Flussi e visioni di Zeudi Zacconi - "L'urlo bianco del cielo"

 

Zeudi Zacconi



È una caduta la nascita. Porta con sé l’urlo del mondo. Dalla frattura del cielo il trapasso di una morte incompiuta, e l’uomo una scaglia di luce, un residuo di perfezione. Da un altrove che un tempo fu detto, in altra lingua, in altra forma esistito. Poi lo strappo dei mondi, l’errore, l’oblio. O non fu detto mai. L’anello mancante alla comprensione dell’assoluto che opprime, l’eterno incompiuto sedimentato nel genere umano, la radice della perdita, la creatura abbandonata. Di contro la brama del tutto, del lutto la trama fittissima. L’inquietudine di un vivere a cui nulla basta, nulla a saziare la fame divoratrice del tempo, a colmare il terribile vuoto del salto.

Sopravvivere alla carne, alla domanda – non solo leopardiana – di questo frammento d’umanità: “ove tende / questo vagar mio breve […] ? che vuol dir questa / solitudine immensa? ed io che sono?*(1), che risuona come un’eco immortale.

Forse alito, cenere, aria. Forse corpo ansimante, rigetto di creazione, materia che anela la sua stessa fine. Ricongiungimento con la fonte. Forse anima errante, forse, imprigionato angelo. Tendere ad eternarsi, come un richiamo all’origine e in essa alla sparizione totale, alla dissoluzione materica. Solitudine immensa, alla ricerca – dilaniante e vorticosa – di altre solitudini.

Un fallimento di morte, dunque, la nascita. Una scandalosa verità che si teme di pronunciare. O una lacerazione della luce divina, un abbandono: ecco la mano degli dei che lascia la mano dell’uomo.

Dove ha dimora il mistero di cui ogni atomo che ci compone sembra portare traccia? Nel prima o nel dopo di noi, in un persempre mai esistito. O in un prima e in un dopo che si compenetrano nello spazio-tempo di un universo che non misuriamo. Oltre il varco del pensiero parallelo. Nell’aldilà.

Se tutto si compie su un altro piano – quello metafisico – dove risiede il significato di ogni cosa, ecco allora la Poesia attingere a questa fonte invisibile, da essa provenire, come diceva Cristina Campo. E il segreto dell’umanità è proprio in questo sentimento mistico, in questo sentire profondissimo che “les jeux se jouent sur un autre plan, les jeux se jouent dans l’invisible”, e che a questo altro piano siamo intimamente collegati, come parti imprescindibili di una complessità che si muove ad ogni nostro movimento, poiché il cosmo si modifica ad ogni modificazione interna. Si tratta di vibrazioni dunque, si tratta di energia, si tratta di flussi di luminosità: è ognuno che irradia.*(2)

Ecco allora la parola poetica come ricongiungimento tra i due mondi.

La Poesia può toccare il mistero: questo è il miracolo. Seppur non svelandolo fino in fondo, può vederlo - dono e tormento - può dirlo. Essa, sola, può rilanciarlo nel mondo, terribile come un ordigno, illuminante come una rivelazione, delicato e tremante come un sussurro, violento e disperato come un grido.

In questo senso la parola può evocare l’ignoto, può pronunciarlo, prepotentemente può risvegliare le coscienze disorientate e sperse, riaccendere gli spiriti, infiammare i cuori incatenati e protendere alla verità, seppure trasversale, della visione.

Sospese e fluttuanti le anime si sono scollate nell’Oltre e sono precipitate, in un tempo fuori dal tempo. Il corpo ha memoria di questo rituale misterico e non si dà pace. La pelle ricorda, vividissima scambia la pelle, la offre al desiderio di una stella morente che nell’estremo piacere dell’estinzione sfiora il divino, prima di polverizzarsi nelle sorgenti dell’ignoto. Si sovrappone, si tende a dismisura, si confonde fino allo strappo e ritorna alla prigionia del suo limite, fino alla resa e alla dimenticanza di sé, sotto strati di buio densissimo.

Nasce così il disagio dell’anima interrotta, che non riesce a compiere il suo destino nell’incarnazione. E il demone rischia di restare un ruggito strozzato, un istinto imprigionato e rabbioso, condannato a bramare ossessivamente la liberazione del proprio potere creativo, per realizzare la vocazione e permettere all’anima la sua espressione più autentica. Ci si pensa dannati dunque, nell’inganno di un razionale che non comprende altre dimensioni possibili – esiliati – costretti a perpetuare spasmodicamente, in questa realtà fisica, l’istante remoto e cadente della separazione, il lutto di sé.

