LA LINGUA MISTERIOSA DELLA POESIA - Anna Spissu
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Anna Spissu |
Come ogni anno, prima delle vacanze cerco di
fare il riordino di alcune cose che durante l’anno sono cadute in un disordine
senza rimedio. I libri, più di tutti. Ammucchiati sui comodini, in pile
traballanti che partono dal pavimento e anche sotto al letto. In camera lascerò
solo quelli di poesia, toglierò i romanzi e li metterò in sala finché c’è
posto, la restante parte nella nuova libreria che ho fatto montare in una delle
stanze del solaio.
Nel fare questo ho preso in mano “Kafka sulla
spiaggia” di Murakami Haruki, un romanzo bellissimo che ho molto amato.
Ho avuto la debolezza di riaprirlo e sono subito finita nelle famose frasi sul
destino che riporto qui sotto:
“Qualche
volta il destino somiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la
direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia
andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il
vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come
una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è
qualcosa che è arrivato da lontano, indipendentemente da te. È qualcosa che hai
dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in
quel vento, camminando diritto e chiudendo forte gli occhi per non fare entrare
la sabbia”.
Il vento che siamo noi e che sfuggiamo. Il
destino misterioso sul quale la lingua misteriosa della poesia indaga dalla
notte dei tempi.
Scelgo di tralasciare la visione del destino
legata all’antichità nel mondo classico e preferisco concentrare la mia
indagine su una domanda specifica rapportata a tempi decisamente più recenti:
il destino lo creiamo noi? E se sì, siamo anche artefici della tempesta di
sabbia? Oppure no e la tempesta di sabbia non viene da noi e a noi tocca solo
resistere?
Nel 1875 il poeta inglese William Ernest Henley scrisse la celeberrima poesia “Invictus”, il cui ultimo verso viene
citato (e modificato con sconforto) da Oscar Wilde nel “De profundis”: I
was no longer the captain of my soul”.
Nelson
Mandela usava recitare la poesia per
farsi coraggio durante la prigionia dovuta all’apartheid.
Di seguito, alcuni versi:
Nella
stretta morsa delle avversità
Non
mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto
i colpi avversi della sorte
Il
mio capo sanguina, ma non si china.
Oltre
questo luogo di rabbia e lacrime
Incombe
solo l’orrore della fine.
Eppure
la minaccia degli anni
Mi
trova, e mi troverà, impavido.
Non
importa quanto stretta sia la porta,
Quanto
impietoso sia lo scorrere della vita,
Io
sono il padrone del mio destino:
Io
sono il capitano della mia anima.
Se il vento del destino soffia furiosamente, al
poeta (ma a ogni essere umano) spetta di resistere, nel nome del coraggio che
alberga dentro a ogni cuore.
Patrizia
Valduga individua la parola come
primigenia forma di resistenza al vento. La parola crea il destino, prima
ancora dei gesti. Andando ancor più indietro si potrebbe dire che il primo
suono che produce destino è il grido
“Sa
sedurre la carne la parola,
prepara
il gesto, produce destini”
A fronte della speranza/consapevolezza di poter
essere noi umani a tracciare le linee del nostro destino, altri poeti hanno
scritto del destino come di una linea già tracciata dalla nascita al nostro
ultimo giorno.
Henrik
Nordbrandt scrive:
“Anche
se potessi rivivere la mia vita
gli
stessi crocevia sicuramente
mi
condurrebbero agli stessi crocevia
e
il disegno non cambierebbe tanto
da
rendere una sola delle mie rughe
diverse
da quelle che ho oggi.
…..
E
come se fosse oggi
riuscirei
a ricordare il boia
quando
si è tolto il cappuccio
e
mi ha strizzato impercettibilmente l’occhio
come
si saluta un vecchio cliente.”
Il vento soffia e ci obbliga anche a seguirlo,
nel nome di un comando più alto e universale che riempie di senso e di bellezza
la vita degli esseri umani. Per compiere il nostro destino, per portarlo al
bene, non solo al nostro singolo bene ma anche a quello dell’intera umanità,
bisogna inchinarsi all’amore.
Così in questi versi Mariangela Gualtieri racconta che il destino individuale può
trasformarsi in un destino collettivo, pena il “fallimento” del destino stesso
dell’umanità. Parole più che mai attuali di fronte agli orrori insensati delle
guerre, al disprezzo della vita umana. Una visione laica della storia e del
destino che tuttavia mostra innegabili punti di contatto con i concetti di
amore divino anche nella forma del verso simile a una invocazione /preghiera.
“Amore
che sei il mio destino
Insegnami
che tutto fallirà
se
non mi inchino alla tua benedizione”
Il pensiero che il destino possa essere retto da
qualche indefinita entità/divinità, e che esista un modo di “ingannarlo” è
abbastanza comune (non lo dico perché sennò non si avvera). Il poeta greco Kostas Mondis ha tradotto tutto questo
in versi:
“Se
vuoi che giungano presto i giorni che aspetti
non
lasciare che si accorgano che li aspetti,
guarda
da un’altra parte.”
Tuttavia, che non sia così facile ingannare il
destino e che ci sia un'aura di mistero, qualcosa di impossibile da stabilire
in modo certo e determinato, è il contenuto dei versi dolci e dolenti di Cesare Viviani:
“No,
non sapremo mai
se
quel che abbiamo avuto
ci
è stato dato,
se
in tutta la vita
abbiamo
conquistato
un
filo d’erba, un frutto, un sorriso”.
Solo a volte, guardando indietro l’intero
percorso della nostra vita, abbiamo l’impressione, altre volte la certezza che
una strada ci sia stata davvero.
Concludendo, voglio aggiungere anche il mio
pensiero sul destino, i miei versi.
Valgono per me, per la mia vita, ma penso anche
per la vita di molti altri:
E
se pensi ai momenti
che
sono stati destino
ti
accorgi che erano
tutti
gli istanti della tua vita.
In
quanto al futuro
sappi
che i cavalli del sogno
hanno
già attraversato la prateria
e
aspettano che tu scelga
a
quale di loro
sciogliere
la briglia.
Poesie da:
William Ernest Henley, Invictus
Patrizia Valduga, Medicamenta e altri medicamenta (Einaudi ed)
Henrick Nordbrabdt, Il nostro amore è come Bisanzio (Donzelli poesia ed)
Mariangela Gualtieri da “Monologo del non so”
Kostas Mondis, Poeti greci del novecento (Mondadori ed)
Cesare Viviani, Osare dire (Einaudi ed)
Anna Spissu – “Destino” (inedito)
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