Marco Brogi – Gianni Mura, Marco Pantani ed io


Innamorato del ciclismo, del calcio, degli irregolari, dei cantautori e della poesia, ma anche del buon vino e della buona tavola, Gianni Mura se ne è andato definitivamente in fuga quattro anni fa. E da allora siamo tutti un po’ più soli.


Giornalista, scrittore, cantore degli ultimi, re dei calembour e degli anagrammi e da ragazzo anche autore di versi (la sua silloge giovanile uscita nei primi anni ‘60 purtroppo è introvabile e lui ha sempre fatto di tutto per nasconderla), i poeti li leggeva con voracità e li frequentava anche. Si vedeva spesso con Giovanni Raboni e la sua compagna Patrizia Valduga, e nei Cattivi pensieri, la sua inimitabile rubrica su Repubblica, proponeva spesso autori inesplorati ma sempre di qualità. Sono stato fortunato ad averlo conosciuto e ad essergli stato amico per un breve tratto di strada.

Lo incontrai a Sanremo, al Club Tenco, la rassegna della canzone d’autore dove lui era di casa e banchettava di gusto con Guccini, Vecchioni, Jannacci, Paolo Conte e tutti i grandi cantautori, discettando di musica, politica, poesia, calcio, ciclismo. Senza tuttavia dimenticare l’arte del cazzeggio, quello vero tra amici che non ne vogliono sapere di lasciarsi e andare a letto.

Diventammo amici grazie a tre amori in comune: le canzoni di Brel e Ferrè, la poesia, e le imprese di Marco Pantani: ciclista di altri tempi, gambe di acciaio e cuore disarmato.

Al campione trovato morto in una stanza dell’Hotel Le Rose di Rimini il 14 febbraio 2005, sette anni prima Gianni Mura aveva dedicato un bellissimo poemetto in rima per cantarne le gesta e l’anima antica: endecasillabi eleganti, lievi, di cui non conoscevo l’esistenza e che ho scoperto qualche mese fa per caso. È un poemetto lunghissimo, e per motivi di spazio riporto solo la parte finale:

 

A testa nuda, l’uomo che va via

piacerebbe anche a Pindaro, ad Orazio,

a Saba, a Marinetti, è poesia,

è il cuore che si fionda nello spazio,

è forza pura, sogno e fantasia,

lancinante piacere, estremo strazio.

Uomo-martello e insieme uomo-incudine,

milioni di persone e solitudine.

Panta rei, tutto scorre. Panta corre

arando a larghi colpi la montagna,

saltellando fra pinnacoli e forre

sotto un cielo che brucia o che bagna.

È un grido dal più alto della torre,

parte dai Pirenei e arriva in Spagna.

Cane tra i cani, fiuto sul cammino.

Ecco, adesso si toglie il berrettino.

In Francia ho portato un mio violino

di parole di carta rattoppata.

Lo suono meglio se mi batte il cuore

come a un vecchio, come a un bambino.

Cambio il ritmo, cambio pedalata

perché bisogna pur farla finita

anche se ho voglia di continuare.

Oltre la lunga e lenta ala del mare

dormi, Marco, e sogna. Sul cuscino

ti veglierà una stella innamorata

è t’accompagnerà tutta la vita.

(Gianni Mura per tuttoBICI settembre 1998)

 


La morte di Marco Pantani, anche per come era avvenuta, mi colpì molto.

Pochi giorni dopo, ancora sopraffatto dalla commozione, gli scrissi una lettera immaginaria. Gianni lo aveva cantato da vivo, all’apice dello splendore e del successo, io - purtroppo -quando la sua corsa era finita. Ma sempre amore era. Quella lettera è indirizzata anche a Gianni e alla nostra amicizia.

 

Caro Marco,

come stavi un attimo prima di firmare un autografo? Chi eri mentre facevi la doccia? I sogni arrivano fuori tempo massimo. E la classifica è compromessa. Si è capito in ritardo che togliendo la bandana, affidandola al vento, preludio della festa, liturgia dell’uomo solo al comando, cantavi una canzone disperata. <Addio torrida tristezza, problemi sentimentali, addio bassezza, addio sudore a fondo perduto, fantasmi criminali, neve di città, addio mediocrità, orecchie da Dumbo, ve lo faccio vedere chi sono io, addio vecchiaia dei miei genitori, addio, destino a forma di piadina, addio stupida mattina, addio, addio. Vado in fuga, salgo su, su, sempre più su, fino a sentire la tosse di Dio. Addio, addio>.  Le tue cime ti salutano. Dicono che sei stato all’altezza. Il Sestriere a quest’ora è tutto bianco e ha voglia di te.                                     

 

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