Stefania Giammillaro – “Vendetta tremenda vendetta!” Quando l’amore manca di rispetto

 Stefania Giammillaro

 

[…]

L'amour est l'enfant de Bohème,
Il n'a jamais, jamais connu de loi;
Si tu ne m'aimes pas, je t'aime;
Si je t'aime, prends garde à toi! (Prends garde à toi!)
Si tu ne m'aimes pas,
Si tu ne m'aimes pas, je t'aime; (Prends garde à toi!)
Mais si je t'aime, si je t'aime;
Prends garde à toi!

 

- Trad.

[…]

L'amore è figlio della Bohème,
Non ha mai, mai conosciuto legge,
se tu non mi ami, io ti amo
se io ti amo, attento a te!



Habanera interpretata da Maria Callas, 1962


La Carmen, opéra-comique della seconda metà del XIX secolo del compositore Georges Bizet, colpisce per la sua sorprendente attualità.

La celeberrima Habanera - L'amour est un oiseau rebelle, da cui è tratto il brano citato in esergo, è un biglietto da visita, una reference letter della protagonista, la zingara Carmen, appunto, che dichiara di condurre la propria vita esattamente per come intende il sentimento amoroso da bohémien, minacciando l’eventuale malcapitato che dovesse legarla ad un qualche inspiegabile afflato di prestare attenzione: “Mais si je t'aime, si je t'aime/Prends garde à toi!

Un monito, insomma, che ha sapore di vendetta.

È una donna estremamente moderna che detta le regole di condotta cui gli altri, in specie gli uomini, devono soggiacere, ma che lei per prima non sarebbe disposta ad assecondare, nemmeno per cause di cuore. Così ammalia con il suo fascino da sirena incantatrice, il sergente Don Josè, il quale, per averla aiutata a fuggire dalla prigionia, è stato incarcerato e degradato a soldato semplice.

Carmen poi confesserà di essersi innamorata di José, ma il loro rapporto è costellato di continue minacce d’abbandono da parte di lei e dure messe alla prova. Sarà vero amore?

I tarocchi svelano un futuro nefasto per entrambi: la morte vicina prima di Carmen e poi di José.

Fu così che la fuorilegge decide di piegarsi devota alla ineluttabilità del destino, l’unico Dio in cui crede, e lascia José per preferire la corte del torero Escamillo, che le promette onori e ricchezze.

Ma José non si rassegna e la attende il giorno della corrida di Escamillo. Un’amica la avverte preoccupata della sua presenza, ma lei:

“Non sono donna da tremare davanti a lui, resto qui, l’aspetto… e gli parlerò.”

José le si palesa qualche istante dopo e nonostante le angherie e le mortificazioni subite, si dichiara ancora innamorato di lei:

“José: Carmen, siamo ancora in tempo, o mia Carmen, lascia che io ti salvi, te che adoro, e che mi salvi con te!

Carmen: No! so bene che è l’ora, so bene che mi ucciderai; ma, ch’io viva o che muoia, non cederò!”

Anche la famosa poetessa russa, candidata nel 1965 al premio Nobel per la letteratura, Anna Andréevna Achmátova (Bol'soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966) non cede, declinando la propria personale sete di vendetta senza “regali terribili” “di un fazzoletto odoroso e fatale”; ma non consegnandosi più a bieche ed ingannevoli lusinghe amorose: Anna sceglie di corrispondere con la propria assenza (mai più tornerò da te), colui che volesse rievocare “l’ ebbrezza delle nostre notti ardenti”.

Anna Andréevna Achmátova
 










Ah, tu pensavi che anch’io fossi una

che si possa dimenticare

e che si butti, pregando e piangendo,

sotto gli zoccoli di un baio.

 

O prenda a chiedere alle maghe

radichette nell’acqua incantata,

e ti invii il regalo terribile

di un fazzoletto odoroso e fatale.

 

Sii maledetto. Non sfiorerò con gemiti

o sguardi l’anima dannata,

ma ti giuro sul paradiso,

sull’icona miracolosa

e sull’ebbrezza delle nostre notti ardenti:

mai più tornerò da te.

(Da Anno Domini, 1921)

La promessa suggellata dalla Achmátova è firmata col sangue per rivendicare se stessa, la propria dignità di donna. La vendetta è rifiuto all’uomo che non merita il suo amore, che non merita lei come donna. Qui la modernità è resa da una donna che sa farsi rispettare, non è rappresentata da colei che non ha bisogno di nulla perché basta a se stessa, pena l’ammenda a carico di chi la contraddice.

