VERTIGINI - Patrizia Baglione su "L'amore misurato" di Elena verzì
Con “L’amore misurato” Elena Verzì indaga sulla vertigine e vuoto
che solo un amore a metà è capace di offrire. (“È il cuore di chi amo / che
voglio abitare”). Viscerale e pungente è il tormento che l’autrice cerca di
portare alla luce. Tante le immagini simboliche, il verde dei boschi da
attraversare. Il linguaggio è asciutto ma ricco di elementi comunicativi. La
ripetizione di alcuni versi (“Sotto le fronde le fronde le fronde / nascondo i
miei figli, i baci, i vestiti”) restituiscono al lettore quasi l’ossessione
provata in certi precisi momenti esistenziali. La scrittura della Verzì è
matura e senza fraintendimenti.
Di amore se n’è parlato molto in letteratura. Il canto più antico, risale a 4mila anni fa e fu composto da una regina sumera per il marito, in occasione del primo anniversario di matrimonio. La canzone era scritta su alcune tavolette in caratteri cuneiformi, ritrovate a nord di Bagdad.
Ma l’amore qui descritto da Elena, supera i confini del romanticismo per farsi onda che travolge. Scottante è la ferita che lascia sulla pelle, come residui di sale dopo un bagno al mare. (“Siamo rinati ciechi/ abbiamo le mani dei/ Santi/ e una palude nel/ cuore”). La palude a simboleggiare lo scarto - quasi organico - di ogni sentimento. Non manca dunque la delusione, gli spazi bui tra un momento e l’altro.
C’è tanta verità e poca ipocrisia, nei versi della Verzì. Immediato è l’ingresso in questa parte di mondo che ella ci ha regalato, dove facile è ritrovarsi e leggersi tra le righe.
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Ho
paura del mare quando non vedo le gambe.
Ho
paura della corrente e delle piogge estive.
Bagnata,
sono legata con una spilla da balia
al
centro della terra.
Questa
è la poesia: ascoltare con la pelle immersa
la
paura della propria identità.
| Elena Verzì |


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