Stefania Giammillaro - “Anche la morte ha vita finché racconta” su “Infinito andare” di Emanuela Dalla Libera

a cura di Stefania Giammillaro

Il termine danza deriva dal sanscrito Tan che significa “tensione”. Il Tan, a sua volta, deriva dalla tecnica del sitār (strumento a corde) e viene usato per indicare il finale dell'esecuzione in tempo veloce. Proprio per la velocità del movimento e la complessità della struttura, il tān è considerato quel momento artistico in cui si raggiunge il climax nell'esecuzione prima della chiusura o tihāī. (cfr.  Dizionario Indomusicale )

Infinito andare” (Il Convivio Editore, 2022) è, in tal senso, tensione versificata all’infinito, richiamo ancestrale, eco dei mondi lontani. La Della Libera ci offre uno spaccato onirico del mondo reale, che, muovendo dalla natura, si fa mistero. C’è un dire “oltre”, dove approda lo sguardo e ogni parola diventa invocazione, raccogliendosi in preghiera, librandosi in spirito.

È una profonda immersione dell’io poetico nella piena, quanto amara, consapevolezza dell’ineluttabilità del tempo che scivola tra le mani, che inevitabilmente scorre e si cristallizza in “teche di memorie” …

 

Elogio della solitudine

Amo il tuo apparire quieto nella sera

il tuo volto di luna sopra il mare

quando nel silenzio che intorno si diffonde

si scioglie il lento canto di un assiolo.

Amo il tuo tempo nudo e solo,

il tuo sostare negli angoli dove ombra

si fa il mondo nel riposo dei naufragi

consumati, nel perdono agli anni

incandescenti, ai segreti disvelati

negli orridi mondani, e il frastuono

tace di chimere chiuse dentro teche

di memorie, s’obliano in sinfonie di requie

i disciolti voli di ali troppo vicine al sole,

e resta, nella pace che sui colli si distende,

nella luce che come un gioco sfuma

all’orizzonte e di eterno un poco mi riempie,

resta la carezza del vento che scompiglia ,

resta di una vita scarna e spoglia la meraviglia

celata dentro un alito di foglie, e, pago

di sé stesso, dimentica le sue spoglie il tempo

nella schiarita vastità del cielo che riposa.

 

… o attraversa “arcane clessidre” dove “torneranno le ore”.

 

Lasciami qui

Lasciami qui, ancora un poco, finché l’ora

declina sul mare, e nel tramonto che svapora,

l’aria odora di quiete. Tra poco il cielo si riempirà

di voli, intorno alla vecchia  torre rondini

disegneranno trame, scenderanno dove la costa

si accende di silenzio e la risacca freme di cantici

d’amore. Non parlare. Voglio ascoltare il rumore

dei giorni alle mie spalle, il loro ridere felice

ammiccando dietro un tronco, il loro correre

in compagnia del vento sotto le vecchie mura,

e poi addormentarsi ignari dell’urto della vita,

dell’usura dell’anima e delle cose.

Lasciami in questa nicchia di silenzio, lasciami

tenere in mano il tempo, accarezzarlo in grembo.

Giorni verranno che ancora non sappiamo,

chiuse dentro una clessidra torneranno le ore

a rintoccare senza fine, incidendo, tra le ginestre

fluttuanti al vento, mattini chiari sulle rive placide

del mondo o turbinando inquiete tra le fronde

della macchia, dimentiche della promessa

dell’aurora. Lasciamo qui, ad ascoltare le voci

nascoste nel mistero racchiuso dentro il cosmo,

tra le radici degli alberi levati al sole, lasciami

le parole della terra, lasciami fondere questa mia ora

di cielo fuggitiva con l’eterno battito del mondo.

 

Il verso è nota intonata al cielo grazie al sapiente uso ritmato della parola, cadenzato da figure retoriche del suono, come il poliptoto a pag. 19 “che la quiete scenda come scende”, e il proliferare di consonanze e assonanze che l’autrice predilige alle rime per lo più interne.

