Stefania Giammillaro - su "Io sono ramo che non teme il peso della neve" di Claudia Olivero - Inediti
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nota a cura di Stefania Giammillaro |
Un’illuminazione, quasi folgore che si palesa davanti agli occhi e pur accecandoti, non puoi non vederla. Se volessi spiegare l’effetto che hanno sortito su di me i versi di Claudia Olivero utilizzerei questa espressione: “illuminazione”, nell'accezione descrittiva sopra detta. Non puoi non riconoscere il “vero” delle sue parole, che rendono testimonianza al Creato, alla natura umana:
Io sono bellezza
Io sono natura
Io sono ramo
che non teme il peso della neve,
non la solitudine della nebbia
Io sono l'albero antico
dei geni che porto in corpo,
dei canti uditi, già -
prima di essere
Io sono foglia
che muta rifrangendo luce,
sono la foglia
che non si oppone al suo nascere,
ombreggiare, svanire
Natura umana che si fa, disfà, si ripete, si rigenera nella sua tridimensionalità.
Ho bisogno di dire –
di dirti
un'altra vita,
in cui non si entra per difetto –
perché siamo tridimensionali
e qui ogni taglio è alcova –
intaglio da cui ciò che fuoriesce
prende forma. E' la forma
di una vita.
Un'altra vita.
La Olivero delinea chiara la circolarità della vita terrena, fonte sorgiva continua che anela al trascendente. Parla dell’umano, della vita e della consapevolezza di entrambi, rendendone giustizia.
I versi della Olivero costituiscono anche occasione per ritirarsi tra “cielo e terra”, consci del peso, del corpo che ci presenta al mondo immanenti e fragili. Descrive un sospiro che ci appartiene latente e soffocante e che si ritrova nel dolore sospeso, nella fame dei grovigli, nel silenzio “ombelicale”.
Dolore Sospeso
Si fa marmo
il dolore attraverso il corpo
e il bianco degli occhi
screziato di vuoto -
parole comuni.
Annoda il petto
e non è nulla di nuovo -
come la superficie tarlata
del mare, che di acqua salata
nutre a morte il tronco
le morte membra
svuotate.
Dolore
rimandato a domani.
**
Questa fame -
fame vuoto terrore
ripiegamento su oscure ossessioni
groviglio
si scioglie in ritmica
onda di fasi ancestrali -
oh luna interiore, mi cresci
nel grembo, mi lasci morire
per rinascere ancora, improvvisa
ossessione dimora
**
La sfera graffia il foglio, il mio corpo
dal seno all'ombelico, la sfera graffia
la parola che non abita
la lingua è solitudine e silenzio
lingua graffio nel silenzio
dal seno all'ombelico, abita il silenzio
il graffio la paura la scala che sale
all'indefinitesimo piano, la lingua una sfera
la parola che non graffia
parola che non sale
non è foglio, non è voce è una scala
che sale nel silenzio, abita l'assenza
la parola ombelico che risucchia
ombelico buco nero la parola
che non nasce, la parola sfera graffio
lingua. Ombelico che è parola,
è silenzio.
La poesia della Olivero non stanca di ricordarci la fatica dello “stare”, schiacciati da una scelta gravitazionale, ed essere al contempo condannati a contemplare le stelle, innamorati dell’Universo. La parola graffia, ricorda, solletica allo “indefinitesimo”.
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Claudia Olivero |
Grazie!
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