RUGIADE - Melania Valenti su "Alla terra i miei occhi" di Mauro Liggi - Nota critica

 

Alla terra i miei occhi, Interno Libri Ed., 2024


Alla terra i miei occhi di Mauro Liggi, con importante prefazione di Anna Segre, si legge con gli occhi puliti, come pulito e sincero è il messaggio che, a fine lettura, ci consegna l’autore. Perché è questo ciò che ho avuto in dono, dopo avere attentamente letto l’intera raccolta: una sensazione di sincerità assoluta nel donare se stesso al lettore. Senza sconti, senza artifici nel linguaggio – che, al contrario, presenta un lessico quotidiano e familiare all’autore -, senza altro desiderio, almeno come a me è parso, che quello di liberarsi da un peso interiore, metabolizzando il lutto e iniziando dal dolore per la perdita dei propri genitori per giungere a scrivere del presente, del suo amore per la vita, per la propria donna, per la parola. Come se, insieme al lettore, l’autore voglia ripercorrere le tappe fondamentali della propria esistenza. E sempre con sincerità.

Ecco che allora, sin dal principio, assistiamo alla madre morente, o meglio, al suo ricordo (…) Punto. /Croce. / Come vorrei indossarlo ancora/per scaldare la tua mancanza/e sulle spalle portare/il gravoso cercarti/la mia pesante/ Croce./Punto.

La sofferenza del poeta diviene solitudine universale e, al contempo, mano protettiva, quando il dolore si fa presenza tale da indurlo ad indossare maschere farlocche/ in un carnevale di coriandoli neri.

La verità che si coglie leggendo attiene anche al mondo presentato dal Liggi, che è il Suo mondo; l'autore, infatti, medico e poeta, indossa fino in fondo i propri panni. Egli è schietto, non fa sconti, pure sfidando quella stessa scienza di cui arriva a beffarsi, nel vano tentativo di tenere a sé la madre morente


Indichi il cielo

a me, solo a me

che con il camice bianco

provo a trattenerti qui

sfidando il tempo

la logica

la scienza.

Ma tu

indichi il cielo

il dito già blu

perché sai

quello che anche io so

tu succo di mela cotogna

io volto di catrame

muto è il grazie

prima del viaggio.

 

C’è tutto il dolore per la perdita dei genitori, espresso in liriche asciutte che feriscono chi legge. Ma non è un dolore sterile; al contrario, esso partorisce la presa in carico del poeta di se stesso sulle proprie spalle

Lascio andare mia madre (…) Lascio andare mio padre (…) Lascio andare la cima/del cordone ombelicale/mi affido a ciò che sono/voi liberi/io evaso.

È così che Mauro Liggi trova, ritrova forse, il gusto della vittoria dopo la lotta, consapevole che ogni morte potrà essere generatrice di nuova bellezza

(…) bacio i petali/di ogni mia morte.

Lo stile è coerente; uno stile essenziale dal lessico quotidiano (anche se qui e lì si intravedono riferimenti colti mutuati dalla tradizione), un lessico familiare al poeta, che maneggia sapientemente come il medico una siringa in corsia d’ospedale. È anche questo, a mio parere, che contribuisce alla sensazione di leggere sincerità, il sentire che il poeta è a suo agio, tra parole a lui note e che fanno parte del bagaglio personale e quotidiano

(…) solchi delle tue ossa/sbattute dal maestrale/dure come pietra/su materasso d’acqua. /La garza umida sul comò/l’ultimo bacio graffiante/la bocca crepata dalla sete.

Insieme al dolore, la nostalgia della propria fanciullezza, che nel componimento che segue raggiunge l’apice nel ricordare i propri nonni, la messa e il rientro felice a casa, la nostalgia per la propria felicità (perduta?)


Una passeggiata che solo i nonni

la domenica mattina dopo messa

tornare a casa felice

(vedi lo sono stato)

ora nostalgico Sisifo

trascino massi di mollica

che ricadono a sbarrare il sentiero

dove portare a passeggio il mio bene.


Sono tematiche in successione, come fotogrammi dell’esistenza riversati sulla pagina e consegnati a noi che ne leggiamo, retti con maestria nell’uso del verso libero, nella costruzione della frase, nell’impiego di misurate figure retoriche - Chissà dove le mie prime volte/ il mio primo dentino/ il primo grembiule/ il mio primo tuffo/ il primo abbraccio a mia madre/ (…) -, il tutto essenzialmente con Amore. Un amore che da eros - I tuoi capezzoli/grani di rosario/li stuzzico con le dita/ prego sentendone il gusto/tumide rispondono/ alla trappola/delle labbra avide./(…) - si fa tenero ricordo, nostalgico rimembrare l’età andata, sguardo alla Natura e ai suoi elementi, per chiudere la raccolta con il verso che le dà il titolo, in una lirica che racchiude il senso della vita e la consapevolezza che, anche dal dolore, nasce nuova vita, germogliata dal pianto e fattasi albero. Con gli occhi volti alla Madre Terra, sempre e solo con Amore.

 

Scavo con le palpebre

nella terra umida

sciolgo il perdono.

 

Allatto un germoglio

di pianto

le mani a coppa.

 

Calati pure tu

sotterra ora

anche ciò

che è vita

 

            la mia inquietudine

            vuole farsi albero.

            Alla terra i miei occhi.


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Mauro Liggi



Mauro Liggi, medico, poeta e fotografo di Cagliari, dall’inizio del suo percorso artistico si è focalizzato sulla street photography, il reportage, la fotografia documentaria. Ama mischiare i linguaggi espressivi.

Collabora da anni con la Mediateca del Mediterraneo per la creazione dell’Archivio fotografico della città.

Nel 2021 pubblica la prima raccolta poetica “Anima scalza. Le orme della poesia”. Nel 2022 esce la raccolta poetica dal titolo "Segnali di Fumo" per Altromondo Editore. Nel Maggio 2023 è vincitore del Cologno foto Fest con il Reportage "Vita da Amare". Nel marzo 2024 pubblica "Alla terra i miei occhi" edito da Interno Poesia, con prefazione di Anna Segre.

 


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