Ivana Rinaldi - La gioia e l'arte della vita
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Ivana Rinaldi |
Anche nel più oscuro / e acuto dolore / c’è una scintilla/di felicità / che spacca l’angolo / e illumina/ l’estrema periferia.
Giovanni Prosperi
Ho pensato a lungo prima di scegliere ciò di cui parlare per dare voce al sentimento della gioia. E forse della felicità e del sogno. Difficile circoscrivere un sentimento così ineffabile. Sin dall’antichità, poeti, filosofi/e, scrittori/scrittrici ne hanno parlato, a cominciare da Epicuro.
E d’improvviso si è accesa la scintilla: quella di cui scrive Giovanni Prosperi, poeta scomparso il 3 luglio 2021, che con pochi versi riesce a offrirci uno squarcio illuminante e intenso.
Dove andare quando si è in preda al dolore per uscire da ciò che è immobile e ci costringe nell’oscurità. Andare, andare verso l’estrema periferia, quella che non conosciamo, un viaggio verso l’interno e verso l’esterno. Una pratica esercitata da sola o in compagnia, nei luoghi capaci di suscitare stupore e meraviglia perché ricchi di storia, di storie, luce, sapori, profumi, architetture creati dagli umani e dalla natura.
È quello che fa Annalisa Comes in Ouessant. L’isola delle donne. Diario di una residenza sull’oceano, (Iacobelli, 2023).
Un libro di una donna sulle donne che offre una doppia gioia: quella di leggere e allo stesso tempo di viaggiare con la fantasia. Si viaggia con il corpo, con i sensi accesi: vista, udito, tatto, gusto, ma anche con la mente, se l’autrice, come in questo caso, sa condurci per mano a Ouessant, ultimo pezzo di terra francese a tredici miglia dalla costa della Bretagna.
Vi vivono stabilmente ottocento persone, eredi di una storia antica. Non è terraferma, una terra stabile, sicura, ma mobile, che resiste, è più mobile della terra e dell’essere umano, scrive l’autrice. Un pensiero che mi trova profondamente d’accordo. Nulla è più mutevole dei mesi, dei giorni, delle stagioni: “Rimanere fermi significherebbe ostacolare la nostra natura, equivale a morire, perché smettiamo di interrogarci, di spostare la nostra visuale, il nostro punto di vista che è l’unico modo per vedere e incontrare l’altro”.
Dio ingiunge ad Abramo: Lekt, Lekta! Vattene via! Ovvero abbandona le tue certezze.
Scrive Annalisa Comes che viaggiare a Oriente è andare verso il sole, verso le origini; a Occidente verso il tramonto, in direzione del futuro e dell’ignoto, la “disparizione”.
Ouessant non è solo un viaggio alla ricerca di un luogo dove le donne hanno saputo sostituire gli uomini, marinai specialmente che si arruolavano e spesso non tornavano, nella gestione della vita pubblica e quotidiana svolgendo mille mestieri, anche quelli più duri, tradizionalmente maschili, che ha permesso loro di sviluppare un carattere forte e risoluto, di fondare una società matriarcale che dura fino alla metà dell’800 – sono le donne a chiedere la mano degli uomini - ma è anche metafora della vita, della scoperta, della gioia che alimenta le leggende del passato portandole in immagini del presente senza farne una zavorra. “Un’ancora mobile gettata al largo”.
Scrive ancora Giovanni Prosperi: “Nell’immobile/avevo perso il piano della sirena/mentre stirava le vele/ Inutile gettare l’ancora”. Non a caso Ouessant è l’isola dei marinai. In questa estetica della vita che accomuna coloro che non si privano della curiosità della conoscenza, moderni Ulisse, di guardare con rinnovato stupore il giorno, la notte, le stelle, la spuma del mare, le ombre, e tutto ciò che ha forma nell’universo: oltre lo sguardo e lo spazio che ci è concesso di vivere, forse possiamo trovare le ragioni di una gioia duratura e non effimera.
Guarda straniero, ora quest’isola
che la luce scopre a balzi per la tua gioia,
resta qui saldo e muto,
che attraverso i canali dell’udito
vaghi al pari di un fiume ondivago
del mare.
Qui ai bordi del campetto fa una pausa
dove il muro di gesso cede alla schiuma e il suo alto zoccolo
s’oppone alla marea
che bussa e becca
e i ciottoli rincorrono il risucchio
e il gabbiano posa per un attimo
sul lato a picco.(...)¹
Viaggiare dunque alla scoperta di sé stessi/e, di altri modi di concepire la vita e la società, per una sempre rinnovata meraviglia che è il senso del nostro esistere. L’uomo (e la donna) felice non è colui/colei che vive al sicuro sulla terraferma e osserva il mare in tempesta, come scriveva Epicuro in Lettere sulla felicità. Ovvero libero dalle ansie, dai timori, dai cattivi pensieri e dai desideri irrealizzabili, ma la virtù di realizzare la propria creatività nell’incontro con il sé e l’altro.
Persino nel dolore, scrive Giovanni Prosperi, c’è una scintilla di felicità, un sentimento diverso dalla gioia che pur le assomiglia.
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