibile elidere il problema del
senso del soggetto nel fare poesia, seppure ancora è diffusa oggi una poesia
che pone al centro la soggettività, vista come fulcro per dire l'ambito
emozionale di chi scrive, anche se sovente oggi si incontra in poesia un Io trasfigurato,
in maschere o in doppi di sé, il problema resta aperto.
Sicuramente nella realtà attuale, globalizzata, sempre più complessa e
problematica, sfaccettata e frammentata, il soggetto traballa, e se necessita
di una visione del reale, retta sulla propria esperienza, resta il fatto che
“Io è altro”, come scrisse già Rimbaud, per cui, resta comunque cruciale porre
attenzione al senso stesso del concetto di Soggetto. Dagli anni Settanta ad oggi, ci sono vari
sentieri percorsi dalla poesia: la poesia
sperimentale, in linea con la ricerca iniziata dalle Neoavanguardie; la
scrittura poetica che si avvicina alla narrativitá
della prosa, superando ogni scansione ritmico-metrica, modalità che è molto
diffusa oggi e apprezzata; poi ci sono poesie di pensiero, che si interrogano
quasi filosoficamente sul senso dell’Io nel mondo; ma anche testi sulla natura
stessa dell'essere nel mondo, una direzione di ricerca che definirei poesia ontologica; ci sono poi testi dove
l‘Io si colloca in rapporto al Tutto, al divino dunque, in senso metafisico,
così da vivere nel Vuoto, tanto che si attua un azzeramento del soggetto e una poesia
dell’Assenza, direi, ma ci sono anche poeti che perseguono in modo
originale una scrittura intimista e
di taglio psicologico. In conclusione, ci sono molti percorsi e modalità
poetiche, anche miste e devianti da queste linee generali che ho cercato di
individuare, ma la domanda è sempre questa: partendo
dalla consapevolezza novecentesca della crisi dell'Io, come si può dire, oggi, il
soggetto scrivente in poesia?
Facciamo un passo indietro.
Da un corso universitario del 1958-59
deriva il libro fondamentale Poesia
italiana del Novecento di Debenedetti, uscito nel 1974 per le edizioni
Garzanti, con introduzione di Pasolini, un libro fondamentale, nel quale si
sono individuate alcune linee della poesia del Novecento e che resta comunque
testo di riferimento per tutti coloro che si interrogano sulle varie direzioni
del fare poesia. Già in quel libro Debenedetti notava la sparizione dell'Io o
il suo "travestimento", creato attraverso maschere, doppi e altre
forme di porre l'Io, e lo faceva a partire dai testi della seconda produzione di
Ungaretti e di Montale, tuttavia il problema dell'Io è un interrogativo ancora aperto
oggi, per la poesia.
Il grande critico, in quel testo cruciale, poneva
grande attenzione su Saba, che considerava il capofila dell’altra linea
della poesia novecentesca, aldilà dell'ermetismo e, infatti, di Saba viene ivi rivendicata la “modernità”: il poeta triestino
usa la lirica, i mezzi della lirica come strumenti, ma il suo fine, a giudizio
di Debenedetti, è diverso in quanto egli «è principalmente un drammaturgo, nel
quale tutto diventa scena, tutto diventa personaggio», si legge in Poesia italiana del Novecento,
ma non si tratta solo del personaggio del poeta, ma anche dei personaggi
esterni chiamati a vivere nei testi di Saba, e ancora degli stessi
sentimenti del poeta, che «si raffigurano come esseri tangibili, come gesti,
come movimenti, come voci: insomma prendono attributi da personaggi, da dramatis
personae», prosegue il grande critico. In Saba, insomma, tutto
diventa personaggio, questa la
postura lirica innovativa, continuata da Penna, Caproni e Sereni, autori che
danno vita a una "poesia
relazionale", potremmo dire, tesa al rapporto con l'altro da sé e
con il mondo, come annota Debenedetti stesso.
A mio avviso, si può partire
da questi autori per ricollocare il problema dell' Io in poesia oggi, ponendo però
attenzione al lavoro di alcuni poeti contemporanei, già considerati maestri di
poesia, come Umberto Fiori che, consapevole
dello smottamento del mondo e del pensiero occidentale avvenuto nel ‘900 e,
quindi, della frattura stessa nella collocazione del poeta e della poesia all’interno
di un quadro modificatosi ormai in modo
radicale, crea una poesia dove non l’Io ma
l’atto del vedere è al centro della scena poetica. Così che il soggetto
viene depotenziato, posto in una condizione di scacco rispetto agli oggetti che
si danno nella loro evidenza sensibile e si mostrano nella loro “materica
ottusità”, potremmo dire. Si veda, per esempio, “Apparizione”, nella raccolta Esempi, 1992:
Alte sopra la tangenziale, chiare,
due case con in mezzo un capannone.
È questa l’apparizione,
ma non c’è niente da annunciare.
Eppure solo a vederli
là fermi, diritti davanti al sole,
i muri ti consolano
più di qualsiasi parola.