Il canto del vento, la magica danza delle onde sono frutto, quindi, di una puntuale ricercatezza lessicale che emerge anche nella incisività di immagini folgoranti o, meglio ancora, "formule sensoriali" che la Dalla Libera lascia che sia il lettore a rintracciare tra le liriche, quasi alla stregua di una caccia al tesoro, per cogliere infine la perla custodita nello scrigno da disvelare. Ecco alcuni esempi: il soffio molle delle notti; l’immenso del silenzio dentro/ un fiore cresciuto lungo un muro; un segreto custodito a lungo come un dono; il silenzio/ rimaneva nelle orme affossate nella sabbia/di un vecchio che tardava il suo tramonto; solo un fiore rimane ora sulle tombe/a consolare giorni privi di risveglio; come nella sabbia le impronte dei ricordi/come nell’acqua l’inchiostro del passato; - e, infine, la mia preferita -  anche la morte ha vita finché racconta.

La parola poetica è scandagliata in ogni caleidoscopica prospettiva e funzione semantica, evocativa, sonora, sensoriale ad essa tradizionalmente ascritta.

Al riguardo, si ravvisa il ricorrere di immagini come “stagioni” che vengono declinate in accezioni diverse in base al diverso contesto poetico di riferimento, così le stagioni “a ritroso” de “i vecchi” a pag. 39 fanno da contraltare alla “furia del tempo/che divora le stagioni” della giovinezza di pag. 56, o ancora “il girotondo delle stagioni sopra il mondo” del piccolo Alessandro a pag. 59 cede il passo al “precipizio/di stagioni turbinate in isole di gioco” che appartiene al Silenzio di pag. 62. 

Quel Silenzio raccontato “nell’aperto paradiso dei poeti”.


L’hai cercato anche tu

L’hai cercato anche tu il giardino

Recintato, il paradeisos della vita.

Hai odorato la terra, l’era, il vento,

hai parlato a un rivo, a un fiore, un varco hai aperto al firmamento,

per trovarvi un nome, forse, il sorriso

di un istante, o forse un sogno

incastonato in un mondo di deserto.

Poi il vortice ti ha preso delle notti

impregnate di burrasca, la tua barca

non ha retto allo sconcerto e il vento

ti ha sospinto in riva al pianto,

con gli occhi hai toccato un nudo sasso

e il freddo ti è rimasto tra le dita.

Volteggiano ora all’aria le parole

che i tuoi rami hanno accolto tra le fronde

come foglie di un’eterna primavera.

Accese di presenza, tra i segreti che il tempo

mai non scioglie, nell’aperto paradiso dei poeti,

in mille voci ti raccontano in silenzio.


Infinito andare - Emanuela Dalla Libera (Il Convivio Editore, 2022)



Da ultimo, non per importanza, vorrei concludere questo percorso nell'armonioso canto di bellezza orchestrato dall'autrice, con la poesia che dà il nome alla raccolta, sancendo e restituendo il messaggio veicolato tramite la stessa e che un po’ abbiamo sin qui sussurrato.


Infinito andare

Di là dalla collina, in fondo all’orizzonte,

il mare sta immobile nella foga del tramonto.

A oriente, sopra le cime quiete dei cipressi,

sopra il sonno argenteo degli ulivi, lenta sale

la luna, e paziente in sé raccoglie il borbottio

delle fronde del vento inerme a trattenere il tempo.

Domani ci accoglierà di fronte un nuovo giorno ,

verrà dal magma muto che ancora non sappiamo,

risalirà portando sulle onde gli enigmi di un tempo

ancora spoglio, che poi, sfiorito, disperderà

nel grembo del silenzio l’odore del passato.

Si dissolvono così nell’infinito andare delle trame

dentro l’universo, le nostre diafane stagioni,

conflagra in nude spoglie il dolore della terra,

e migrano i pensieri come stormi all’orizzonte

a ricercare nel rosso del tramonto visioni perdute

dentro sogni, chimere a reggere l’ombra della sorte.

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Emanuela Dalla Libera

Nata  a Vicenza, laureata in Lettere e Filosofia all’università di Padova, ha insegnato negli istituti superiori. Dopo varie permanenze all’estero per ragioni familiari in India e negli Stati Uniti, da alcuni anni risiede principalmente in Maremma Toscana dove ha iniziato a dedicarsi alla poesia. Ha al suo attivo tre raccolte poetiche: “Lo sguardo altrove” e “Sedimentare il tempo”, entrambe edite da Gilgamesh, e “Infinito andare” edita da Il Convivio. Tutte le raccolte hanno ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, così come singoli testi in numerosi concorsi. Fa parte di associazioni culturali e poetiche.


 

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