 

Non è il tuo amore che domando.

Si trova adesso in luogo conveniente.

Stanne pur certo, lettere gelose

non scriverò alla tua fidanzata.

Però accetta dei saggi consigli:

dalle da leggere i miei versi,

dalle da custodire i miei ritratti,

sono così cortesi i fidanzati!

E conta più per queste scioccherelle

assaporare a fondo una vittoria

che luminose parole d'amicizia,

e il ricordo dei primi, dolci giorni…

Ma allorché con la diletta amica

avrai vissuto spiccioli di gioia

e all'anima già sazia all'improvviso

tutto parrà un peso,

non accostarti alla mia notte trionfale.

Non ti conosco.

E in cosa potrei esserti di aiuto?

Dalla felicità io non guarisco.

(Non è il tuo amore che domando, 1914 - La corsa del tempo, Torino, Einaudi 1992, traduzione di Michele Colucci)

La poeta non disdegna, quindi, l’amore in generale, ma rifugge dall’amore di colui che non la ricambia adeguatamente o dal quale non si sente valorizzata (non è il tuo amore che domando). Trapela quella costante (e forse mai appagata) ricerca della bontà negli uomini, che consta del tormento della poeta specie durante il periodo della censura.

La vendetta è piaga che si ritrova anche in Rigoletto, primo capitolo della c.d. trilogia popolare di Giuseppe Verdi

Il baritono Titta Ruffo nei panni di Rigoletto


Rigoletto:

Si, vendetta, tremenda vendetta

Di quest'anima è solo desio...

Di punirti già l'ora s'affretta,

Che fatale per te tuonerà.

Come fulmin scagliato da Dio,

Te colpire il buffone saprà.




Rigoletto è accecato dall’ira e desidera soltanto riscattare l’onore della figlia Gilda, tradita dal Duca di Mantova, presso la cui corte opera come giullare.

Tuttavia, il promittente vendetta diventa poi vittima di se stesso.

Così Rigoletto pensando di aver ucciso il Duca di Mantova, realizza che il sicario Sparafucile avesse in realtà pugnalato a sangue freddo la stessa Gilda, che in punto di morte gli chiede perdono per aver voluto sacrificarsi per salvare l’amato Duca, spirando tra le sue braccia

Allo stesso modo, anche la vendetta inizialmente promessa da Carmen, a chi l’avrebbe fatta innamorare, le si ritorce contro: Carmen si vendica con José quale unico uomo che si è permesso di contravvenire al suo schema contra legem (amoris), ricordandole che è il cuore a dettare regole cui neanche lei può sottrarsi.

[…]

José: Ma io, Carmen, io t’amo ancora, Carmen, Carmen, io t’adoro!

Carmen: A che serve tutto ciò? quante parole inutili!

José: Ebbene, se occorre, per piacerti, resterò bandito, tutto quello che vorrai, tutto, capisci… tutto! Ma non mi lasciare, ricordati del passato, poco fa ci amavamo!

Carmen: Mai Carmen cederà! Libera è nata e libera morrà!

E Carmen morirà per mano di José che, roso dalla gelosia, si trasforma in carnefice della vendetta di cui originariamente era stato vittima. I tarocchi avevano ragione: lei morirà per prima, lui morirà subito dopo, ma per pena d’amore.

Carmen morirà in nome di quella libertà che l’ha resa schiava di se stessa oppure paga della vera libertà, quella del condannato a morte, di cui il filosofo esistenzialista Albert Camus (Mondovi, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960) parla attraverso il terribile Caligola (Atto Primo – Disperazione di Caligola, Bompiani –Tascabili, 2015, p. 10 e ss.):

“Caligola: E va bene! Arricchirò le tue nozioni insegnandoti che non esiste che una sola libertà, quella del condannato a morte. Perché tutto gli è indifferente al di fuori del colpo che farà scorrere il suo sangue.

Ecco perché non siete liberi. Ecco perché in tutto l'impero romano l'unico uomo libero è Caligola, circondato da una nazione di schiavi. Per questo popolo orgoglioso delle sue libertà irrisorie è infine giunto un imperatore in grado di donare anche a lui una libertà profonda.

Fate conto che da questo momento sia sospesa sul vostro capo una condanna a morte, come per i più cari e liberi dei miei figli.”

 

 

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