STELLE CONTROVENTO - Maria Pia Latorre - Dimenticarci di quanto siamo fragili

 

Maria Pia Latorre




On and on the rain will say

How fragile we are how fragile we are (Sting)

 

Nasciamo delicatamente indifesi, vulnerabili, incapaci di sopravvivere senza cure.

È la nascita il momento più critico dell’esistenza, paradossalmente quello più vicino alla morte. Può accadere che nel corso della vita ci riavviciniamo a quel limite, per malattie o altro, e, in quei momenti, percepiamo esattamente la nostra vulnerabilità, sentiamo che essa è una condizione costante dell’esistenza, imprescindibile da noi; ma ci basta superare quei momenti critici per rimuoverne il pensiero, perché la vita corre in avanti e noi con lei.

Così Gabriel García Márquez ha scritto che: “Gli esseri umani non nascono una volta per tutte il giorno in cui la loro madre li mette al mondo; la vita li obbliga a mettersi al mondo da sé”.

Siamo fragili. Credo che la fragilità sia l’elegante consapevolezza della vulnerabilità, la coscienza della caducità del tempo che abbiamo, che non è tuttavia un tempo effimero, bensì significativo del nostro passaggio. Manifestare le proprie fragilità, oltre che essere segno di umiltà e coraggio, è anche il passaporto del nostro stare al mondo con coscienza, è il momento della forza in cui prendiamo sottobraccio paure e insicurezze.

Suonano dolcissime le parole della Merini a riguardo: “In queste cadenze fragili che sono i nostri giorni meravigliosi fatti di pochissime cose, di piccoli conventi di sospiro, questi giorni meravigliosi dove io nego la presenza anche di Dio per non sentirmi obbligata ad amarlo. In questi giorni io vedo il sole ovunque”.

La fragilità porta con sé il continuo rischio di rottura di equilibri, la necessità di passaggio da uno stato all’altro, con la condizione che ciò che si rompe si ripari, perché è la trasformazione una componente essenziale e dinamica della vita. Ma quando agiamo e ci proiettiamo in nuove situazioni, diventa essenziale dimenticare quanto siamo fragili. È un atto dovuto a noi stessi che ci aiuterà a compiere quei passi in avanti necessari alla nostra vita.

Non possiamo qui prescindere da Leopardi, che, raccontandoci della ginestra, ci abbraccia tutti, suggerendoci una possibile via di salvezza attraverso il coraggio di rischiare, di scommettere su noi stessi, e ci suggerisce uno straordinario strumento per farlo: l’immaginazione.

E proprio l’immaginazione, secoli dopo, è stata ritenuta da schiere di filosofi Marcuse in testa l’unica molla in grado di innestare il cambiamento possibile, da cui il fortunato slogan “immaginazione al potere”, divenuto emblema di intere generazioni.

Oggi, date le contingenze, sarebbe, forse, auspicabile la sua parafrasi, “potere all’immaginazione”, soprattutto quando la vita ci rompe in mille pezzi.

Come potente metafora ci viene in aiuto il kintsugi, l’arte giapponese di riparare vasi andati in pezzi mediante saldature d’oro; di fatti ne vengono fuori capolavori che altrimenti mai vedrebbero la luce.

Prima di introdurre le poesie in cui mi sono imbattuta e che ho scelto per questa riflessione, condivido con voi alcuni pensieri sparsi tratti dalla mia agenda personale: “Misurarsi con i propri limiti significa conoscere anche i propri confini materiali”.

 

È accaduto di nuovo. Mi sono girata ed ero sola con me stessa”.

  

Poesia J1501 di Emily Dickinson

Il piccolo Etereo Cappuccio
Poggiato sulla Testa -
Modisteria flessibile
Di un Dio sagace -

Fin quando scivola via
Un nulla alla volta -
E il Dramma del Soffione
Si estingue in uno stelo.

(Traduzione di Giuseppe Ierolli)

 

Ogni caso di Wisława Szymborska

 

Ogni caso

Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.

Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.

Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.

In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.

Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

 

Quando mi chino di Juan Ramón Jiménez


Quando mi chino

sulla tua anima,

mentre dormi

e ascolto, col mio orecchio

sul tuo petto nudo,

il tuo cuore

tranquillo, mi sembra

di cogliere, nel suo battito profondo,

il segreto del

centro del mondo.


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