David La Mantia - Della poesia, dell'umanità, di cosa ci aspetti.

David La Mantia

La frase è celeberrima.

Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς (Ε gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce - GIOVANNI, III, 19)

In Giovanni significa che gli uomini preferiscono le tenebre del peccato alla luce della salvezza, ma, dalla fine del Settecento, prima con Foscolo, poi con Leopardi, il significato diventa antifrastico rispetto all'originale e di stampo chiaramente illuminista (o vicino al Lucrezio del De rerum natura): gli uomini preferiscono le tenebre dell'ignoranza della Religio e della superstizione perché hanno paura di guardare "il Vero", la Ragione.

Che cosa può riscattarci da questo buio? Ripensiamo al celebre detto, Homo sum: humani nihil a me alienum puto.

Con questa citazione, Terenzio crea una allegoria della commedia Il punitore di se stesso. Questa si apre con la figura del vecchio Menedemo impegnato nel lavoro in un giorno festivo e del vicino Cremete, che, preoccupato più che curioso, gli porge parola riguardo il motivo del suo essere nei campi. Dopo essere stato invitato da Menedemo a non interessarsi dei suoi fatti e della sua vita, Cremete risponde con fierezza che tutto ciò che è umano non può essergli estraneo. Tutto ciò che riguarda il prossimo, tocca direttamente tutti noi. Questa è la figura di Uomo designata da Terenzio: una fratellanza universale, in cui ognuno instaura un legame indissolubile con l'Umanità stessa, dettato dalla naturale e comune condizione di essere Uomini.

Siamo nati con l'esigenza primordiale di non sentirci soli.

La solitudine ci rende fragili, esposti alle lacerazioni, in balia delle difficoltà. Noi non siamo monadi, come credeva Leibnitz. Noi siamo quello che siamo perché è il nostro rapporto con il prossimo a qualificarci. Un genitore è tale perché ha dei figli, un amico è tale perché noi ci fidiamo di lui. Anche un eremita è tale perché si dissocia dagli altri. Un poeta è poeta perché riconosciuto tale. Una delle prime cose che dobbiamo fare tra noi è infatti farci riconoscere.

Le relazioni sono alla base della società di allora e di oggi. Tutti sappiamo inconsciamente che per sopravvivere dobbiamo prima convivere. Coesistiamo con un ingranaggio naturale, come pensavano Taine e poi Zola, che, quando funziona correttamente, permette un flusso continuo di dare e ricevere. A ogni semina corrisponde un raccolto.

Tutti, almeno una volta nella propria esistenza, riusciamo a dare una piccola parte di noi e a ricevere in cambio quanto ci spetta, come se, una volta donata la nostra percentuale, l'anima pesasse di meno e avesse bisogno di altro da ricevere, per non librarsi verso l'infinito. Ecco perché abbiamo la necessità di essere capiti, di continue risposte dalle persone a cui ci rivolgiamo. Il bisogno di condividere è un concetto che si spiega benissimo, negandolo. Non sai cosa sia, non puoi conoscerlo a pieno fin quando non ti viene tolto. Ed è in quel momento che diventiamo isole, senza ponti di congiunzione da attraversare, terre deserte in se stesse, aride di vita, sterili di sentimenti. Persino l'io fichtiano, già perfetto in sé, ha bisogno di creare un non io con cui confrontarsi.

Per migliorarsi.

La realtà è che nessun uomo può essere un'isola. Per quanto possiamo impegnarci a diventare autosufficienti, siamo parte di un tutto che noi stessi costruiamo ed alimentiamo.

Una allegoria molto profonda cita: "se una zolla viene portata via da un'onda, la terra diminuisce". Sebbene con inconsapevolezza, siamo un meccanismo che funziona solo se formato da ogni individuo, che adempie al dovere e diritto di essere Uomo. La terra, difatti, con una zolla in meno non cambia nella sua "sostanza", ma zolla dopo zolla? Alla fine cosa rimarrà di quella terra, della nostra società? I chicchi della melagrana hanno più forza nella loro compattezza.

lo credo tuttavia che non sia possibile partecipare alla vita con il mondo, se prima non si completa se stessi. Prepararsi all'Umanità significa abbracciarla, amarla. Vivere in collettività significa mantenere equilibrio morale e sociale. Solo un'anima consapevole del suo compito e rispettosa del crescere insieme può essere specchio di ciò che comunemente, sin dai tempi di Vico, definiamo "Civiltà".

Il buio in cui siamo immersi nella vita associata si supera con il rispetto, con la tolleranza, con un cuore aperto al bene.

Pensiamo a chi ha scelto in senso opposto. Molti studiosi ricordano come fosse proverbiale il costume degli Spartani di eliminare alla nascita i disabili, chi nasceva con capelli strani, con un colore della pelle che non apparteneva alla tradizione. Lo scopo era quello di arrivare a una razza superiore. Invece così non fu e probabilmente Sparta é scomparsa dalla storia, dalla poesia, dalla letteratura, dalla scienza, quasi dalla memoria, perché, eliminando i più deboli fisicamente o semplicemente i diversi, finirono per prevalere gli idioti o forse perché, essendo ormai costituita da stupidi, decisero di eliminare quelli che loro consideravano più deboli.

La paura erige muri, lo sappiamo benissimo. È naturale, è comprensibile difendersi da ciò che non si conosce. Lo fanno tute le specie animali, come i gatti che soffiano alle lucertole che neppure si accorgono di loro, come i cani che uggiolano ai ricci che si avvicinano. Ma i muri non fermano la storia, la rallentano forse, ma non la cambiano.

Mai.

E la storia racconta che non esistono vere alternative a comprendere il mondo degli altri, mentre la scelta opposta porta solo a genocidi, come nel caso degli Armeni e dei Maori.

Nella melagrana della nostra comunità poetica, allegoria della Melagrana dell'Umanità, questo passo deve essere ancora fatto. Eppure, nessun chicco deve andare perduto, anche quello che apparentemente sembra sporco o storto o lontano dai nostri gusti.

Solo così, amici, spingeremo le tenebre un po' più lontano, con la luce nel cuore, nel cuore della luce.

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