Deborah Prestileo - Marina attraversa i muri

             Deborah Prestileo
          


Esistono libri che chiunque dovrebbe leggere una volta nella vita, e la biografia di Marina Abramovic è uno di questi. Scritto in collaborazione con James Kaplan e pubblicato in Italia per Bompiani, Attraversare i muri è un libro emotivamente insostenibile, ed è questo elemento che ne fa un’esperienza di lettura mostruosa, nel senso che intendevano gli antichi, e cioè prodigiosa, portentosa, nel bene e nel male.  E lo è già dal titolo, che ci mette davanti alla realtà del limite: chi lo crea, e chi lo distrugge?

 

https://www.bompiani.it/catalogo/attraversare-i-muri-9788845295751


La vita della grandmother of performance art comincia nella Jugoslavia post-bellica, dove la dittatura comunista di Josip Broz Tito segna la carenza e la privazione della quotidianità, il grigiore di ogni cosa esistente e possibile. Neanche in famiglia le cose sono meno grigie: la madre è una donna autoritaria e intransigente, non si lascia andare a nessuna morbidezza con la piccola Marina, che non può che diventare una donna di spigoli. Nasciamo come contenitori vuoti, dice Marina, e ci lasciamo riempire di parole, e il nostro modo di reagire non è altro che il riflesso delle esperienze che abbiamo vissuto; e quello stato di innocenza primigenia viene a perdersi nel corso dell’esistenza, durante la quale si diventa vittime di sé stessi. Ed è in questo momento che si inizia a fare i conti con gli argomenti dell’esistenza umana, la paura e il dolore, amplificati dall’esperienza del limite. Un limite che l’artista serba cerca per tutta la vita, con un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione, ma che persegue con determinazione e convinzione.

Dagli orrori della deprivazione comunista e dalle mancanze di un contatto che possa dirsi materno, Marina arriva a sperimentare, con il proprio corpo e la propria anima, tra Occidente e Oriente, tutto ciò che può essere sperimentato: la natura umana, l’arricchimento del dolore, la conoscenza profonda del Sé interiore. Si espone al primitivo dualismo tra bestialità umana e istinto di protezione, e non si risparmia: rimane granitica e piange, come in un mistero inesplicabile. È, oserei dire, un’autobiografia delle fragilità, in cui Marina si mette a nudo, e spoglia l’esperienza di una vita intera vestendosi di parole, e in cui nulla è facile ma tutto è utile, in senso strettamente ovidiano. Dolor hic tibi proderit olim, scrive Ovidio negli Amores, “un giorno tutto questo dolore ti sarà utile”. 

I fallimenti sono molto importanti. Li trovo sempre molto significativi. Dopo un flop, entro in una profonda depressione in una parte oscura del mio corpo, ma presto torno alla vita, pronta a qualcos'altro. Sono sospettosa degli artisti che hanno sempre e comunque successo; penso che ciò significhi solo che si ripetono e non corrono abbastanza rischi. Se fai esperimenti, è inevitabile sbagliare. Sperimentare significa andare in territori dove non sei mai stato, dove il fallimento è molto probabile. Come fai a sapere che ce la farai? Per prima cosa bisogna avere il coraggio di affrontare l'ignoto. A me piace vivere nelle terre di mezzo, nei posti dove ti lasci alle spalle le comodità della tua casa e delle tue abitudini e ti apri completamente al caso, dice Marina.

Nel libro, il racconto di ogni performance è accompagnato da una fotografia e da una serie di rivelazioni in merito all’origine dell’idea, alle modalità di realizzazione, agli elementi che si vogliono comunicare, o più spesso capire. Ho trovato la scelta di inserire il reportage delle performance molto funzionale alla costruzione ex-post della vita dell’artista serba. Rappresentandole visivamente in mente – o cercandole anche su Youtube – si comprende come in ogni sua opera artistica, Marina abbia messo sé stessa, la natura umana e l’esperienza-limite del dolore, spesso e volentieri coinvolgendo anche il pubblico, che ne rimane atterrito, spiazzato. Perché non sa come reagire a una donna che esercita un potere e un controllo sul proprio corpo e sulla propria anima alienante, in modo disturbante ma che attira come un magnete. E vi stupirà sapere che questo disturbo arriva a sconvolgere persino le dinamiche politiche e gli equilibri mondiali.

 

Solitamente i miei consigli di lettura sono sempre costruiti sulla persona che ho di fronte, ma questo libro lo consiglio indistintamente a chiunque. Perché è un libro in cui la spiritualità viene celebrata attraverso la consapevolezza della carne, del corpo, dello spazio che occupiamo – e che siamo. E, in una società come quella attuale, troppo egocentrica ed individualista per riconoscere che l’esperienza della paura e del dolore, o quella dell’errore, può coinvolgere tutti noi, riscoprire gli abissi di certi interrogativi è fondamentale. Quello del tempo, tanto per iniziare. Pensiamo ad essere sempre più belli, sempre più ricchi, e non pensiamo a cosa potrà rimanerci alla fine di questa vita, o durante. Ci sfugge via. Abbiamo perso ogni contatto con l’umanità, con la spiritualità, e l’occasione per fare qualcosa di importante per l’altro, ogni giorno. Marina scopre il mondo della performance art da un’illuminazione: perché limitarmi a due dimensioni, quando potevo fare arte con il fuoco, l'acqua, il corpo umano? [...] mi resi conto che essere artisti significava avere l'immensa libertà di lavorare con qualunque cosa, o con nulla. E questa la mia illuminazione, al termine della lettura: anche a noi manca una terza dimensione, che è quella della spiritualità, del dialogo con sé stessi e dell’esistere non “al”, ma “nel” mondo, in una dimensione di contatto immanente. Per accettare l’oscurità come parte della luce, e non, differentemente da ciò che abbiamo sempre creduto, come suo opposto.


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