Meditazione - Preghiera - Poesia
di Anna Martinenghi |
Posto che esistono studi e ricerche di ben altro spessore sull’argomento, desidero comunque condividere la mia riflessione su ciò che a mio avviso avvicina meditazione, preghiera e poesia, nella costante ricerca di ciò che è “poesia elementare”: la naturale predisposizione di ogni essere umano a divenire filtro sensibile di emozioni, con la sua corporeità e i suoi sentimenti. La poesia vissuta prima di essere scritta. Tutti sentiamo poeticamente, non tutti tramutiamo il nostro sentire in parole, ma siamo capaci di riconoscere poesia (d’altri) che chiama poesia (la nostra, non espressa).
Da quando “Dio è morto” e con lui la legge morale capace di unire tutti gli esseri umani intorno a un’entità superiore - nella perfetta intuizione di Nietzsche –, tutto è ricondotto all’uomo e ai suoi limiti. Da quando dio è morto, il bisogno di dio è aumentato a dismisura e ciascun essere umano compie una ricerca personale di senso (o di non senso), più o meno consapevolmente.
Non sono esperta del complesso mondo della new age, da cui prendo a prestito la preziosa e diffusissima pratica della meditazione, che ci giunge da culture millenarie e ha in comune con la preghiera la necessità del raccoglimento, del rilassamento del corpo e della contemplazione. Meditazione e preghiera predispongono alla connessione, col proprio mondo interiore, o con quello spirituale e trascendente. Meditando e pregando ci si dispone all’ascolto, al dialogo, diventando centro di pensiero e di concentrazione. Ci si lascia scorrere, cercando armonia fra corpo e pensieri.
Questa stessa connessione, se diretta fuori dalla nostra interiorità, permette di sintonizzarsi con il mondo che ci circonda, su frequenze non esclusivamente razionali, nello stesso modo in cui i mistici – e in generale coloro che pregano - creano una connessione con il soprannaturale, ma anche una nuova visione delle realtà.
Questa esperienza di muta osservazione, di contemplazione e ricerca di senso ed espressione di gratitudine, ci conduce in un luogo interiore in cui scorrono le frequenze più alte dell’essere umano, depurate dalle interferenze in cui il vivere quotidiano è intriso. Di questo scorrere diventiamo parte, ponendo domande e ricevendo risposte.
Il lavoro del poeta – o del cercatore di poesia, come preferisco dire io – è riuscire a tradurre in parola queste esperienze, da una profondità e una vastità interiore a cui si giunge come subacquei che riportano in superficie tesori dimenticati. Non un lavoro esclusivamente razionale o puramente emotivo, ma lo sforzo dello scultore che deve togliere l’eccesso, sgrossare, definire una forma, dare leggerezza al marmo, nel concetto michelangiolesco che l’opera è già presente in ciò che ci circonda.
Questo significa essere tutti poeti? Affatto: è solo il tempo a setacciare le parole e a salvare l’oro contenuto nel fango. Ma se la gloria è per pochi, resta la meravigliosa consapevolezza di poter vivere da “esseri poetici” e non fuggire per soggezione, percorsi che a tutti appartengono e che ci accomunano nella nostra meravigliosa, fragile umanità.
Profonda riflessione intrisa di spiritualità e concretezza . Nadia Chiaverini
RispondiEliminaGrazie davvero
RispondiElimina🙏
RispondiEliminaSi, la ricerca intima e profonda di chi ha bisogno di trovarne le parole ha vita in silenzi e spazi segreti
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