RONDINI - Melania Valenti - La dignità del dolore
C’è negli occhi di chi soffre davvero un velo di tristezza,
contenuta dalla dignità che bussa e si fa avanti.
Non è un grido di aiuto, come chi subisce un trauma
improvviso, ma sa che prima o poi finirà.
Né una luce di speranza, come nell’iride di chi insegue la
guarigione, perché una guarigione, per qualcuno, esiste.
No: negli occhi di chi è consapevole che, nel migliore dei
casi, può avere periodi di recessione della malattia o, nel caso dei più
visionari, può sempre attendere il miracolo, in quegli occhi è l’ottobre
dell’anno, quel sapore delle foglie tristi, che iniziano con dolcezza a cadere,
quella malinconica tenerezza e dignità. Sono queste qualità a rendere queste
persone esseri superiori.
Si riconoscono, quegli occhi: sono gli sguardi buoni e
consapevoli che ogni stupido ansimare per minuscole piccolezze porta al nulla
dietro il portone.
Non comprendono, forse, l’inutile arrampicarsi delle
formiche, la corsa al primo gradino del podio, e li immagino a sorridere,
mentre chi insegue la luna non sa che la può trovare nella salute del proprio corpo.
È difficile farli innamorare, perché non credono più agli
spruzzi del mare, perché il dolore ne smorza la meraviglia. Ma quando trovano
l’anima nell’azzurro di un viso di stelle, quando incontrano chi li guardi con
passione ed amore, con brama e desiderio, si lasciano cullare e prendere per
mano. E si lasciano sostenere. Senza timore, senza pudore.
Questo penso, su questo rifletto. E credo che la poesia di Silvia Bre, che segue, possa essere una
giusta espressione di ciò che sento e provo. Perché
nemmeno la pupilla
d’un cieco / dimentica l’azzurro che non vede.
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Ognuno vuole avere il suo
dolore
e dargli un corpo, una sembianza, un letto,
e maledirlo nel buio delle notti,
portarlo su di sé tenacemente
perché si veda come una bandiera,
come la spada che regala forze.
Ma c’è persa nell’aria della vita
un’altra fede, un dovere diverso
che non sopporta d’esser nominato
e tocca solamente a chi lo prova.
È questo. È rimanere
qui a sentire come adesso
l’onda che sale nelle nostre menti,
le stringe insieme in un respiro solo
come fosse per sempre,
e le abbandona.
Ma nemmeno la pupilla d’un cieco
dimentica l’azzurro che non vede.
(Silvia Bre, da Marmo, Einaudi, 2007)
Riflessione molto profonda che si lega (purtroppo) ai momenti che sto vivendo. Grazie, anche se non so se sia conforto. Certamente è vicinanza umana a un dolore comune difficilmente risolvibile, soprattutto all'interno della nostra visione occidentale della vita.
RispondiEliminaGrazie, Mauro. Il conforto può esservi nella vicinanza, nella com-prensione, nel ssentirsi parte di un tutto. Grazie di nuovo
EliminaGrazie per le tue limpide riflessioni. Una nuova prospettiva del dolore percorribile.
RispondiEliminaGrazie a te, cara Maria Pia, della lettura
EliminaMi tocca molto questa tua riflessione. Ultimamente sto rivivendo alcune emozioni che pensavo perse nel passato, relative al dolore e alla malattia. E mi rendo conto che sentire il dolore dell'altro non è semplice. Ne afferriamo un riflesso. Ma la vicinanza, il nostro essere presenti in quel momento, anche solo per offrire una visione diversa, può essere di aiuto. La tua riflessione e i versi di Silvia Bre aprono un varco. Grazie🙏
RispondiEliminaGrazie a te, cara Annalisa. Ho scritto di getto, parole nate dall'emozione e dal dolore esse stesse🙏
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