GINESTRE - Laura Serluca - Lettera ad una schizofrenica

 

Laura Serluca


Quando ho ascoltato le tue urla ho pensato a tutti i crocifissi appesi nelle Chiese che a me fanno tanto paura, perché sanguinano e io il sangue lo odio. Mi dicono che forse, sapevo chi tu fossi, ma io tanta vita non la ricordo più. Se proprio devo dirti tutta la verità, ho avuto paura del tuo dolore. Ho fatto fatica ma poi ti ho vista, eri disorientata. Gli occhi spenti, il tremore delle mani, la bocca impastata, la schiena incurvata e mi hai sussurrato: “ho paura”. Molti dicono che tu sia pazza. Altri dicono che lo fai apposta. Ho pensato a quanti ragni potessi avere nella testa. I ragni e gli psicofarmaci rallentano e addolciscono le sventure. Non dovevi scappare dai deliri e dai dottori. Ora, sei in esilio.

Ti ho accompagnata fuori. Hai chiesto una sigaretta e te l’hanno offerta. Non l’hai gustata, tiravi velocemente. Mi hai ricordato mia zia che non c’è più, fumava proprio come te. Fino al filtro. Quasi a bruciarsi le dita. Io porto lutti addosso da quando ero bimba. Non credo ancora di essere salva, cara signora. Mentre camminavamo mi hai detto che dovevi chiudere le finestre della casa. Poi che volevi l’ambulanza. E io ti ho detto di respirare. Piano e profondamente. Mi hai preso il braccio e mi hai detto che volevi andare a riposare nella tua stanza. Volevi che ti accompagnassi io. E mentre ti mettevi a letto hai detto: “Non lasciatemi sola”.  Sono rimasta qualche minuto, ma dovevo andar via.  A casa mi sono chiesta di cosa ti avrei parlato se fossi rimasta lì con te. Così ti ho scritto questa lettera.

 

Ma poi sai, io penso che tu sia eroica. Stai vivendo “la tua vera vita”. L’hai sempre vissuta. È un azzardo ma non ho provato pena per te. Probabilmente, perché non riesco ad avvicinarmi al tuo tormento. Oppure, perché sei terrena fino alle viscere. Sei logora, eppure sei un ulivo secolare. Ti avrei parlato di me e sarei stata la solita logorroica. Cara signora, ti avrei parlato del Monte Taburno, del Golfo di Napoli, del giro in barca, della salsedine, delle terre del Sud, di Procida, delle lunghe passeggiate, delle fotografie ai campi di girasoli, delle peonie e ti avrei letto le poesie di Mariangela Gualtieri (questa mi piace in modo particolare)

“Meraviglia dello stare bene
quando le formiche mentali
non partoriscono altre formiche
e si sta leggeri come capre sulla rupe
della gioia.”

 

o qualcosa di allegro, le poesie di Palazzeschi o alcune di Gozzano, per esempio. Avremmo ascoltato della musica classica, o Gabriella Ferri, Battiato, Ornella Vanoni – sono stonata ma io avrei cantato a squarciagola – magari ti avrei vista sorridere. Mi sarebbe piaciuto parlarti di Picasso o del genio di Dalì, di Guttuso o Botticelli. Tu sei qualunque bellezza. Bisogna dirglielo ai dottori, che si cura anche con l’Arte. Tu sei qualunque bellezza. Bisogna dirglielo.     

 

Per P.

Con affetto 

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