Sergio Daniele Donati - Figli di Ventidue stelle su "Un verso solo (in punta di dita)"

 

di Sergio Daniele Donati


Che la lettura sia il territorio in cui ognuno può esercitare, e far crescere, il patrimonio della libertà è cosa certa, almeno per coloro che non vivono perennemente costretti dai diktat della finzione. 

Ogni lettore nasce, e si spera che muoia, libero di dire ciò che la lettura ha fatto sorgere in lui, di testimoniare il sorgere di uno spazio nuovo creato dalla lettura. 

E, credetemi, nessuna originalità degli scrittori potrà mai superare gli approcci fantasiosi dei lettori al testo. 

Ho conosciuto gente che leggeva partendo dalla fine di un componimento, ho visto altri che alzavano al cielo gli occhi ad ogni punto, bisbigliavano uno-due e poi riprendevano a leggere, dando così il giusto ritmo alla loro lettura; ho stretto la mano ad un signore che mi raccontava che la poesia si poteva leggere solo stando in piedi e che nessuna altra postura del corpo era idonea a far penetrare la potenza vivificante di un verso nelle sue ossa. 

Ho poi trascorso, quando avevo vent'anni, un intero pomeriggio ad ascoltare un anziano poeta che leggeva i propri componimenti al contrario, sostenendo che, pur senza senso alcuno, una buona poesia deve rimanere musicale anche se letta per via inversa. 

Qui lo dico, erano poesie orrende, ma quanta sacralità quell'uomo tributava alla parola nel farlo, quanta rottura di schemi necessitava un tentativo folle come quello. 

Infine – avevo circa trentacinque anni – ho conosciuto una poeta (non ne farò il nome nemmeno sotto tortura) che aveva pubblicato sei raccolte che mi raccontava che in ognuna di esse aveva inserito un verso di un altro autore per testare l'attenzione del lettore. 

Mi disse ridendo che nessuno, tranne uno solo, mai se ne era accorto o, almeno, glielo aveva fatto notare. 

Ma di quel singolo lettore mi parlava con lacrime di commozione perché aveva preso i sei versi altrui e, con poche modifiche, ne aveva fatto una magnifica poesia che gli aveva mandato in dono. 

Me la lesse ad alta voce e io risi: conteneva essa stessa degli inserti altrui.


Per carità, non voglio esordire in questa pagina letteraria, invitandovi a dare poco peso a critica e serietà di approccio alla poesia. 

Al contrario, per chi vi scrive, la parola è sempre sacra, anche quando descrive il quotidiano, e deve sempre essere avvicinata con rispetto e cautela. 

Sì, perché la parola, non dimentichiamolo, sa essere urticante se non trattata come merita. 

Tuttavia, ed è importante per me, la dimensione ludica il lettore non dovrebbe mai perderla ed è magnifico saper giocare, dopo aver letto e riletto un testo più volte nei suoi minimi dettagli, saper osservare dove ci porta la nostra immaginazione. 

Solo così si crea un legame stretto non solo con le parole che leggiamo sulla carta ma anche con quelle che vengono da queste ultime richiamate, come citazione imperfetta o, altre volte come false friend. 


Allora ecco il primo mio, sorridente ma impegnato (come sono impegnati/anti i giochi dei bambini), approccio a questo corollario della lettura seria che vi stimolo a sperimentare, perché il vocabolario di noi lettori si possa arricchire di folli voli di fantasia. 

Mi siedo, metto della musica anni 40 (boogie per piano) e prendo un testo che adoro. 


Mi riferisco a La nuvola in calzoni di Vladmir Majakovsky (Einaudi ed., 2012).

Tralascio la splendida prefazione di Remo Faccani che conosco quasi memoria e apro una pagina a caso (pag. 55 per l'esattezza)

Leggo, in piedi e a voce alta


Non mi fermerete

Che io menta

o sia nel giusto,

più di così non so esser calmo.

Guardate!

Hanno di nuovo decapitato le stelle

e insanguinato il cielo come un mattatoio.


Ehilà, voi!

Cielo!

Toglietevi il cappello!

Sto arrivando!


Silenzio.


L'universo dorme,

poggiando sulla zampa

un orecchio enorme con zecche di stelle. 


Sono versi drammatici e densi che, soprattutto se riletti in un momento storico come quello che stiamo vivendo, lasciano una sensazione di forte angoscia...e rabbia. 

Eppure - esercitiamolo assieme questo eppure – ci sono dei formanti che mi impediscono di evitare (oggi ho la litote facile) di cogliere una certa ironia. 

E non mi pongo, sarà il boogie, nemmeno il problema se l'ironia appartenga agli intenti del sommo poeta (non credo proprio) o sia parte della mia follia.

