Alba Gnazi - Celeste, feroce
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Alba Gnazi |
Dal sogno al corpo in guardia
- un solo clic.
Il respiro governato dal furore.
Il cuore in bocca, cercando di capire.
Cos'è stato, cos'è - se c'è -, dove si trova quel…?
Sembra venire dall'armadio.
Sembra un gatto intrappolato nell'armadio.
Gratta rasp sbum sguisc il legno interno.
O forse no.
[- la corsa- lei scalza - foresta-]
È la porta.
Stormisce sugli stipiti nel vento.
Acceso, vitreo, vento della notte.
Nel torpore seguente - attimi? ore? - una macchina struscia di taglio strada e buio.
Torna da una festa? – una scheggia di coscienza fluttua nel sopore della piccola veglia.
O forse no.
La realtà ha presenze e uncini che non si lasciano indovinare.
Un déjà entendu sgrana suggestioni di ineffabile splendore.
C'è un passaggio – forse un sogno? -
prima? Dopo? - Lo stesso? - Un altro? –
combinato in rifrazioni di
cenere
Non si avvicini.
La lasci
stare
mentre intorno - o accanto - o dentro
brucia. Bruciano. Gli occhi, ora socchiusi.
Una lacrima sui capelli.
Basta una lacrima calda a far ritornare.
Dal dormiveglia al sonno ancora il vento.
Celeste e feroce.
Sembra portare il mare dappertutto.
Sembra quasi di poterlo toccare.
Bianco come Primavera. Come una voce partorita da un sogno.
Trama di un utero che si apre e continua a fiorire, che forgia aurore incendiarie.
Ciò che è salvo.
Che sempre nasce.
PrimoVere.
*
Primavera filtra bianco quasi sporca
e già sfatta di fiori dolciastri
e profumi negli occhi,
il pruno il mandorlo il gelso,
il biancospino che ogni anno
torna a salvare.
Mi commuove l'urgenza
di ogni prima volta,
la risalita da un antico buio,
lo scalpore non visto
che esulta di collina in collina.
A suo modo compirà
la gioia indocile dei mondi,
il loro fertile, incessante divenire.
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