Maria Pia Latorre - Uno sguardo per conoscere ed essere
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Maria Pia Latorre |
Quante volte abbiamo pronunciato drammaticamente questa frase, cercando di coinvolgere a noi l’interlocutore? E ci siamo resi conto che la soluzione al diverbio è venuta da sé, senza la necessità di proferire parola.
Perché lo sguardo è tante cose messe assieme nell’unico contenitore delle pupille.
Lo sguardo, per richiamare un’immagine informatica, è una schermata dell’anima senza icone di collegamento, è una richiesta di attenzione, la solerzia della luce nel dialogo, un sigillo di bellezza.
Lo sguardo, “porta dell’anima”, affascina da sempre, ed è il primissimo ponte di comunicazione per tutte noi creature quando veniamo al mondo. Lo sguardo come segno del meglio e del peggio che è in noi; e l’arte è profondamente sensibile al suo continuo richiamo attrattivo.
Prendiamo, per esempio, la seduzione che emana dallo sguardo del Giano bifronte, rappresentazione di vigile figura custode del tempo, da un lato quello scorso, che è sacra memoria, dall’altro quello futuro, nel suo continuo dispiegarsi oppure l’iconico sguardo della Venere di Sandro Botticelli.
Dietro lo sguardo si celano fragilità ed incertezze, respiri quasi trattenuti alla verità. Lo sguardo innamora, è il primo amplesso tra amanti, un’intima promessa di eternità. “Un tuo sguardo, una tua sola parola, mi dice più di tutta la saggezza di questo mondo”, Goethe fa pronunciare a Faust nell’omonimo poema.
Il mio sguardo è stato per me una conquista.
Essendo affetta da strabismo, per anni, anzi, per quasi tutta una vita ho evitato il mio sguardo a me stessa e al mondo. L’ho nascosto, bendato, come ha fatto Magritte con le sue tele, l’ho convinto ad una non vita. Poi qualcosa si è rotto. Come un guscio che ha fatto crack. Ed è comparso il mio sguardo strambo che aveva imparato a guardare lateralmente, a margine delle cose. Ora sta anche imparando a guardare in faccia gli altri, non posso dire “dritto” negli occhi, ma almeno lì intorno. E sta imparando a fregarsene dei difetti. Nelle foto ancora no, ma ci stiamo lavorando.
“Gli occhi degli altri sono le nostre prigioni; i loro pensieri le nostre gabbie”, ha scritto Virginia Woolf, a dimostrare com’è delicato questo dialogo muto che rischia repentinamente di scivolare verso un soliloquio monocorde, trasformandosi così in edonistica prigione.
Ma chi, più di tutti, ha percorso a fondo questa via divina è stato il filosofo Levinas, il quale ha parlato dello sguardo come di “rivelazione”. Per Levinas c’è un “Io” che entra in relazione con un “Tu”, proprio grazie allo sguardo. Difatti sguardo deriva da “sguardare” e cioè “guardare” e poi “riguardare”. Riguardare non è da intendersi solamente come guardare di nuovo, ma, in modo più profondo, nel senso che “mi riguarda”, è affar mio, me ne prendo cura.
“ L’amore è l’anello di una catena che inizia da uno sguardo e sfocia nell’eterno”, ha scritto Khalil Gibran. Lo sguardo ci apre ad un’etica della responsabilità. Esiste, dunque, un’etica dello sguardo che ci forma a leggere, interpretare e interagire con i “segnali” espressivi che ci giungono dagli altri. Un’etica che ci invita ad essere e a conoscere gli sguardi altri come il nostro sguardo, per aprirci all’altro, perché “solo uno sguardo può creare l’universo”; concordo pienamente con questa folgorante sintesi di Christian Morgenstern, a suggellare l’importanza di un’espressione all’apparenza effimera, ma che risulta essere la più rilevante forme di comunicazione umana.
Vi propongo, ora, una carrellata di poesie che hanno come fulcro lo sguardo. È interessante apprezzare come ogni poeta ne colga sfumature diverse.
Se tu mi guardi con i tuoi occhi di Pablo Neruda
Se tu mi guardi con i tuoi occhi
dai quali mi viene incontro la tenerezza
e se io guardandoti con i miei occhi
ti faccio spazio dentro di me,
in questo incrocio di sguardi
che riassume milioni di attimi e di parole,
in questo scambio silenzioso
che per entrambi è guardare e lasciarsi guardare,
in questo penetrare l’uno nell’altro
nel tempo con benevolenza,
ci è dato tessere la reciprocità di questo amore
e forse la gratuità.
Per Neruda lo sguardo è reciprocità e gratuità, dunque dono all’altro.
L'infinito di Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
Non commento ma semplice constatazione della grandezza di Leopardi che accosta il concetto di infinito al “guardo che esclude”. Da questa macula di mistero parte il volo più bello della letteratura italiana.
Canzone di Juan Ramon Jimenez
Quando le tue mani erano luna,
colsero dal giardino del cielo
i tuoi occhi, violette divine.
Che nostalgia, quando i tuoi occhi
ricordano, di notte, il loro cespo
alla luce morta delle tue mani!
Tutta la mia anima, col suo mondo,
metto nei miei occhi della terra,
per ammirarti, moglie splendida!
Non incontreranno le tue due violette
il leggiadro luogo a cui elevo
cogliendo nella mia anima l’increato?
Anche qui un originale accostamento, quello di anima e sguardo, reso con leggiadria dal grande spagnolo. L’immagine degli occhi dell’amata come violette divine abitano interamente la poesia, rendendoci concreto e palpitante l’amore tra i due.
Inferno - Canto III di Dante Alighieri
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose. [...]
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi. [...]
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote. [...]
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
Inferno - Canto IV
el’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov’io fossi. [...]
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa. [...]
Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne’ lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.
Abbassiamo lo sguardo per vergogna, paura o ritrosia, lo alziamo per difesa, ribellione, rabbia.
Non sciupo la bellezza dell’ultima lirica, composta da uno dei miei autori preferiti. Allora solo silenzio.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi di Nazim Hikmet
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all'ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d'Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s'illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d'autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà un giorno, mia rosa, verrà un giorno
che gli uomini si guarderanno l'un l'altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.
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