Protopoesia e altre banalità- di Anna Martinenghi

di Anna Martinenghi


Sono una cercatrice di poesia. Lo dico sempre. Più di tutto mi incuriosisce la poesia elementare, la proto-poesia, tutto ciò che circonda, anticipa, suggerisce e forma il livello precedente della poesia letteraria. Quel livello appartiene a tutti noi. Un livello che ha a che fare con i sensi, le emozioni, con il corpo con cui viviamo la nostra esperienza umana. Molti non sanno nemmeno di avere questa capacità ricettiva: la ignorano, buttandola nello sport, nel lavoro, nel sesso, nel cibo, in tutto ciò che amano; e fanno benissimo, perché quella è l’energia che accende le nostre passioni. Altri sono infastiditi da questo tipo di sensibilità, la accomunano alla debolezza, allo scoramento e hanno ragione anche loro. Non c’è poesia senza fragilità, senza ferite e senza crepe da cui passa la luce. Non c’è poesia senza disorientamento e una buona quota di sofferenza.


Restiamo fermi per un attimo al livello base dell’esperienza poetica: per un attimo immaginiamoci tutti bambini la mattina di Natale, o se l’esempio facesse schifo, egualmente esposti  - con anima pura e incontaminata - a un’emozione intensa, totalizzante, un evento atteso con entusiasmo travolgente, che si realizza superando ogni nostra aspettativa. Saranno questi momenti pieni – insieme a quelli disperatamente vuoti – a creare il nostro bagaglio poetico. 


Senza accorgercene siamo saliti di parecchi gradini, mettendo distanza fra il magazzino poetico, di cui tutti disponiamo, e ciò che potremmo farne:


Fingere di ignorarlo, credere fermamente che la poesia appartenga a altri e a altro e poi farci aprire in quattro come una mela davanti a un tramonto, un profumo della memoria e della nostalgia, una canzone in macchina, le mattine di Natale dei nostri figli.


Bruciare di passione e mettere questa forza in quello in cui crediamo. Qui l’elenco fatelo voi, perché mi piace essere sorpresa da dove le persone mettono il cuore.


Trovare le parole: scavare un pozzo e poi un canale irriguo che portino in superficie quei grumi di emozione, provando a raccontarli. La scelta delle parole è scelta di creazione: non per niente l’etimologia greca della parola poesia riconduce al “fare, creare, produrre”, non a caso l’atto creativo del Dio biblico è il verbo.


Le parole creano mondi, definiscono la nostra realtà. Le parole della poesia quella realtà la attraversano, strapazzando le dimensioni dello spazio e del tempo, condensando significati in un solo verso. “I’m nobody”, diceva Emily Dickinson, e in quell’essere nessuno, una delle più grandi poete di tutti i tempi si è fatta universo intero, voce collettiva. Punto zero.


Questo da cui possiamo partire.



 


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