Alba Gnazi - Tutto qui
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Alba Gnazi |
Un giorno si mettono i piedi fuori dal letto e, domando la vertigine del soprassalto, si affiora al giorno, al giorno che spanna lucori di sogno dagli occhi, a un alter emerso - riemerso da un antico timore, che sgrana pian piano a un te cosciente Eccoti. Sei arrivato. È tutto qui, eh? Sei tutto qui.
E tu, che lo sapevi, ma bramavi, tendevi, credevi di poter essere altro - punteruolo, pula, pozza, paradiso - lasciami stare, sibili. Ti prego, implori.
Come sempre quell'alter in un minimo va.
In un minimo cade. E tu sei piedi, pietà, paura, pulsare.
Hai capelli acconciati dai sogni e dal buio, gualciti da una voce disabitata dal rimpianto.
Eccoti qui, sei ciò che resta. Sei questo e così. Questo e basta.
Guardi il contorno della tua sagoma sigillata al muro cercando di non badarci, di ignorare il torpore metallico della nausea tra naso e lingua, di camuffare con la faccia di sempre lo scempio della consapevolezza.
Ma il corpo si ribella da dentro, il corpo ammutinato punge, urge, brucia.
Lo stomaco si attorcia come nebbia intorno ai lampioni.
Il vocío ininterrotto dell'alter, e di ciò che non è stato, e di ciò che non sei stato, ronza, raschia, stride.
Quel giorno, in piedi fuori dal letto, coi passi stesi uno a uno, raggiungi chi ami e dici: È tutto qui, guardami. Sono il resto di me, vedi? Non c'è altro.
Ed è riso ed è pianto, mentre muori a te stesso, all'idea allevata tra battaglioni di reale, tra una sferza di malanimo e una di buonsenso.
Lune dopo, lune gonfie di tetti sghembi e bianco, appare un fenicottero dentro una nuvola, una strada tra due futuri - uno per, uno verso -, una carrozza fuori binario benedetta dall'arbitrio - dell'arbitrio sciagura e tempio - da prendere con un unico salto.
Guardami: so chi non sono ora, dichiari, mosso da una certezza scabra, umile, fioca. Ma promettente e semplice. Nuova.
È tutto qui, questo è quanto. Questo è già tanto.
Così, prima del salto, guardi chi ami e solo dici: Vieni?
E chi ti ama ti guarda e dice solo: Vengo.
*
Testamento
coi piedi giù e i sogni spazientiti
oltre il sopore,
quando il vento suona maggio
si scende fuori a masticare il sole
ci si fa spora di luce e raggio,
micro particella di lucentezza,
si diviene lascito di leggerezza.
*
Una poesia è una storia
una poesia è una storia,
il preludio a percorsi
scavati all'indietro, saturnalia
dell'intimo scuotimento;
è l'angolo sporto su bave di sole
dove un padre smette di invecchiare;
sono le unghiate di maestrale
sui campi già arati,
sui dossi sorretti dai rovi,
sul limitare dei fossi;
è un dirupo rigonfio di gigli
sbucati da un bulbo
a fine neve: lui certo lo dice
certe vite sono una storia di gigli
che il maestrale non scuote
lui certo gioisce di ogni nostra
comunione verde
quando, china a terra, la terra
carezzo, e l'erba, e so che ride
- divinità mai sazia del canto,
rapsodia di attese, padre:
che dal suo dove a mani nude
ancora compatta la terra:
poi consolato siede.
Sublime mi appare Alba Gnazi, scompare / la mia continua paura di dire, ora / so di avere trovato la voce che / parla per me già da tempo sepolto!
RispondiEliminaLuigi Nespoli scrive: “Sublime mi appare Alba Gnazi, scompare / la mia continua paura di dire, ora / so di avere trovato la voce che/ parla per me già da tempo sepolto.
RispondiEliminagrazie tantissime
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