L’incompiutezza delle forme, l’amputazione della fiamma e l’impotenza di fronte ad una comprensione più alta che sfugge diventano la piaga dell’umanità, che si accascia deturpata del bagliore primordiale. Ma è dalla crepa che può filtrare la luce. In questo flusso di morti e rinascite, di tentativi di innesto alla vita e di ritorno alla notte ancestrale dei tempi, prima dell’esplosione della scintilla sacra che generò i mondi.



T’insegno a morire per nascere di nuovo. *(3)



È dalla rovinosa decadenza che nasce l’impellenza della parola, che scalpita per essere detta, si contorce, si avviluppa, trepida per pronunciare il segreto.

La Poesia, dunque, come intuizione del mistero, come vocazione al trascendente. Essa può afferrare l’indicibile e scriverlo, restituire al mondo l'impronunciabilità della voragine e dell’eterna disfatta. Dell’eterna perfezione.

È qui tutta l’urgenza di tornare a rioccupare il proprio “disabitarsi”, di riconnettersi con una spiritualità perduta. Si tratta di ascoltare il disagio delle anime, di compiere l’atto estremo di fiducia nell’incomprensibile, nell’innominabile, che ci riconnetta al sentire dell’intero universo, al bisogno di dire che tutti siamo portatori della ferita del mondo, che ognuno è scheggia di dolore e scorcio di luce. Che i venti ci confondono, ma ci restituiscono alla terra dell’altrove.

È allora più che mai necessario, tornando alle parole di Cristina Campo, “dire alla gente, con brutalità o con dolcezza parimenti violente: ricordati che hai un’anima, e che un’anima può tutto” *(2).

Ascoltare la saggezza dell’anima ci ricongiunge al mistero dell’occulto e del sacro, al segreto della creazione, alla luce accecante dell’Oltre, attraverso il sussulto della parola.

La Poesia – luogo del non tempo – abbraccia così il dolore del mondo e lo ridona al mondo perché possa essere visto (“E tu, parola / che tramutavi il sangue in lacrime”) *(4) perché possa essere ascoltato. Perché non soffochi la luce. Essa ridona la chiarezza della visione, invita le anime a risanare quella stessa ferita che fu necessaria allo sguardo. Prima della sparizione, prima del ritorno alla fonte; “per riconoscersi voce / nell’urlo bianco del cielo.”



Ti ricordi di me ora? Sono tua madre,

l’imperitura forza che chiami anima. *(2)


Scatto di Simone Migliazza (Chiostro di Saint-Trophime, Arles)


Torno sola / tra due sonni laggiù […]

Torno a te che geli / nella mia lieve tunica di fuoco. *(4)




Riferimenti:

*(1) Giacomo Leopardi – “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” (Canti)
* (2) Cristina Campo – Intervista a cura di Olga Amman (Archivi RSI, 1977)
*(3) Alejandro Jodorowsky – “Io, i Tarocchi – La Poesia” (Lo Scarabeo, 2021)
* (3) Cristina Campo – La tigre assenza (Adelphi, 1991)



***

Zeudi Zacconi è nata a Tolentino (Macerata) nel 1980. Nel 2004 si trasferisce in provincia di Pesaro e Urbino per seguire gli studi di Psicologia. Lavora per anni come Educatrice nelle scuole e all’interno delle famiglie.

La passione per la Poesia nasce sui banchi della scuola media, mentre studia i versi de L’Infinito di G. Leopardi; da allora tale arte è il canale che predilige per rivelare il non detto e racchiudere frammenti di quell’immensità del sentire in cui altrimenti la parola si perderebbe.

La scrittura affianca la sua vita come un binario silenzioso e parallelo fino al 2020, anno in cui inizia a dedicarvisi più concretamente.

Nel 2023 esce la sua prima raccolta poetica Senz’angoli è il mare a cui mi aggrappo (4 Punte Edizioni – prefazione di Michele Carniel, immagini di Marianna Mariucci).

In continua ricerca e sperimentazione su di sé e sulle infinite possibilità della parola, scopre di recente il mondo della poesia performativa, dove il grido interiore si fa voce e corpo. Entra nel circuito LIPS e si esibisce nelle competizioni di Poetry Slam in giro per l’Italia, arrivando alla semifinale Marche.

Alcuni suoi inediti compaiono nel blog Le Parole di Fedro, a cura di Sergio Daniele Donati; uno di questi (“Morire di poesia”) riceve il riconoscimento speciale del giudice Giuseppe Vetromile al Premio Internazionale “Luigi Vanvitelli”.





Commenti

  1. Grazie per questo articolo, che condivido con gioia e piacere.
    Più Parole per scoprire il mistero della vita!

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    1. Grazie a te, per la lettura e la condivisione!

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