INTERMITTENZE - Alba Gnazi - "Oxymoron"

Alba Gnazi



Succede allora di innestare nel giorno una nuova abitudine, di scavare una nicchia nella convenzione che tempo, alcuni lo nominano, altri arbitrio, opportunità, vezzo, qualcuno anche biochimica – quel misto disarmonico di inclinazioni e mancanze, di memorie e carezze, e di acqua ossigeno carbonio, pelle sudore fetore stasi -, un’altra vita nella vita: non fosse il buio dolce della sera a ricomporci in un rado mondo in disparte, insieme a certe storie schivate dal buonsenso, alle stazioni dopo le partenze, a uno sguardo incrociato di sguincio fra tutti gli addii e le persone che ci accadono, che crepitano, stringono, squassano, pari a grammatiche antiche che dal sedimento di lingue mai morte ci dettano, e sembrano slabbrare il vuoto conficcato sottopelle, nelle pliche giù in gola, nella voce che si sente e nella voce che s’inerpica, che percuote gli antri sfitti di parole quand'è notte e per ricomporsi nel proprio nome finalmente si dorme - ché non basta incontrarsi per dirsi vicini, né basta riassumersi in versi per dirsi svelati –, tra quel che non si lascia andare e il passo avanti che non crea ombra, mentre ancora si prova a capire come, a cercare cosa: e se quello stacco dal tempo insieme al tempo si muove dall'altra parte del suono, quando spunta nel riflesso dell’abisso un arco teso che ci somiglia, e non resta solo una bocca che muove parole e non comunica, e traccia una scia che scava purpurea la notte fino al respiro dell’alba - così forse, così solo, davvero raggiunta e salva.

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