Cancellate, ringhiere,
scale, colonne, cornicioni:
ha l’aria, tutto, come se qualcuno
dovesse veramente rimanere.
Fiori ha una modalità
innovativa di collocare l’Io: il Soggetto è spogliato, depotenziato e sparito, tanto
che si riduce all’occhio che guarda e, con acuta precisione, registra il mondo.
l’Io è diventato puro sguardo. A un soggetto razionale e interrogante, inteso come
giudice obiettivo e disinteressato delle cose, Fiori privilegia un soggetto che è
parte integrante del mondo stesso in divenire: non coscienza delle cose,
ma cosa tra le cose, tanto che
persino la vista umana, per definizione senso del dominio della ragione, è
ridimensionata, per dare spazio al vedere in sé, come capacità di descrivere
l'esistente, senza interpretazione e senza alcuna “ansia metafisica” di
cogliere un "oltre" che superi il dato concreto. Con attenzione e precisione quasi maniacali, Umberto Fiori da sempre fissa nei versi lo sguardo sul mondo che, nel suo ripetersi, può
consentire di cogliere lo straordinario
che è sotteso al consueto, per
scorgerne il meccanismo che lo regge e trovarne, forse, il nesso e le
caratteristiche. La poesia diventa allora per questo poeta una possibilità per
cogliere il reale, aldilà di ogni interpretazione individuale.
Se pensiamo in
particolare all’ultima raccolta Ritratto
automatico (Garzanti; 2023) ci rendiamo conto che questa volta la ricerca sembrerebbe
centrata sull’Io e, in effetti, il titolo ci promette un ritratto, che subito però
viene definito «automatico», perché tracciato non da una persona ma da un
dispositivo meccanico che ne fissa l’effigie. Ecco che l’Io via via si
frammenta, si moltiplica si depotenzia e allo stesso tempo proprio nella
ripetizione dello scatto automatico è possibile cogliere qualche tratto di consapevolezza
sulla nostra pretesa di una centralità dell’Io. La raccolta nasce dal fatto che
Umberto dal 1968 ha iniziato una
vera collezione: si tratta di 750 sue fototessere, custodite maniacalmente,
forse, ma mostrate in parte al lettore sin dalla copertina: sono dei «santini»,
con cui il poeta ha riempito «l’album delle figurine», dichiara l’autore, e che
sono l’origine del suo ultimo lavoro. Ma anche questo riprodurre così tante
volte l’identità meccanicamente rappresentata, non è un modo per decostruire
qualunque idea si abbia di noi stessi? Certamente, infatti, quello di Fiori è
un procedimento poetico che va ben oltre i personaggi cavillosi di Pirandello o
le maschere di Saba, superando anche qualsiasi tentativo di identificare le
tante sfaccettature dell’Io in chiave di una psicologia del profondo. Nel
procedimento di ripetizione meccanica-tecnologica dei testi di Ritratto automatico si moltiplica e
insieme si frantuma totalmente il soggetto, riuscendo a mostrare che, non solo
è impossibile cogliere in un’unica idea o rappresentazione dell’identità
psicologica, ma che neppure la nostra
identità fisica è ben definita e ogni volta se ne ha solo una scheggia o un
frammento, così che nell’ammasso di fotogrammi, gli attributi
degli elementi costitutivi della faccia si sovrappongono, si deformano, trasferendo
le proprie prerogative l’uno sull’altro e risultano «comunque transitori /
insufficienti». Di fronte alla
sparizione radicale dell’Io resta soltanto la possibilità di salvarsi con
l’autoironia? Forse sì, proprio come in questo testo:
Lineamenti:
parecchi. Quanto basta.
Irrevocabili. Comunque transitori,
insufficienti. Occhi a sventola.
Mento aquilino. Orecchie azzurre, tarchiate.
Labbra castane; poi, brizzolate.
Colorito composto, eretto.
Collo: uno solo, come il petto. Attaccàti.
Guance due, ben ravviate.
Capelli sfuggenti, equini.
Denti biondastri, a caschetto.
Settecentocinquanta nasi.
Nei primi della serie
è stata in qualche caso riscontrata
la bellezza dell’asino.
Certamente non è
questa l’unica strada possibile, ma certamente questa è una raccolta radicale e
persino tragica, un modo cruciale per affrontare in poesia la sparizione
dell’Io.
La Poetry Kitchen ha ben compreso da tempo questa disparizione dell'Io ed è arrivata ad una poesia dell'avatar con la raccolta Exodus "Voci degli avatar dagli esopianeti"
RispondiEliminahttps://www.progettocultura.it/index.php?id_product=1674&rewrite=exodus-voci-degli-avatar-dagli-esopianeti&controller=product
Il fatto di moltiplicare le tracce, anche temporali, dell' io, mi sembra che non sia un indice della cancellazione dello stesso. Se pensiamo a Fernando Pessoa che arriva addirittura a diversificare il proprio se stesso attraverso sapientemente costruiti poeti eteronimi, nel mio immaginario mi sto avvicinando di più ad una logica di 'super-io'...
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