STELLE CONTROVENTO - Maria Pia Latorre - Intervista a Mariateresa Bari su “Sentieri le ferite”
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Maria Teresa Bari |
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Maria Pia Latorre |
Non ti chiedo “cos’è per te la poesia” ma qual è il tuo rapporto con la tradizione poetica? Senti di vivere nel solco di questa o di avere introdotto elementi di rottura?
Leggere i grandi della tradizione poetica è incontrarli nella profondità della loro anima, nella loro più intima essenza. Avverto una certa familiarità con i loro versi, quasi fossero stati partoriti proprio per me e nessun altro. Così sento di non essere sola quando scrivo. L’io poetante è personificazione dell'umanità con le sue luci e le sue ombre. I suoi dolori e le sue gioie. Siamo in un grande solco? Più che solco, io parlerei di palpito.
La poesia ha una funzione etica sociale civile o vive per se stessa?
Ci sono due verbi che trovo particolarmente affascinanti: seminare e resistere.
Scrivere è una necessità, un bisogno primario come respirare.
La poesia è respiro. Respirare è resistere per esistere. Verbo che ha un etimo affascinante: dal latino ‘re’ indietro e ‘sistere’ fermare. Dunque non cedere ad una forza che ci trascina tutti, in una direzione. Ma la poesia è anche farsi seme. Il seme è la metafora più calzante della resistenza, resiste alle intemperie, alla siccità, all'aridità, al silenzio, alla mancanza di luce e sboccia, ovunque. Anche a costo di forare l'asfalto come fa l'infestante. E la poesia, le arti tutte, hanno la forza dei semi!
In questa resistenza, in questa lotta, che è continua ricerca di un’etica del bene, io credo ciecamente.
Se tu dovessi indicare un autore e una poesia che senti particolarmente vicina, cosa proporresti?
I miei versi sgorgano naturalmente da un'inquietudine, che mi accompagna sempre e che indaga le varie dimensioni dell'anima. Per questo comune destino, mi sento vicina all‘inquietudine di fine Ottocento che ha attraversato gli animi degli artisti in tutta Europa; pensiamo ai parnassiani, a Baudelaire, al portoghese Pessoa, alle atmosfere di Celan, a Verlaine e alla sua esigenza di musicalità. Autori che leggo in lingua. Per approdare ad uno dei più grandi intellettuali che il mondo possa vantare, l’argentino Borges. Tra gli italiani: Ungaretti, Bertolucci, Bigongiari, Montale, la mia cara anima gemella, Antonia Pozzi. E ultimo, ma non per ultimo, l’amatissimo Luzi. Il Logos ha bisogno di una certa verticalità, la esige. In Mario Luzi, questa verticalità si fa preghiera.
Ci sono versi che vivono di luce propria.
La poesia che mi ha folgorata e che ancora mi commuove è “Vola alta, parola” dalla raccolta “Per il battesimo dei nostri frammenti”.
Vola alta, parola.
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente –
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza…
La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?
M. Luzi
Quando leggiamo o ascoltiamo una poesia ci rendiamo conto che ha dei tempi scanditi dalle pause. Tu sei anche una musicista e a tal proposito voglio collegarmi al rapporto tra poesia e musica: entrambe sono accomunate da segmenti distribuiti nel tempo, quindi hanno un ritmo. Quanto è importante la musicalità per un poeta?
“De la Musique Avant Toute Chose” è il primo verso della celebre ‘Art poétique‘ in cui P. Verlaine teorizza uno stile fluido e musicale. Spesso avverto impotenza della parola nel suo carico di significato e mi affido all’onda musicale presente in me, le sillabe diventano note, e le pause silenzio. Il silenzio dice più di quanto la parola non dica. Arriva laddove la parola è impotente ad esprimere. La parola taciuta si fa ala per l’altrove.
Nella tua poesia spira un’atmosfera che potrei definire di ambizione terapeutica, si tratta di una sensazione soggettiva? O c’è qualcosa di rispondente al vero?
Scrivere è un viaggio, non solo in orizzontale ma anche in verticale. Un viaggio che non rimane in superficie ma si inabissa in profondità. Un vero e proprio scavo.
Scavo in cui sono alla furiosa ricerca di luce.
Introspezione è leggere dentro. Il contatto con la nostra interiorità è un apprendimento continuo. Dobbiamo esercitare la capacità di leggere dentro gli eventi per poter trovare il nostro ruolo. L'introspezione ci regala un colpo d’ala con cui la parola diventa un’esperienza multisensoriale. Diventa sensazione. Diventa tocco, profumo, vibrazione, suono.
Cos'è per te la creatività?
“C'è un teatro continuo nella mia testa" confessava Virginia Woolf. Un teatro continuo alberga anche nella mia. Ed ha vita propria. Ovunque io mi trovi fisicamente. Al volante, per i boschi o in cucina.
