Anna Rita Merico - Crisòtemi di Ghiannis Ritsos

 

Anna Rita Merico

Leggevamo Ritsos, quel Ghiannis di Monemvasià che ci parlava di giardini, di nuvole, di pietre e di indovine e, con lui, scoprimmo il sibilo silente della libertà.

E scoprimmo, ancora, un fondo sepolto dell’anima che solo Lui sapeva disseppellire, mostrandocene l’arcano, svelandocene i villi…

Fu intorno a quel sepolto tutto immerso nel presente, che ci narrò di una Dimensione, la Quarta. Fu allora che prendemmo a dire, a pensare, a scavare, a intuire, ad andare.

Quella Dimensione nessuno ce l’aveva mai insegnata

in un brivido l’abbiamo vista

rimanendone morsi

infilati come grani di rosari

innervati alla Visione

(pubblicata, agosto 2021)

 

Il Re dei re alla volta di Ilio dopo il sacrificio di Ifigenìa.

Ma, chi resta nel Palazzo di Micene?

Sappiamo della servitù, di Crisòtemi, sorella di Ifigenìa, di Elettra, di Oreste, di Clitemnestra moglie di Agamennone.

Crisòtemi: cosa ne fa Ghiannis Ritsos di questa diafana presenza? La ritroviamo anziana Signora in una casa dai fasti trascorsi, intervistata da una giovane giornalista a cui Crisòtemi chiede dal di dentro del Suo giardino:

Com’è che si sono ricordati di me? Nessuno si ricorda mai di me.

                   Nessuno

s’è mai accorto di me. Non che mi lamenti… Sapete coll’andar del tempo

ogni cosa, per quanto amara o orrenda, ci sembra indispensabile,

perfino utile e bella…

Dunque, dal dentro di questa mia inapparenza mi compiacevo di vedere e ascoltare.

Potevo

sognare liberamente. Era bello, davvero – come se fossi vissuta

fuori dalla storia, in uno spazio intatto, assoluto,

protetta, e allo stesso tempo presente…

Esistono risposte dinanzi alla storia? Crisòtemi ha srotolato esistenza nell’inapparenza del proprio tempo dilatato all’inverosimile. Per lei ogni minimo gesto è rimasto nell’irraggiungibile mentre ha pericolosamente ondeggiato dentro un terrificante talmente profondo da apparire aggraziato.

Ritsos colloca Crisòtemi all’interno di un vortice di lunghi ricordi. La casa è vuota, ogni oggetto narra. Crisòtemi srotola un caos di eventi che la lascia ritratta al muro mentre tutto le sembra abbia perso ogni possibile consistenza. Intorno a Crisòtemi tutto si rattrista, sballottolato in uno scenario di mancanze e di odori e di cose spente. Ogni oggetto narra. Narrano, ad esempio, i varchi delle soglie da cui hanno transitato le magnificenze dei feretri regali. Crisòtemi ha accompagnato la morte di tutti e ne sopravvive. Crisòtemi si mostra alla giovane giornalista che è tutta intenta nel silenzio del proprio stenografare.

La madre, il giardino, i colori… Ogni fruscio si rapprende in apparente ordine, vagano in doloroso silenzio le memorie dei ricordi a tratti scarni a tratti gonfi di nostalgici nettari. A dire il vero i ricordi, in Crisòtemi, grondano domande. Dall’inapparenza le giunge la domanda sul chi lei stessa fosse e ne rammemora i momenti in cui ne discorreva con la luna.

<Non crescerai mai!> era avvezza a ripeterle la madre. Io, confessa Crisòtemi alla giovane giornalista, ormai, non è che poi, Lei, l’ascoltassi tanto. Ma, l’inapparenza non è, forse la maschera della profondità?

È un’intervista in cui la stanza colma di oggetti prende corpo e l’anziana Signora rispolvera un passato che prende forme dinanzi ai corpi dei segni sparsi tutt’intorno: lo specchio in cui si guardò vedendosi luce mentre un ragno lo attraversava riflettendosi, in tal modo, sulle linee del suo volto. Un ragno che la rendeva consapevole del suo essere luce e non carne. La bambola con un’orbita vuota. Una bambola guardata nel baratro di quell’occhio mancante ritrovato, dopo anni, in una scatoletta nera e montato nel castone di un anello come pietra preziosa. E l’abito giallo della madre indossato da poco, lasciato molle e quasi ancora caldo su di una poltrona. Dopo il funerale il fratello andò via. La madre e il suo amante, la sorella, il padre. Crisòtemi confessa di essere, finalmente, riuscita a piangere dopo che Lui se ne andò via.

In certi istanti ogni spostamento c’inchioda allo stesso luogo - non ne esiste un altro

Piango la partenza di tutti.

E la mia stanza – una nave viola e oro – che viaggia nella notte, e io da sola sulla nave - senza nemmeno un’ombra di tristezza - senza remi né timone…

                                             Ricordo

quella lunga notte – la vigilia del delitto: mio fratello

si soffermò un istante fuori sul pianerottolo della scala di marmo,

guardò silenzioso il cielo, la testa graziosamente alzata…

Mia sorella maggiore non capì. Gli consegnò la spada nascosta

                   sotto il grembiule.

Dunque, non abbiamo portato la luce elettrica in casa. Abbiamo mantenuto le lampade -…

Tutto in mia madre mi dava l’impressione dell’armatura…

Ci ha lasciato anche lei con una scure piantata nel fianco come

                       una seconda ala.

… Col tempo tutto si è ritirato, come i topi, come gli adulatori, i domestici

O, piuttosto, come le onde…

Così sono trascorsi gli anni… E io,

sempre in margine agli eventi, - sono veramente io che ho vissuto, senza vivere,

tante e tante vite, compresa la mia vita?  

E ho riflettuto tanto, continua Crisòtemi, sull’essere puniti e sulla capacità di riflessione e sul castigare e sulle interiora che legano il bello e l’inutile e sui tessuti dell’attesa…

<Perdonate, perdonate> concluse la giovane giornalista dopo il lungo del tempo trascorso con la Signora. <Perdonate, perdonate> disse alzandosi e prendendo la cartella.

<Perdonate, perdonate> sussurrò allungandosi per baciare la mano della Signora che, invece, ritrasse.  <Perdonate, vi avrò stancata…> ribadì, sgusciando fuori.

Il giorno in cui l’intervista venne pubblicata la Signora era morta, sulla sua tomba era riverso il corpo del giardiniere…[1]

A noi, ora, il silenzio di questa inaudita sospensione che ci tiene nell’ascolto vibrante di un dire che è ferocia del significato. Riconoscenza fonda a Ritsos, quel Ghiannis di Monemvasià, impilatore di Parole in Poesia. 



[1] Tutti le parti in corsivo sono citazioni da: Ghiannis Ritsos, Quarta Dimensione, Crocetti Editore 2001, pgg. 25-42


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