"La cura della poesia" - I versi di Luzi su una parete dell’ospedale di Nottola- di Marco Brogi

 

di Marco Brogi


La poesia nei luoghi di sofferenza. E che getta una goccia di quiete sul dolore dell’anima, se non proprio su quello fisico. I versi possono essere terapeutici non solo per chi li scrive (Umberto Saba docet), ma anche per chi li legge. E’ con questa consapevolezza che la dirigenza dell’ospedale di Nottola, in provincia di Siena, alcuni anni fa ha posto al suo ingresso, bene in vista su una parete bianca, una poesia di Mario Luzi, poeta più volte in odor di Nobel e scomparso nel 2005. Quella poesia è ancora lì. E chissà quanti pazienti o loro familiari ci hanno posato e poseranno gli occhi e il cuore.

Il 12 settembre 2003, durante una vacanza nella vicina Pienza, Luzi si era sentito male ed era stato ricoverato d’urgenza all’ospedale di Nottola. Da quella esperienza era nato A Nottola, un testo struggente di cui diede lettura, per la prima volta, a Pisa il 14 ottobre 2004, all’apertura del secondo convegno Nazionale sul dolore “Ai confini del dolore”, organizzato dal Tribunale per i diritti del malato. E qui si apre un capitolo della vita e dell’impegno civile di Luzi sconosciuto ai più. Non tutti sanno infatti della sua battaglia per combattere il dolore fisico, e che quattro anni prima proprio Luzi, con Domenico Gioffrè, aveva redatto il Manifesto Etico “Contro il dolore non necessario” per richiamare l’attenzione sulla necessità di curare il dolore inutile nella fase acuta della malattia, nel decorso post operatorio e nelle patologie croniche senza possibilità di guarigione.

<Mario Luzi- scrive lo stesso Gioffrè nel volume da lui curato, Il dolore superfluo, edito da Erickson nel 2008 - è stato uomo di grande modestia e semplicità. La sua leggerezza era palpabile sin dalle prime parole che mi rivolgeva ogni volta che ci incontravamo. Abbiamo parlato a lungo e scritto del «dolore» non solo nella sua dimensione fisica ma anche esistenziale, quando il suo carattere è distruttivo per la dignità dell’uomo. La medicina dovrebbe ascoltare anche la voce dei poeti. Rainer Maria Rilke, poeta austro-tedesco di origine boema, diceva che «il dolore ci porta spesso in regioni incommensurabili per le quali a stento abbiamo un linguaggio». La poesia può aiutarci a trovare un linguaggio comprensibile da parte di tutti: medici, operatori, famiglie, pazienti>.

Ma torniamo a quei 21 versi di varia lunghezza su quella parete bianca di Nottola in cui Luzi descrive la lentezza delle ore in ospedale e lo stato d’animo di chi vive “una rigorosa prigionia/di silenzio e di immobilità coatta”.

Mario Luzi


A NOTTOLA

Perfido giorno
che non vuoi salire,
i minuti sono ore
le ore secoli
per l’uomo che ti aspetta
da una rigorosa prigionia
di silenzio e d’immobilità coatta.
Pensieri nuovi,pensieri già pensati o casuali
sminuzzano l’insonnia.
Dovrebbe la sequela interminabile
non posarsi su nessuna cosa
né perdersi e sfaldarsi nell’intrico
delle causalità. Ribattono
invece quei pensieri
o ricordi o pensieri ricordati
i casi, i fasti e le vertiginose
nullità del mondo
e vi rimbalzano
dolorosamente. Anche il tempo è prigioniero.

Il senso di quei versi usciti postumi e la presa che hanno ancora su chi fa sosta su queste parole, lo porgo non dal commento di un critico letterario, ma di una pensionata con la quinta elementare, Rosa Vannucci, 76 anni, di Arezzo, che a Nottola è stata ricoverata un mese per una brutta malattia da cui si ripresa. <Quella poesia- racconta- mi ha lasciato qualcosa, mi ha fatto compagnia in un momento difficile. Mi hanno detto che il poeta l’ha scritta mentre era all’ospedale e all’ospedale ci sentiamo tutti barchette in mezzo a un mare in burrasca>. 

La poesia forse serve proprio a questo: a far sentire meno sole le barchette in mezzo al mare in burrasca che noi siamo.











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