Protopoesia e altre banalità- di Anna Martinenghi
di Anna Martinenghi |
Restiamo fermi per un attimo al livello base dell’esperienza poetica: per un attimo immaginiamoci tutti bambini la mattina di Natale, o se l’esempio facesse schifo, egualmente esposti - con anima pura e incontaminata - a un’emozione intensa, totalizzante, un evento atteso con entusiasmo travolgente, che si realizza superando ogni nostra aspettativa. Saranno questi momenti pieni – insieme a quelli disperatamente vuoti – a creare il nostro bagaglio poetico.
Senza accorgercene siamo saliti di parecchi gradini, mettendo distanza fra il magazzino poetico, di cui tutti disponiamo, e ciò che potremmo farne:
Fingere di ignorarlo, credere fermamente che la poesia appartenga a altri e a altro e poi farci aprire in quattro come una mela davanti a un tramonto, un profumo della memoria e della nostalgia, una canzone in macchina, le mattine di Natale dei nostri figli.
Bruciare di passione e mettere questa forza in quello in cui crediamo. Qui l’elenco fatelo voi, perché mi piace essere sorpresa da dove le persone mettono il cuore.
Trovare le parole: scavare un pozzo e poi un canale irriguo che portino in superficie quei grumi di emozione, provando a raccontarli. La scelta delle parole è scelta di creazione: non per niente l’etimologia greca della parola poesia riconduce al “fare, creare, produrre”, non a caso l’atto creativo del Dio biblico è il verbo.
Le parole creano mondi, definiscono la nostra realtà. Le parole della poesia quella realtà la attraversano, strapazzando le dimensioni dello spazio e del tempo, condensando significati in un solo verso. “I’m nobody”, diceva Emily Dickinson, e in quell’essere nessuno, una delle più grandi poete di tutti i tempi si è fatta universo intero, voce collettiva. Punto zero.
Questo da cui possiamo partire.
🙏
RispondiEliminaGrazie Chiara esposizione che condivido pienamente
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