Annalisa Lucini - Saverio Bafaro, Poesie alla madre

Annalisa Lucini


 Sulla madre tanto si è scritto, da sempre.

Quasi incarnasse il tema della Madre quella spinta iniziale per taluni scrittori, al punto di dedicarle esordi letterari.

Sarebbe stato di certo più facile parlare di Saverio Bafaro attraverso ciò che attualmente contraddistingue i suoi versi nello scenario letterario italiano. Ma, anche in considerazione del mio innato piacere di scovare tra le attuali tendenze, l’origine poetica di molti autori, non ho saputo resistere alla tentazione di recensire, non l’ultimo libro di Bafaro Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio Editore, 2024), ma un altro suo scritto, ossia Poesie alla madre.

In modo fulmineo, già a volerne delineare l’annosa questione, Antonio Veneziani – nella prefazione al testo – rimarca che «molta melassa e qualche verso fulminante, qualcuno» è stato scritto sul tema, sottolineando, invece, come Saverio Bafaro, percorrendo una strada antiretorica e fondendo archetipo e contemporaneità, sia riuscito a rendere “parola poetica” la madre.

Questa raccolta offre la visione di un Saverio Bafaro, definito da Veneziani «giovin poeta», considerata all’epoca la sua giovanissima età, che senza alcun dubbio incarna il suo essere versificatore ante litteram, prima dei “tempi”.

Nei versi iniziali è subito presente il guizzo verso visioni sospese, una vibrazione a metà tra l’idea della gestazione, la consistenza della vita che fluisce e che poi degrada verso la morte.



Madre che scrive la storia

voce di utero

lunga eco intubata:

dal principio fecondata

dal fluire seguita

dall’idea di morte conosciuta



Sempre nella prefazione di Poesie alla madre, Antonio Veneziani si sofferma sul fatto che «con lucida consapevolezza l’autore fa della madre un personaggio e del suo poetare un teatro allegorico del vivere. Presenta un teatro di vita, in un interno borghese che ogni tanto, però, vira verso altri mondi attraverso spostamenti, sdoppiamenti, sbandamenti. Dunque attore, il poeta scrivente, e attrice, la scrittura. Due protagonisti, forse troppo grandi per un foglio, ma certo troppo piccoli per il teatro che è la vita, e allora eccoli infilarsi maschere e subito togliersele per indossarne altre, in un continuo gioco di specchi e di rimandi. Eccoli travestirsi e travestire il mondo».




E cullo i miei figli

sul lago

sotto la luna

e ne mangio un po’ il cranio

le mie lacrime sono

latte buono



Attraverso i titoli dei componimenti poetici che si susseguono, è l’incedere del verso a offrire, ora l’espressione di luce, quasi salvifica e fonte di vita, ora il rimprovero, prima silenzioso e poi sempre più incandescente verso gli umani percorsi.

La presenza costante dell’alternanza di stati d’animo, rende la lettura quasi un attraversamento di tempi e spazi i quali, sebbene appartengano a un personale percorso emozionale e siano frutto dell’ispirazione dell’autore, creano, tuttavia, quell’immedesimazione fulminea tra chi legge e chi scrive.

E così quella «madre sull’orlo dei due mondi» diventa «coscienza espansa» e in essa risiede un’immagine nitida di un «occhio strabico su celesti e terrestri legioni».


Saverio Bafaro trasferisce poi negli oggetti, definiti nel titolo di una poesia “oggetti viventi” quell’idea generatrice in senso assoluto, insita nel corpo di madre che porta in sé alla luce.



Hai portato alla luce

dal groviglio di cose a cui hai salvato il respiro

la caraffa arancio dal becco di oca

reliquia di ombre quotidiane

lascito di genealogie consumatesi al sole

madre archeologa

degli oggetti che vivono



*



Madre che pensò al corpo

come delicato tempio

sede assolata

di un giardino perfetto.



*


L’anima è

madre

il bicchiere da te sostituito;

nella sera di fuoco

sul pavimento del vecchio cucinotto

si è sbrinata cadendo

in pezzi infiniti


Emerge, così, dirompente quell’immagine – in apparenza tirata fuori dal nulla – di un oggetto: «la caraffa dal becco arancione», che veicola il pensiero verso riflessioni intime. Un oggetto in grado di lasciare traccia indelebile, quasi a voler scavare labirinti esistenziali di «pezzi infiniti». E con tutta probabilità è anche questo sotteso emozionale che rende straordinaria la poetica di Bafaro ante litteram, nel parallelo tra i percorsi di vita dell’Io lirico e la madre. Così come accade nel sottile coesistere tra l’Arte e la Vita.


Saverio Bafaro, Poesie alla madre

(Prefazione di Antonio Veneziani, Calabria Letteraria Editrice - Rubbettino, 2007, pp. 60, € 7)



Saverio Bafaro è nato a Cosenza nel 1982. Poeta, psicologo, psicoterapeuta e critico letterario. È stato redattore di «Capoverso. Rivista di scritture poetiche» per cui ha curato il numero monografico Omaggio a Pavese (Orizzonti Meridionali, 2019). Dirige «Metaphorica. Semestrale di Poesia (Edizioni Efesto)». Ha pubblicato: Poesie alla madre (Rubbettino, 2007), Eros corale (e-book sul sito www.larecherche.it, 2011), Poesie del terrore (La Vita Felice, 2014), Carte di Carne (Freemocco, 2023), Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio, 2024). Ha curato la silloge postuma di Carlo Cipparrone Crocevia del futuro (L’arcolaio, 2021), la traduzione di Stickeen. Storia di un cane di John Muir (La Vita Felice, 2022) e Segni e Coincidenze – Catalogo della mostra di Mauro Magni e Giulia Napoleone con suoi testi poetici (Efesto, 2024).




Commenti

  1. Poetessa vera Annalisa Lucini /parla con i poeti vivi e son sicuro che / fa ritornare in vita quelli morti, / con il suo accorto scrivere d’incanto!

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