Come Pessoa nel Libro dell’Inquietudine, sono abilissima a conversare con qualsiasi cosa incontri per via. Un sasso, una nuvola, una foglia, una piuma, e ne porto sempre qualcuno a casa per poi regalarlo agli amici più cari. Follia? Forse…
In questo dialogo la natura è onnipresente ed è il mio interlocutore privilegiato.
La creatività ci permette di nascere infinite volte. È culla accogliente. È grembo materno che protegge e dà la vita. Dalla creatività io nasco ogni giorno.
Il primo motivo di fascinazione del tuo ultimo libro, edito da Secop, è il titolo. Come lo hai scelto? Inoltre, qual è il tuo rapporto con i titoli in genere?
Il titolo di questa silloge ci rappresenta tutti. Siamo in cammino sui sentieri dell’esistenza. Esistenza che ci regala momenti di luce e di ombra. Un verso della Szymborska, recita “in cammino sulle palpebre del mondo”. Verso che svela l’essenza del poeta.
Il poeta è un viandante, ma è anche uno sguardo nuovo sul mondo. Scrivere così come la vita, è mettersi in cammino, a piedi scalzi. È incantarsi, stupirsi ma anche patire gli stenti. Soffrire. Arriva per tutti il momento della prova che ferisce. Le ferite a volte sanguinano ancora, altre volte diventano cicatrici che ci indicano la via, una possibile direzione. Ed è in quest’attimo devastante che si scopre, che le ferite sono sentieri da imboccare.
Galimberti ci suggerisce l'etica del viandante. Dobbiamo riacquistare il senso dello stupore, della scoperta. Dobbiamo muovere i nostri passi a piedi scalzi, sui sentieri dell’esistenza. Accogliendo tutto con meraviglia, con senso materno i doni della vita anche quando tradiscono le nostre aspettative, ma anche cogliere, carpere l’attimo, l'istante.
Il titolo della mia prima silloge era altrettanto significativo: “Intraverso, spiragli nell’essere”, una peregrinazione che si inabissa in una dimensione intrauterina, non in una sorta di regressione ma verso un luogo sicuro da cui venire alla luce. Questo luogo è per me la parola. Ricordo perfettamente il momento in cui ho imparato a partorirmi, ad abbracciarmi, e da intimo, intimissimo dialogo interiore, i miei versi si sono fatti ponte. Ti lascio una poesia rappresentativa della mia poetica.
Archeologia di uno sguardo
Mi nutro del verbo scavare
che snida i cinguettii dell'anima
sepolti nella terra dell'assenza.
Furiose mani cercano
i cocci di una presenza.
Randagio il cuore
s'incammina per il mondo.
E mendica un tozzo di luce.
La vita è l'arte dell'incontro. Ho incontrato Mario Sicolo in occasione di un reading cui partecipavo in qualità di poetessa e lui di presentatore. Sono stata folgorata dalla sua parola. Così, il mattino seguente, all’alba, gli ho inviato i miei versi appena nati e, incredibilmente per me, li ha accolti con sguardo gentile. Il suo sguardo, come quello di Angela De Leo, conosciuta durante la pandemia, in occasione delle interessantissime dirette che la vedevano protagonista (Il retino), hanno dato corpo alla mia poesia, illuminandola.
Benedico ogni giorno il momento in cui le nostre strade si sono incrociate. In Angela, scrittrice di rara bellezza, poetessa sublime, ho scoperto una madre affettuosa, dal cuore d’oro, in Mario il braccio amico che accompagna. Quel braccio montaliano che fino a qualche anno prima è stato di mio fratello. Più di un “milione le scale” “scese” al Suo fianco, innumerevoli le esperienze vissute insieme…
Abbiamo ospitato entrambi in occasione delle rassegne letterarie della Fondazione Vittorio Bari, di cui sono presidente. Memorabile l’incontro con Angela De Leo e la sua poetica, due anni fa!
In un’intervista, Brodskij ha affermato: - Chi ha letto Dickens difficilmente sparerà al suo vicino -. Pensi anche tu che la letteratura abbia il potere di migliorare gli esseri umani?
La citazione di Joseph Brodskij è molto interessante e solleva una questione fondamentale sul ruolo della letteratura nella società.
La letteratura, intesa come l'insieme delle opere affidate alla scrittura, nelle quali il momento estetico predomini o sia più o meno presente, è innanzitutto uno strumento di empatia. Leggere opere letterarie può aiutare a comprendere meglio le esperienze e le prospettive degli altri, favorendo la tolleranza. La letteratura può offrire una riflessione profonda sulla natura umana, sulle sue complessità e sulle sue contraddizioni, aiutando a comprendere meglio se stessi e gli altri. Le opere letterarie possono ispirare i lettori a far riflettere sui propri valori e comportamenti, incoraggiandoli a migliorare se stessi e la società.
In questi tempi macchiati da sangue innocente, minati dall’intelligenza artificiale, scossi da catastrofi ambientali, causate sempre più spesso dall’usura della nostra amata terra da parte di un’umanità sempre più insensibile guidata da individui assetati di potere e ricchezza, coltivare utopie è vitale. È nostro dovere seminare bellezza.