Uno dei corollari del mio usuale dire che la poesia non appartiene al suo autore è proprio quello di potermi appropriare di un testo e tingerlo dei miei colori (ma saranno poi davvero miei?)

E non mi pongo nemmeno il tema connesso al fatto che sto leggendo una (mirabile) traduzione. La prendo come un testo a sé, in questo giocare coi lemmi la cosa non ha alcun peso.

Certo la mia ignoranza delle lingue slave ha un grosso peso, in generale, ma non ora. 

Allora cominciamo!

I primi versi mi fanno fare un salto che fingo di nascondere dietro al boogie più scatenato che abbia mai sentito. 


Non mi fermerete

Che io menta

o sia nel giusto,

più di così non so esser calmo.


È un motto di stizza il mio. Stizza, col sorriso, però. Chiamiamola con un nome di un arcinoto aperitivo: uno “Spitz” Aperol da bere con gli amici.

Quando mai qualcuno è stato in grado di fermare il giusto quando avanza, spesso ignaro della sua qualità.

Sarà che sono figlio di una cultura ebraica che sul tema si è molto spesa, ma credetemi, una delle caratteristiche del giusto è proprio di essere inarrestabile. Nel giusto non si è, si può solo essere giusti. 

E penso a un maestro di Aikido, pratica marziale giapponese, che diceva sempre:

Tra il bene e il male non c'è alcuna differenza. Solo il Bene è differente”.

Dubito che il sommo poeta conoscesse l'Aikido ma io sì, quindi quell'esordio di poesia lo metto in immediata relazione con radici follemente giudaico-nipponiche e la cosa mi fa ridere come un folle. 


Un moto di simpatia, invece, mi suscitano quelle stelle decapitate, perché non mi è estraneo (e daje con la litote) il nostro umano rivolgerci a stelle ormai morte da secoli la cui luce percepiamo solo in virtù della distanza tra osservatore e osservato. 

E quindi la mia mente vola, benedetto Vladmir, a ribadire la nostra finitezza, assieme a quella delle stelle. 

Cosa resta delle parole che scriviamo, se non una testa decapitata che qualcuno, con evidenti tendenze di necrofilia, si affanna a voler raccogliere?


Ehilà, voi!

Cielo!

Toglietevi il cappello!

Sto arrivando!


Eh qui i sentimenti si fanno ambigui. Da un lato il voi e poi la esclamazione Cielo! mi ricorda che in ebraico cielo si declina al plurale. 

Quindi mi immagino il maestro che abbia voluto onorare quella tradizione, rivolgendosi al cielo plurale.

Attenzione! So bene che non sta in piedi questa lettura e che “Cielo!” è qui solo un'imprecazione, ma ripeto stiamo giocando con significati limitrofi e il loro risveglio nella nostra mente, spesso non voluti dall'autore. 


E però, caro Valdmir, cosa mi combini? Prima mi richiami a uno dei contenuti più profondi del pensiero ebraico e poi mi chiedi di togliermi il cappello, sapendo bene che, in segno di rispetto gli ebrei il capo se lo coprono, a memoria che esiste un Altro/Alto sopra di loro?

Ecco spiegato, e auto-analizzato, il sentimento ambiguo di cui sopra.


Silenzio.


L'universo dorme,

poggiando sulla zampa

un orecchio enorme con zecche di stelle. 


Dio mio, prometto che non metterò più il boogie mentre leggo Majakovskij, ma rido come un pazzo, per quel suo tacitarci (silenzio) per poi continuare a parlare e descriverci il sonno dell'universo. 

Mi pare, sarà il boogie, un filo pretenzioso. Quindi faccio il sommo attentato e blasfemia e inverto i versi.



L'universo dorme,

poggiando sulla zampa

un orecchio enorme con zecche di stelle. 


Silenzio.


Rido, spengo PC e boogie e mi accendo una sigaretta. 


NDA: questo è solo un serissimo tentativo di sorridere assieme a voi. La raccolta che qui ho scherzosamente commentato è e resta una meraviglia unica nel panorama poetico e fonte di riflessioni infinite e ben più importanti di quelle che qui vi ho scritto.









Commenti

  1. Ho sorriso anch'io, dandoti ragione. Al momento, io sono ancora al gioco delle matite colorate sui testi, non s-vendibili in alcun mercatino. dopo. 😉 (grazie)

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  2. Mi accosto in punta di piedi, mi nutro e gioisco del tuo genio.

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  3. Grazie ,questo approccio alla poesia ,mi è piaciuto molto ,voglio provare ,può scatenare sensazioni davvero piacevoli ,meno ingessate,senza togliere niente alla grandezza del poeta

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