Deborah Prestileo - Amelia Rosselli e la Mater lingua. Sul dominio privilegiato del terribile

 

Deborah Prestileo


Parola, trauma e dicibilità sono gli assi portanti della produzione poetica di Amelia Rosselli, nata a Parigi nel 1930, figlia di quel Carlo Rosselli che aveva fondato con il fratello il partito antifascista Giustizia e libertà, e di Marion Cave, di origini britanniche.

A soli sette anni, la piccola Amelia subisce il trauma dell’uccisione violenta del padre, ammazzato dai sicari del duce in quanto militante antifascista, e questa prima tragedia familiare segna il successivo svolgersi degli eventi: costretta a fuggire in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, fa ritorno in Italia solo nel ’46, a sedici anni. Lei stessa rifiuterà l’etichetta di cosmopolita che risale a un saggio di Pier Paolo Pasolini, e risponderà: cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi non eravamo cosmopoliti; eravamo rifugiati.

Senza il padre Carlo e spesso lontano dalla madre Marion, piegata dalla vedovanza e di salute cagionevole, è la nonna di Amelia, la scrittrice Amelia Rosselli Pincherle, a tenerla con sé, leggendole i santi padri della letteratura italiana, tra cui Dante; trascorre – già da adesso - la sua esistenza nel tentativo stremante e continuo di ricostruire la lingua paterna, una lingua che avverte come strappata al proprio seno, eppure così materna al suo dolore.

Nel ’48, torna di nuovo in Inghilterra per studi di musica e composizione, di cui rimane traccia nella serie di saggi successivamente riunificati in La serie degli armonici, di matematica e fisica musicale. La sua formazione musicale e l’assenza di una formazione accademica di tipo letterario porta Rosselli ad avere un approccio dei testi altrui e propri di tipo musicale e non filologico.

In Spazi metrici Amalia Rosselli elabora un sistema metrico innovativo, in grado di sostituirsi alla “noia” del verso libero, e in cui il primo rigo fissa definitivamente la larghezza spaziale dei versi successivi, in modo da perimetrare il testo in via di elaborazione. Il testo così realizzato risponde a precisi limiti di tempo e pattern ritmici significativi, e si dispiega tipograficamente in una forma geometrica stabile.

Seguendo questo principio, vengono elaborate le poesie della sezione Variazioni della raccolta poetica Variazioni belliche, il cui titolo risulta in parte mutuato dalla teoria musicale - variazioni designa una tecnica basata sull'ostinata modulazione di un originario disegno armonico – in parte dalla direzione resistente e ostinata della ricerca di uno spazio linguistico proprio, e quindi bellica, perché passa per il conflitto, e cioè da situazioni testuali determinate dalla co-occorrenza di registri lessicali e discorsivi trasformativi, con straordinari effetti sismici.

Nel ’49 muore la madre Marion e altre drammatiche vicende biografiche, tra cui la morte dell’amico Rocco Scotellaro, con cui aveva instaurato un legame sincero e profondo, riescono ad esercitare una forte pressione su una psiche sempre più fragile e sensibile a quelli che sono ancora definiti “esaurimenti nervosi”. Alla diagnosi di schizofrenia paranoide che le viene formulata da cliniche svizzere e inglesi, Rosselli adduce, come ragione della sua fragilità psichica, lesioni al sistema extrapiramidale, connesse alla malattia di Parkinson, il cui esordio si manifesta in lei già a 39 anni.

Le liriche rosselliane raccontano le vicende autobiografiche come variazioni sul tema di una vita quotidianamente vissuta come dominio privilegiato del terribile, sede di pulsioni contraddittorie e di conflitti linguistici, ancor prima che psichici. Già Gianfranco Contini, pur non essendo un grande estimatore di Rosselli, aveva messo in luce alcune costruzioni tipicamente rosselliane: l'indecisione del soggetto sintattico, la moltiplicazione del pronome, la forma di enunciati antropomorfici e caratterizzati dall'irruzione di dettagli crudamente anatomici in contesti immateriali o astratti. La lingua che Rosselli sceglie per la propria poesia, dopo vari tentativi anche in francese e in inglese, è l’italiano, ma a questo punto è chiaro che il suo non può essere un italiano naturale, o puro. Non può esserlo perché il suo italiano ha in sé tracce di sangue, ed è artificialmente ricostruito, da straniera alla propria lingua madre. E questo suo linguaggio, per dirsi naturale, attraversa gli errori affinché lei, orfana di padre e orfana di lingua, possa a sua volta dirsi figlia di nuovo.

Sarebbe però ingiusto pensare che questi errori siano dovuti ad un difetto di competenze linguistiche. È vero che Rosselli apprende il francese come prima lingua e l’italiano solo in un secondo momento; ciò non toglie che sia perfettamente consapevole di come stia procedendo; a testimoniarlo il Glossarietto esplicativo che consegna a Pier Paolo Pasolini, con l’affermazione che i suoi procedimenti sono consci, alla Gadda, alla Joyce. Tra questi errori morfologici, evidentemente segni di intenzionalità bellica rispetto alla norma linguistica, ci sono il rovesciamento del genere o la distorsione del plurale. E allo stesso modo la sua riappropriazione della lingua italiana non può che passare dal confronto con le altre lingue, per lei secondarie ma forse funzionali all’istinto materno più di quanto non abbia fatto l’italiano: in questo senso vanno letti alcuni procedimenti, come l’irruzione ex abrupto del lemma forestiero in un contesto linguistico italiano; l’ellissi dell'articolo di fronte a un aggettivo possessivo, o di un che, imputabile alla lingua inglese; la tendenza alla formazione di neologismi, con inserzione di materiale alloglotto o per fusione associativa; l’uso transitivo di verbi intransitivi, su modello di verbi stranieri; la morfologizzazione di calchi lessicali o prestiti adattati.

Le forme del testo poetico della poesia rosselliana riescono a creare e distruggere, ad essere inizio e fine, ma anche processo, e cioè scavo archeologico, dissezione tra significante e significato. Amelia Rosselli trasforma i suoi traumi biografici e psichici in aborti morfologici e sintattici, e la scrittura stessa diventa conflitto, trauma, variazione bellica. La sua è una lingua vissuta per ricostruzione, di conseguenza le sue sono parole che non esistono. Esiste solo il disperato tentativo di dire un trauma che lei, trilingue, non sa come dire, e rimane indicibile. E lei dolorosamente straniera a sé stessa. Proprio questo sentimento, credo, si infranga contro il selciato di via del Corallo 25 l’11 febbraio del ’96: dopo una vita a inseguire i propri mostri, nella vita e nella lingua – che sono poi la stessa cosa - niente e nessuno poteva più domare questa terribile inquietudine.

 

 

Ho freddo oggi e non so perché nel

cuore si setaccia una nuova attitudine:

quella di infischiarsi del domani: ma

non è vero che il domani sia sicuro

e non è verro che l’oggi è calmo.


F. Carbognin, Variazioni Belliche in Rosselli. L’opera poetica, Mondadori Meridiani, 2012








_____________________________________________


Deborah Prestileo, classe 1999, Italianista dell’Alma Mater e book-blogger (mi trovate su IG come @narramiodiva). Siciliana d’origine e bolognese d’adozione, sono una lettrice accanita di romanzi noir, mattoni russi e versi del Novecento, e in playlist ho sempre Tenco, Battiato e De André. Tra le più giovani poete dell’isola, ho vinto premi letterari e collaboro con riviste e testate di poesia e attualità. Se mi cercate, sono in biblioteca a sezionare manoscritti antichi o a leggere terzine dantesche.





Commenti

Post più popolari