Come pensi che “Sentieri le ferite” possa arricchire la visione del mondo? “Resto e resisto” e “resisto ed esisto”, solo alcuni dei versi di “Sentieri le ferite” in cui si fa chiara la tua filosofia di vita improntata alla resistenza. Ce ne parli?
“Sentieri le ferite” racconta di uno iato tra la vita reale e quella rappresentata.
Siamo funamboli in bilico su un filo, sottile punto d’incontro tra il baratro e il cielo. Tesi verso l'oltre, in continua ricerca. Ma c'è un limite di inconoscibilità, siamo ciechi e vaghiamo tastando col bastone una verità che non si svela mai. Chiunque sia percorso da questa tensione interiore si sentirà a casa.
Concludo con un passaggio di una recensione scritta da Marino Pagano, giornalista, insegnante: “In un momento in cui pensiamo che l'incanto della parola si sia ormai frantumato sotto il peso della produzione industriale di testi, il tuo libro è una promessa di ritorno a quella purezza che, come il diamante, può essere ritrovata solo attraverso una laboriosa opera di affinamento.”
Un altro tema centrale è il dolore, nascosto tra le parole, dichiarato sin dall’inizio, ma mai svelato, tanto esso è profondo e inaccessibile. Considerando che l’occorrenza dominante nella raccolta è “cuore”, si può ipotizzare una stretta relazione tra queste due componenti. Cosa ne pensi?
L'analisi che hai fatto è molto interessante e suggerisce una profonda connessione tra il tema del dolore e il concetto di "cuore" nella raccolta. Nelle stanze del cuore alberga l'amore. Amore che si offre in tutta la sua nudità. Il cuore rappresenta, dunque, la vulnerabilità e la sensibilità dell'individuo, che è esposto al dolore e alle ferite. Ma sulle mie ferite il dolore ha imparato a danzare.
Squarcio
C'è un dolore che danza
su ogni cicatrice
in bilico sui fili aggrovigliati
M. Bari
Guido Catalano ha affermato: “Non ti mangia, non è pericolosa, può essere tutt’altro che noiosa e incomprensibile. Un libro di poesie può essere un compagno di viaggio meraviglioso. Le poesie possono essere usate, condivise”. A tuo avviso perché siamo più un paese di poeti che non di lettori?
L’Italia vanta una ricca tradizione letteraria e poetica, che risale a secoli fa. Questo ha contribuito a creare un ambiente culturale che valorizza la poesia e la letteratura.
Hőlderlin ci ricorda che “la poesia è la casa dell’essere”, però è erroneamente considerata un genere di nicchia per diverse ragioni: spesso utilizza un linguaggio complesso e simbolico che può essere difficile da comprendere per alcuni lettori; non è così popolare come altri generi letterari; è percepita come un genere elitario o intellettuale, che potrebbe scoraggiare la lettura; è una sfida coraggiosa per l'editoria; infine, l’insegnamento della poesia nelle scuole potrebbe influenzare la percezione della poesia stessa. Se l'approccio è troppo accademico o focalizzato sull'analisi, potrebbe scoraggiare alcuni studenti.
Tuttavia, come suggerisce Catalano, la poesia, nella diversità degli stili, nella ricchezza dei contenuti e dei valori universali, può essere un'esperienza ricca e gratificante. Un'avventura arricchente, una scoperta profondamente umana.
Qual è la poesia di “Sentieri le ferite” a cui sei più affezionata?
Le poesie sono mie creature e scrivere è un parto dal lungo travaglio per cui sarebbe scorretto parlare di affezione. Tuttavia, ci sono alcune che più mi rappresentano. Nella poesia “Io ti capisco Amore”, l’amore ha la lettera maiuscola perché non si fa riferimento ad un amore specifico ma all’amore in senso assoluto, incondizionato, che non chiede nulla in cambio. E continua a dare, anche quando è nudo, vaga e dona se stesso. La sua vera essenza. Diventa cura. Mi è sempre stata cara l’espressione “amore, voce del verbo morire”.
Il Poeta si fa veggente, sosteneva Rimbaud; ti chiedo un pronostico, ovvero una tua visione sul futuro della poesia nell’era dei social network.
Il futuro della poesia nell'era dei social network è pieno di opportunità e sfide, ma anche di rischi. La poesia può essere democratizzata e resa più accessibile, ma è importante preservare la qualità e la profondità della poesia stessa. Personalmente ho conosciuto tantissime penne interessanti, sui gruppi di poesia, su Facebook. Durante il lockdown per epidemia da Covid 19, sono fiorite ferventi comunità di poeti e lettori in cui interagire e condividere la propria passione per la poesia. Leggersi a vicenda è come conoscere la parte più profonda di sé stessi. È mettersi a nudo. Ma solo l’incontro personale può portare ad una relazione sincera e autentica che è sempre la magia più sorprendente.
Grazie per aver dialogato con me.
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