ORDITI - Anna Rita Merico - Arthur Rimbaud, due Illuminazioni non per intero e una domanda



Anna Rita Merico

 



La bandiera va verso l’immondo paesaggio e il nostro dialetto soffoca il tamburo.

Nei centri alimenteremo la più cinica prostituzione; massacreremo le ribellioni logiche.

Ai paesi imbevuti di pepe e d’acqua! – al servizio delle più mostruose speculazioni industriali o militari.

Arrivederci qui, ovunque. Reclute della buona volontà, saremo di una filosofia feroce; ignoranti per la scienza, astuti per le comodità; e la morte per il mondo che avanza. È il vero cammino; avanti, in marcia![1]

 

Intuizione veggente.

Nel momento in cui positivismo e idee di progresso accendevano un’epoca di bagliori guidati dal motore di ulteriori assestamenti capitalistici, Rimbaud - come Leopardi - vede il buio di un dramma epocale che mette radice nel presente della Sua epoca. Lo vede irradiarsi nella forma della distruzione di quanto conosciuto e creato dall’umano consesso nel corso della storia.

Lingua, architetture, pensiero, convivenze, espressioni artistiche divengono altro all’interno di una congerie di connessioni il cui motore è l’idea di progresso.

Il testo XXXVII, la Democrazia, racchiude l’intero senso di uno sguardo sul mondo a Lui contemporaneo. Ma non erano state, forse, le Rivoluzioni ad aver segnato la storia recente? Di quale altra Rivoluzione dice Rimbaud? Una Rivoluzione che non era stata contemplata: la rivoluzione della distruzione delle Rivoluzioni Moderne. A Rimbaud interessa il nucleo delle Rivoluzioni Moderne ossia quanto, politicamente e simbolicamente, ruota intorno e dentro ai termini “democrazia-progresso”.

Intuizione veggente.

Le forme di sfruttamento della Natura. L’avvento delle masse. I frenetici mutamenti urbani. Rimbaud vede e ne fa compito di parola resistente pur nella consapevolezza del sapere che, essa, rimarrà dai più inascoltata. Rimbaud disossa un futuro vicino: il futuro che presto si mostrerà nella crisi, nella geometria ripetitiva della riproducibilità, nello smog allucinato di metropoli che vanno tentacolandosi all’infinito, nella perdita di umane origini.

 In una sola Illuminazione un manifesto poetico ma, anche, filosofico.

Un andare in orizzonte altro.

Un chiamare all’azione ed alla consapevolezza.

Un vedere il ruolo di Poeti e Poesia.

Il daimon che rapisce Rimbaud tra i 15 ed i 19 anni agevola un attraversamento di soglie e di sguardo e si colloca nella fatica estrema dell’andare all’interno della distruzione creatrice. Sono davvero Illuminazioni, passi estremi sempre ai limiti del perdersi eppure, sempre, nel dentro di un contenimento della vitascrittura.

Rimbaud: Maestro di una fondamentale legge di Vita, quella che tesse la discesa nelle viscere del Male, della Perdizione, della Dissoluzione solo per architettare rinascita con l’incitamento all’Azione, al ritorno all’Umanità attraverso la parola.

Da più parti la domanda sul perché Egli non abbia, con il passar del tempo, scritto.

E se anima della Poesia fosse un solo, repentino strale dinanzi al quale porsi a lato dopo averne sperimentato viscere di esistenza e potenza?

Appena l’idea del Diluvio si fu calmata, una lepre si fermò tra i trifogli e le campanule tremanti, e rivolse una preghiera all’arcobaleno attraverso la tela di ragno…

…Sgorga stagno; rotola schiuma, sul ponte e attraverso i boschi; - drappi neri e organi – fulmini e tuoni, innalzatevi e squillate; - Mari e tristezze, sollevatevi e rialzate i Diluvi.

Da quando infatti essi si sono dileguati, -oh! le pietre preziose che sprofondano, i fiori sbocciati – la noia regna! E la Regina, la Strega che accende la brace nel vaso di terra, non vorrà mai raccontarci ciò che sa, e che noi ignoriamo.[2]

 

 

 

 

 



[1] Arthur Rimbaud, Le Illuminazioni e Una stagione all’inferno, B.U.R. 1961, pag. 64

[2] Ivi pag. 13-14


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