Gabriela Fantato - Parole come medicamenti

 

Gabriela Fantato


Quando, senz’asma 

il pomeriggio festivo,

m’incucchiaia 

il suo tranquillo animaecorpo 

scespirianamente sembra vita. […]


Giancarlo Majorino, Autoantologia (Elefante Garzanti, 1999)





Non occorrono medicamenti per gli accidenti
dell’anima che serve il corpo i sensi suoi
libera e non impedita
da acciacchi in molteplici negozi
netta da ogni miscuglio.

Jolanda Insana, Medicina carnale (Mondadori, 1994)

Fame di parole, parlare e masticare, deglutire e respirare: esistere. Attraverso la bocca la parola, attraverso gli occhi la vita e con il tatto conosciamo il mondo e gli altri. Afferrare o abbracciare, dunque, toccare e stringere, percepire il ruvido e lo scabro: esistere. E sapere il mondo dalla luce che lo fa apparire o dal buio che lo delimita. I nostri sensi vivi, aperti e attivi: noi siamo il nostro corpo. Avevo questa intuizione sin da adolescente, poi incontrai a Milano il poeta Giancarlo Majorino, con cui condivisi anni di letture e incontri, dialoghi collettivi nella redazione della sua rivista Manocomete e anche altri progetti; intanto scoprii la poesia di Jolanda Insana, che conobbi di persona, anni dopo. Majorino e Insana sono poeti della carnalità: la loro poesia è davvero “un corpo sonoro”, la voce del nostro abitare il mondo carnalmente.

Seguirono le letture di tanti altri poeti, come Maurizio Cucchi, Milo De Angelis e la poesia di Fernanda Romagnoli, Daria Menicanti, Cristina Campo e Marina Cvetaeva; ricordo l'importanza anche dei testi di Bonnefoy e T.S. Eliot, tra gli stranieri: tutti autori e autrici la cui parola nasce dal contatto, dallo scontro con il mondo. Sono state letture e incontri determinanti per me, che stavo concludendo gli studi di filosofia, a Milano, dove avvertivo una grande insofferenza, visto che avevo incontrato il pensiero di molti filosofi lontanissimi dal mio sentire. Soltanto nella filosofia antica avevo trovato dei riferimenti importanti, soprattutto nei Presocratici e poi nella grande figura di Socrate, ma via via che passava il tempo, arrivando all’età post cartesiana, dal 1600, era evidente lo strappo e l’opposizione tra il pensiero del Razionalismo filosofico e la strada percorsa dall’Empirismo e non trovavo alcuna conciliazione.

La forte dicotomia tra Io e mondo, tra corpo e mente, tra spiritualità e materia, di fatto, segna gran parte della filosofia occidentale: l’esasperazione della priorità della mente («cogito ergo sum», dice Cartesio), da una parte e, dall’altra, l’assoluta priorità ai dati concreti e tangibili, pensiamo all’empirismo di Locke: nessuna conciliazione! Ci furono però alcuni filosofi che mi suggerirono “una strada” da seguire e che sentivo mia. Mi riferisco in particolare a Gaston Bachelard, Merleau-Ponty e Marìa Zambrano, autori che incontrai tardi nel mio percorso e che mi permisero di avvicinare poesia e filosofia.  Merleau-Ponty, con la sua Fenomenologia della percezione e  il Visibile e invisibile, opere di cui dirò in seguito; Gaston Bachelard, di cui ricordo La poetica dello spazio (Dedalo,1975) e La poetica della rêverie (Dedalo, 1972), oltre ad altri volumi straordinari, un filosofo che scrisse: «La nostra appartenenza al mondo delle immagini è più forte, più costitutiva del nostro essere che non l'appartenenza al mondo delle idee». Di fatto, Bachelard cercò sempre un'epistemologia nuova, in cui si potesse superare l'opposizione tra Empirismo e Razionalismo: «Né razionalità vuota, né materialismo sconnesso», annota, e sostiene anche che l’attività scientifica richiede la messa in opera di un «razionalismo applicato» o di « un materialismo razionale», infine Bachelard dedicò gli ultimi anni di lavoro all’analisi del processo dell’ideazione della poesia.  E infine, io scoprii il pensiero di Marìa Zambrano, i cui testi sono accomunati da una continua ricerca di equilibrio tra un razionalismo "europeo" e una rivitalizzazione della tradizione "spagnola", in modo tale da carpire il lato più poetico dell'uomo e con la sua opera Filosofia e poesia, (trad. di L. Sessa, Pendragon,1998) iniziava per me un percorso che mi permise di riavvicinare filosofia e poesia. Della ricchezza, complessità e vastità del pensiero di Zambrano non si può fare qui un riassunto, cercherò di approfondirlo in seguito, con altri saggi, voglio tuttavia ricordare che Zambrano considerava la parola di poesia nata dal «rapporto erotico» con il mondo, quindi, una parola scaturita dal contatto, empatico e appassionato, con la realtà. 

