Marco Brogi – Gianni Mura, Marco Pantani ed io
Innamorato del ciclismo, del calcio, degli irregolari, dei cantautori e della poesia, ma anche del buon vino e della buona tavola, Gianni Mura se ne è andato definitivamente in fuga quattro anni fa. E da allora siamo tutti un po’ più soli.
Lo incontrai a Sanremo,
al Club Tenco, la rassegna della canzone d’autore dove lui era di casa e
banchettava di gusto con Guccini, Vecchioni, Jannacci,
Paolo Conte e tutti i grandi cantautori, discettando di musica, politica,
poesia, calcio, ciclismo. Senza tuttavia dimenticare l’arte del cazzeggio,
quello vero tra amici che non ne vogliono sapere di lasciarsi e andare a letto.
Diventammo amici
grazie a tre amori in comune: le canzoni di Brel e Ferrè, la
poesia, e le imprese di Marco Pantani: ciclista di altri tempi, gambe di
acciaio e cuore disarmato.
Al campione
trovato morto in una stanza dell’Hotel Le Rose di Rimini il 14 febbraio
2005, sette anni prima Gianni Mura aveva dedicato un bellissimo poemetto
in rima per cantarne le gesta e l’anima antica: endecasillabi eleganti, lievi,
di cui non conoscevo l’esistenza e che ho scoperto qualche mese fa per caso. È
un poemetto lunghissimo, e per motivi di spazio riporto solo la parte finale:
A testa nuda, l’uomo che va via
piacerebbe anche a Pindaro, ad Orazio,
a Saba, a Marinetti, è poesia,
è il cuore che si fionda nello spazio,
è forza pura, sogno e fantasia,
lancinante piacere, estremo strazio.
Uomo-martello e insieme uomo-incudine,
milioni di persone e solitudine.
Panta rei, tutto scorre. Panta corre
arando a larghi colpi la montagna,
saltellando fra pinnacoli e forre
sotto un cielo che brucia o che bagna.
È un grido dal più alto della torre,
parte dai Pirenei e arriva in Spagna.
Cane tra i cani, fiuto sul cammino.
Ecco, adesso si toglie il berrettino.
In Francia ho portato un mio violino
di parole di carta rattoppata.
Lo suono meglio se mi batte il cuore
come a un vecchio, come a un bambino.
Cambio il ritmo, cambio pedalata
perché bisogna pur farla finita
anche se ho voglia di continuare.
Oltre la lunga e lenta ala del mare
dormi, Marco, e sogna. Sul cuscino
ti veglierà una stella innamorata
è t’accompagnerà tutta la vita.
(Gianni
Mura per tuttoBICI settembre 1998)
La
morte di Marco Pantani, anche per come era avvenuta, mi colpì molto.
Pochi
giorni dopo, ancora sopraffatto dalla commozione, gli scrissi una lettera
immaginaria. Gianni lo aveva cantato da vivo, all’apice dello splendore e del
successo, io - purtroppo -quando la sua corsa era finita. Ma sempre amore era.
Quella lettera è indirizzata anche a Gianni e alla nostra amicizia.
Caro
Marco,
come stavi un attimo prima di firmare un autografo? Chi eri mentre facevi la doccia? I sogni arrivano fuori tempo massimo. E la classifica è compromessa. Si è capito in ritardo che togliendo la bandana, affidandola al vento, preludio della festa, liturgia dell’uomo solo al comando, cantavi una canzone disperata. <Addio torrida tristezza, problemi sentimentali, addio bassezza, addio sudore a fondo perduto, fantasmi criminali, neve di città, addio mediocrità, orecchie da Dumbo, ve lo faccio vedere chi sono io, addio vecchiaia dei miei genitori, addio, destino a forma di piadina, addio stupida mattina, addio, addio. Vado in fuga, salgo su, su, sempre più su, fino a sentire la tosse di Dio. Addio, addio>. Le tue cime ti salutano. Dicono che sei stato all’altezza. Il Sestriere a quest’ora è tutto bianco e ha voglia di te.
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