IL MARCATEMPO - Matteo Rusconi – Di poesia e di salvazione

 

Matteo Rusconi



Da un paio di anni ho il piacere di intervistare, con cadenza settimanale, svariati personaggi del mondo della poesia, chiedendo cose su tutto ciò che ruota attorno al vasto universo della parola poetica.

Tra le tante, c’è una domanda che non ha avuto ancora una risposta piena, la rivelazione assoluta, l’eliminazione del tarlo che una volta insinuatosi nella testa continua rumorosamente a scavare. La domanda è: ma la poesia, può davvero salvare il mondo?

Ci sono movimenti poetici il cui motto dice che sì, la poesia può cambiare e salvare questo mondo malato, e trallallero trallallà; ci sono autori minatori i quali affermano che, sempre grazie ad essa, sono scesi nel buio più profondo a dare luce al proprio tormento; c’è anche chi è convinto che attraverso la parola scritta si possa fare una sorta di guerra alle guerre. Rime contro bombe. Sono affermazioni che hanno un qualcosa di nobile, romantico e salvifico ma che, purtroppo, non forniscono ancora una concreta replica alla mia atavica domanda.

Se penso ai grandi avvenimenti passati che hanno spostato gli equilibri della storia, mi vengono subito in mente rivoluzioni, missili atomici, manifestazioni con le mani pesanti; eventi con una certa violenza fisica che non si addice a un’arte che ha nella bella parola (e in ciò che questa suscita) la propria potenza. La poesia ci permette sì di spiare la vita degli altri, di immedesimarci nei loro vestiti, di scuoterci, ma, una volta letta, finisce tutto lì. E il mondo continua ad andare avanti imperturbato. Quindi mi verrebbe da dire che no, la poesia non ci salva e nemmeno tanto ci cambia.

C’è però un avvenimento che mi fa ricredere, ed è quello che è successo in Cina con i cosiddetti poeti operai. Dovete sapere che, da quelle parti, il mondo del lavoro è completamente gestito dal governo, senza troppi intermediari, e che, fino a poco tempo fa, quello che accadeva all’interno delle fabbriche non doveva assolutamente uscire dai cancelli delle stesse e nemmeno dai confini cinesi! E guai a manifestare! Tuttavia, ci sono stati - e ci sono tuttora - poeti che in barba a tutto ciò hanno iniziato a scrivere di lavoro, di turni massacranti, di dita mozzate, continuando a portare alla luce testimonianze di condizioni lavorative al limite dell’umano; condizioni che, purtroppo, hanno poi spinto molti operai a togliersi la vita. Di fronte alla continua crescita di popolarità di questi atti poetici di eroica denuncia, il governo si è mosso per porre rimedio e attraverso l’introduzione di nuove leggi, normative e quant’altro, ha cercato di rendere un po' più vivibile e sicuro un mondo raccontato che, da subito, è sembrato un girone dell’inferno dantesco.


Quindi, tornando a quell’infausto enigma iniziale, la risposta è che la poesia no, non salverà il mondo, non lo renderà un posto pieno di fiorellini colorati e uccellini cinguettanti, non ci renderà tutti esseri uguali e belli, ma di certo ci aiuterà a migliorare in qualche modo le nostre esistenze.

E secondo voi?









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