FRAGMENTA – Deborah Prestileo - Rerum Vulgarium Fragmenta

Deborah Prestileo

La mia nuova rubrica si intitola fragmenta, in aperto omaggio ai Rerum vulgarium fragmenta, per una ragione sola: nel libello petrarchesco vi si può rintracciare l’origine della frammentarietà dell’uomo nel mondo, e voglio che i miei scritti possano essere un elogio all’incompiutezza e alla moltitudine. 

Ricerchiamo a tutti i costi l’unità e la compattezza e fuggiamo in ogni modo possibile la frammentarietà, pensando di farle scacco matto. 

Eppure tra i frammenti c’è uno spazio vuoto, che all’occorrenza si fa testimone delle versioni che conteniamo, o che siamo. Questo spazio è un abisso, un punto cieco, e tentare di farvi resistenza equivale a comprimersi in uno spazio che, non potendo essere abitato liberamente, non può dirsi anima. La vita non è altro che in frammenti sparsi. 

Petrarca si avverte scisso in due o in tre o in chissà quante personalità, consumato a fiamma lenta dai suoi desideri, in apparenza del tutto incompatibili: la volontà di avvicinarsi a Dio e la difficoltà a resistere al piacere dei sensi, tanto che Secretum dirà di soffrire di una malattia, l’accidia, che mescola uno stato di inerzia a uno più generale di insoddisfazione. 

Il suo amore per Laura è incontenibile, un fiume in piena o una qualsiasi altra forza della natura che non può arrestarsi, eppure rifiuta il suo sentimento e quasi lo maledice, e si sente incatenato perché la sua anima si trova impossibilitata ad assecondare i valori religiosi a cui pure crede sinceramente. 

La frammentarietà è l’aspetto più profondo dell’indole petrarchesca, perché è tutta un resistere e un lasciarsi andare. Spesso mi ritrovo a parlare di Petrarca come del “poeta sparso”, come sparse sono le sue rime per ascoltare il suono, e come sparse sono le sue moltitudini, che sono fonte inesauribile di ricchezza: forse Petrarca non lo ha mai compreso, o forse sì, ma queste sue moltitudini gli permettevano di accogliere in sé il cielo e la terra. 

In questo Petrarca è forse il più contemporaneo dei poeti, poiché ci insegna che il dissidio interiore è un valore propedeutico al diventare uomini e donne che riescano ad abitarsi ovunque abitino. Anche se la frattura interiore è per lui motivo di sofferenza e vergogna, questa si trasforma man mano in un tentativo di riconciliazione, che si compie del tutto quando accetta l’insanabilità della sua “antica e pericolosa malattia”, accogliendo la complessità dell’animo umano. 

Ben a poco gli sono valse le parole di Agostino, perché al termine del Secretum Petrarca non va incontro a nessuna conversione: riesce a far convivere in sé l’uomo cristiano e l’uomo umanista. 

Quando Agostino tenta di convincere il suo interlocutore a dedicarsi alla sola vita spirituale, Petrarca gli risponde che amare Laura gli avrebbe consentito ancora di più di amare Iddio, Alla speculazione filosofico-dottrinale di Agostino, che va un po’ perdendosi nella distinzione tra creatura e creatore, Petrarca risponde con un’affermazione di potenza altissima: l’amore per qualcuno non può che moltiplicare anche l’amore per Dio. 

Per arrivare a questo concetto, è necessario ancora una volta frammentarsi e attraversarsi quando si è frammenti. Nell’impermanenza dell’esistenza, siamo mutanti e mutiamo al riflesso di ciò che assorbiamo dal mondo. Per dirla con Petrarca, pace non trovo, et non ho da far guerra; / e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; / et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra; / et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.

 


 

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