Voglio soffermarmi ora sul pensiero di Merleau-Ponty che con il suo lavoro si prefigge di superare l’antinomia tra una coscienza senza natura (Cartesio) e una natura senza coscienza (Locke), infatti, nella Fenomenologia della percezione (Il Saggiatore, 1965; Bompiani, 2003), un’opera cardine, in cui si comprende che la percezione è la modalità originaria della coscienza, ma la percezione ha in questa concezione una dimensione attiva, non passiva, poiché è intesa come apertura primordiale al mondo della vita, al Lebenswelt, un’apertura innata e strutturale: il soggetto si affaccia alla realtà nella percezione e così ne coglie il visibile e l’invisibile. Pur partendo dalle tesi di Husserl, suo maestro, Merleau-Ponty infatti rinuncia alla postulazione husserliana («ogni coscienza è coscienza di qualche cosa») e sviluppa la tesi secondo la quale «ogni coscienza è coscienza percettiva» e definisce così uno sviluppo teorico alternativo all'interno della fenomenologia classica, indicando che la concettualizzazione deve essere riesaminata alla luce di un primato della percezione. Partendo dalla percezione, svolge poi un’analisi del linguaggio, inteso come “nocciolo della cultura”, visto soprattutto nei legami con lo sviluppo depensiero e del senso, arricchendo contemporaneamente la sua prospettiva, non solo attraverso l'analisi dell'espressività del corpo, ma anche prendendo in considerazione le patologie del linguaggio, oltre che i campi della creatività artistica, come  la pittura, il cinema, gli utilizzi letterari del linguaggio e la poesia. Nelle tesi del filosofo, dunque, diventa prioritario, il ruolo del corpo che non è mai solamente una “cosa”, un potenziale oggetto di studio della scienza, ma è la condizione necessaria dell'esperienza: il corpo è apertura percettiva al mondo, scrive Merleau-Ponty. Era proprio questo la risposta che cercavo! 

Io e mondo, materia e pensiero sono in stretta relazione se il processo di conoscenza è inteso come chiasma, dice il filosofo francese, un incontro biunivoco, di scambio e relazione, tanto che l’Io entra in contatto con il mondo attraverso il proprio corpo ed il mondo entra in contatto con noi, anzi, la carne del mondo si incontra con la nostra carne, annota Merleau-Ponty. Dunque è nell’esperienza che i corpi entrano in relazione e si modificano reciprocamente: è stata questa intuizione filosofica che mi ha permesso di avvicinarmi alla lettura e analisi dei testi poetici con uno sguardo carnale, potrei dire, così da cogliere la parola poetica a partire dall’esperienza e dal modo in cui quest’ultima trova voce nel linguaggio. La lingua trova nella poesia “la strada” per essere forma carnale del nostro abitare il mondo con il corpo; nella poesia si mostra l’apertura al mondo in cui intuire il “telos” del reale, le linee di evoluzione e il potenziale  che è sempre intrecciato al dato concreto, quell’invisibile che c’è, seppure non si dà immediato, nel reale, scrisse Merleau-Ponty, e n tal senso ricordo l’opera importante, ma incompleta perché il filosofo morì prima di poterla completare e rivedere, Il visibile e l’invisibile (Bompiani, 1969).

Le letture dei poeti e delle poetesse mi confermarono che la poesia ha la capacità di superare la dicotomia tra Soggetto e mondo, passando oltre il dualismo che ha segnato per secoli la cultura occidentale e che ancora oggi caratterizza il comune parlare quotidiano. A mio avviso, la poesia è una via di conoscenza e non soltanto forma di espressione del Sé e del proprio personale sentire: la poesia è una speciale verso la verità, se il concetto stesso di verità viene modificato seguendo l’impostazione di Merleau-Ponty: la verità è un processo esperienziale che si costituisce a mosaico ed è un divenire processo che non ha fine. Non esiste alcuna verità assoluta, eppure attraverso l’esperienza ognuno di noi approda a una verità carnale/ materica che scaturisce dal nostro abitare il mondo con il corpo Se accettiamo un’ impostazione esperienziale della conoscenza si supera il Nichilismo che attraversa in maniera nefasta la cultura occidentale, così come il Relativismo, che dà spazio a solipsismo e cinismo, abbandonandoci a una sorta di infinita solitudine, senza via d’uscita.

La poesia, dunque, è una conoscenza non fallace, ma che ci fa cogliere il reale e le sue potenzialità intrinseche, svelando il visibile e l’invisibile del mondo.


Commenti

  1. Magnifica traversata filosofica in cui Fantato, salda al timone della PAROLA ne traccia la sua storia ontologica e gnoseologica per svelare la potenza fondante di senso ed essere nella filosofia contemporanea che riannoda in modo ouroborico, in qualche modo, le illuminazione dei sapienti greci, Eaclito in particolare. Complimenti vivissimi davvero.

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  2. Grazie tantissime

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