Stefania Giammillaro - "Quando mangio mi sento in colpa"
di Stefania Giammillaro |
- 28/11/2013: data del
ricovero
- età: 26 anni
- altezza: 172 cm
- IMC (indice di massa
corporea): 17, a fronte di un minimo pari a 18,5
- due lettere “S. G.” sulla
cartella per motivi di privacy
Questi i numeri che
contano il dramma esistenziale di chi soffre di “fame d’amore”.
Il dizionario online
Treccani definisce l’“Anoressia” [dal lat. tardo e mediev. anorexia, gr. ἀνορεξία,
comp. di ἀν- priv. e ὄρεξις «appetito»] come “mancanza d’appetito”, in realtà
l’anoressico, il bulimico, così come chiunque affetto da un disturbo del
comportamento alimentare “soffre la fame” perché la sente, terribilmente.
In tal caso ἀ privativo si
ferma all’accezione di “privazione”: si sente la fame - sarebbe innaturale
altrimenti-, ma si adottano meccanismi malsani per vincere tale sentore; ci si
priva, insomma, della fame che si sente.
Il desiderio di morire (di
fame) e l’istinto di sopravvivenza (al minimo sindacabile) sono i due
legislatori che regolano la vita di chi è affetto da un disturbo del
comportamento alimentare, ma, essendo gli unici “detentori del potere”, entrano
in guerra tra loro ed è una guerra intestina e quotidiana da cui esci
inesorabilmente sconfitto, a pezzi.
Non puoi vincere se sei tu
che attacchi e sei tu che ti difendi o, quantomeno, ci provi.
Ogni giorno è, quindi, un
guanto di sfida lanciato al minimo della sopravvivenza e al massimo della sofferenza:
quanto poco devo mangiare oggi in base a quanti chilometri devo macinare, in
base a quanti risultanti eccellenti occorre raggiungere, parametrati alle calorie
che devo consumare.
La misura della vita è
direttamente proporzionale alla misura della morte e tutto è assorbito in un
grido di aiuto ingoiato nel dolore che ti risucchia, a volte, senza scampo.
Al di là dei numeri sopra
indicati e della diagnosi (la mia: “N.A.S.” acronimo per "disturbo del
comportamento alimentare non altrimenti specificato", ossia una via di mezzo tra
anoressia e bulimia), la nuda, cruda e atroce verità si realizza col tempo,
dopo quella lungo-latenza media di sette anni, che, personalmente, ho
attraversato interamente.
Verità che si racchiude in
una frase esatta, precisa: “Quando mangio mi sento in colpa”.
La “colpa”: sintomo per
antonomasia, sintomo per eccellenza di un disturbo che “disturba” l’anima, la
corrompe per un tozzo di pane, concedendole solo l’odore che proviene dalle
vetrine delle botteghe.
La colpa che si sconta con
una condanna autoinflitta, la colpa di non poter essere amati per ciò che si è,
la colpa di non sapere “come” poter essere amati altrimenti.
“Quando mangio mi sento in
colpa” equivale a “quando vivo, quando esisto per come sono, mi sento in colpa,
in mancanza o in attesa di trovare un nuovo certificato di amabilità”.
Certificati di amabilità che
si rinvengono nei voti altissimi conseguiti a scuola o all’università, nei
brillanti traguardi raggiunti, nella smania di perfezione, nell’ossessione del
controllo.
Si inizia con il voler
tenere tutto sotto controllo, si finisce con il perdere il controllo su tutto.
Una domanda potrebbe nascere a questo punto spontanea: “Perché parlare di tutto questo oggi?”
Giornata del Fiocchetto Lilla |
Oggi, 15 marzo, ricorre la giornata nazionale del “Fiocchetto Lilla”, ossia la giornata dedicata ai cc.dd. “D.C.A.”, acronimo per “disturbi del comportamento alimentare” quali: anoressia, bulimia e binge eating disorder.
Ha origine in America,
mentre in Italia è stata promossa per la prima volta nel 2012 dall’Associazione “Mi Nutro di Vita”
ed è nata per volontà di un padre, Stefano
Tavilla, in onore e ricordo della figlia Giulia, affetta da bulimia nervosa, scomparsa proprio il 15 marzo.(cfr.
www.associazione-midori.it )
La
scelta del lilla non sarebbe casuale: questo colore, che unisce
il calmo blu al vibrante rosso, rappresenterebbe
la dualità dei D.C.A.,
o meglio, un richiamo alla complessità di queste condizioni, invitando ad un
approccio empatico e informato. Il disturbo del comportamento alimentare è,
infatti, multifattoriale in quanto attiene alla sfera psicologica,
fisico-nutrizionale, ormonale. Il team deve essere composto da almeno tre
esperti: psicoterapeuta, nutrizionista, ginecologo.
Ebbene, in occasione del
giorno dedicato al disturbo che ha corrotto la mia esistenza per (almeno) sette
anni, scelgo di farmi testimone di questo sintomo che logora, di una malattia
che può portare alla morte, ma dalla quale si può guarire.
Sì, si può guarire e si
guarisce, sebbene si tratti di ferita che si cicatrizza lasciando il segno.
Lascia il segno perché se
guarisci da un D.C.A. cominci a riconoscerti e a “riconoscere” chi e cosa ti sta
intorno e, dopo una tale folgorante epifania, è pressoché impossibile tornare
indietro.
D’altronde, meglio riprendere
da un nuovo inizio, piuttosto che tornare indietro in un passato che ha portato
ad un doloroso presente, no?
Allora, come si guarisce? Innanzitutto
seguendo i consigli, le terapie degli esperti, ma, sicuramente, un
inconfondibile tratto distintivo di speranza è costituito dal coltivare le
proprie passioni sia sportive che artistiche, vero e proprio toccasana per la
mente e lo spirito.
Perciò, all’ulteriore plausibile domanda: “perché dedicare un articolo ai disturbi del comportamento alimentare all’interno di un blog di ispirazione prevalentemente poetica, storico-filosofico-letteraria?” si risponde con il recuperare la funzione sociale della poesia, valorizzandola come strumento di sensibilizzazione, o meglio ancora, ponendo l’accento sulla funzione salvifico-sociale della stessa: la poesia salva e permette di riscattarti all'interno della comunità cui appartieni.
Credetemi, è il primo passo
reale verso l’autoconsapevolezza di sé:
“ti immagino Venere bellezza
ed
annego, di nuovo,
in
rovine di freschezza.
Rifuggo
all’ombra che già precoce annienta,
e
feroce divora l’inutilità delle vane attese.
Mentre
io inappetente aspetto sulla soglia,
come
chi aspetta quell’amor,
che
più non torna.”
Così scrivevo al
culmine del mio “malessere”, chiamato Mostro,
sicuramente acerba, stilisticamente immatura, ma conscia di attendere
inutilmente e “inappetente” quell’ amor che mai tornerà, se non sono io per
prima a “nutrirlo” per me stessa.
Credetemi, la Luce ci aspetta, sta a noi volerla accogliere,
sta a noi vederla.
🙏💗🙏
RispondiElimina<3
EliminaGrazie Stefania
RispondiEliminaGrazie a te!
EliminaCoraggiosa Stefania! Un caro abbraccio. Nadia
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