LA LINGUA MISTERIOSA DELLA POESIA - Anna Spissu - INDAGINE SUL CORPO. I polsi: dove affiorano i rivoli azzurri della vita
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Anna Spissu |
Pur con le gambe e i
polsi
strettamente legati
ovunque sento uccelli
e il profumo dei fiori.
Ascoltare, aspirare
chi può togliermi
quanto
fa la via meno triste
l’uomo meno isolato?
Così
scriveva in questa poesia tratta dalla raccolta “Diario dal carcere” il
rivoluzionario vietnamita Ho Chi Minh.
Legatemi
strettamente i polsi (sì, anche le gambe), rinchiudetemi in una cella, fatemi
prigioniero, io resto vivo perché sono comunque capace di accorgermi della
bellezza del mondo intorno a me. Ascolto la natura, aspiro i suoi profumi, finché
c’è coscienza, c’è sempre qualcosa che può restare vivo. Anche nelle peggiori
condizioni, anche se non ti puoi muovere e non puoi fare nulla, anche se i
polsi legati ti impediscono il movimento.
I
polsi.
Partiamo
da qui, con un breve excursus etimologico che farà da guida per le poesie
pubblicate.
Perché
polso viene dal latino, pulsus vuol
dire “battito”, participio passato di pellere “battere, urtare, spingere”.
E
quel battito è il rumore del cuore, la spinta del sangue, la forza vitale che scorre
e si manifesta. In definitiva, per l’affiorare delle vene, i polsi trasmutano
la loro funzione di giunture tra la mano e l’avambraccio per diventare un
simbolo.
Già
Tacito scriveva “pulsum venarum
attingere” col significato di “tastare il battito delle vene”. In una
parola, ne deriva che “vene” e “polsi” sono diventati sinonimi.
Ovviamente,
questa fusione di parole e significati ha avuto un riflesso importante nel
linguaggio comune come ad esempio “avere il polso della situazione” o “essere
senza polso”, e altrettanto ovviamente tutto ciò si è riflesso anche nella
poesia.
Mi
colpisce sempre che, se si va a scavare sul significato delle parole, si
finisce con lo scoprire quanto le nostre odierne parole e/o versi siano
influenzati da significati attribuiti alle stesse dall’antichità. O addirittura
da credenze irrazionali che continuiamo a mantenere vive, nonostante siano
state ampiamente sbugiardate dalle conoscenze scientifiche: tanto per fare un
esempio, anche al di fuori del polso, ancora oggi si portano la fede o l’anello
di fidanzamento all’anulare della mano sinistra perché si credeva che dal cuore
partisse una vena che arrivava diritta a questo dito della mano ed era la vena amoris!
Ma
torniamo ai polsi: penso che ora si possa comprendere con più chiarezza che i
polsi legati della poesia di Ho Chi Minh sono fisici ma anche
metaforici, simboli di una vita che si vuole negata privandola del bene
prezioso della libertà.
Che
i polsi siano il luogo fisico ma anche “immaginario” dove scorre la linfa
vitale del nostro sangue è testimoniato nelle poesie che seguono, sia pure con
diverse accezioni.
Ecco
i versi di José Saramago nella “visione” di quel che potrebbe accadere
se i polsi di due persone diverse fossero legati tra loro.
Nessuno li ha mai visti
con una cordicella
che tenesse legati i
loro polsi
certe cose non si
vedono
ma esistono.
L’immagine
qui è dolce, la parola “cordicella” dà ai versi un velo di tenerezza come se
l’affiancarsi di due polsi potesse significare il miracolo della silenziosa condivisione
di un destino.
Anche
Milo De Angelis propone di legare i polsi, questa volta idealmente al
cervello (ma la suggestione poetica rende l’immagine “fisica”) per raggiungere
una sorta di pace e di serenità:
In questa calma di piena luce
che si allarga
così compatta che cederle quietamente
è forse necessario,
come indugiare senza significato
a fissare il catrame bollente
o intontirsi di giallo
con l’occhio immobile al sole sulle rotaie.
È ancora possibile
smorzarsi senza strappi
fino al margine della coscienza.
Legare il cervello alle vene nei polsi
e sfaldare il pensiero:
sfaldarlo prima del pomeriggio
ma con la pazienza orizzontale
delle strade sdraiate senza respiro
nella piana di sole
che scende su questa curva di piazza
e investe i tetti delle macchine
trovare il secondo.
Ancora
Milo De Angelis riafferma l’equazione scritta da Tacito di cui si
è parlato precedentemente: polso uguale vene, uguale segnale di vita.
Di
seguito la struggente poesia sull’addio
Quando su un volto
desiderato si scorge
Il segno
di tante stagioni e una
vena troppo scura
si prolunga nella
stanza, quando
le incisioni
della vita giungono in
folla e il sangue
rallenta
dentro ai polsi che
abbiamo stretto
fino all’alba,
allora non è solo lì
che la grande corrente
si ferma,
allora è notte,
è notte su ogni volto
che abbiamo amato.
I
polsi vivono anche in questa poesia di Antonella Anedda, prima a
significare il segno tangibile del fare al risveglio, per tramutarsi poi nella
fisicità immaginata e dolorosa che appartiene al ricordo di chi se n’è andato.
E per quei polsi resta il gesto di compassione, una stella contro il bianco del vetro.
………….
Questa è la cucina alle
sette
questo il polso immerso
nel lavabo
e il buio sul balcone
che dice
la distanza del giorno.
Aspetto che scaldi il
tuo latte
seguo la brina sul
ferro dei balconi
e la donna che trascina
la sua busta nel vento.
Con l'unghia segno una
stella
contro il bianco del
vetro
per i piedi, per i
polsi lontani
che non scendano aperti
nei fossati.
Tutto si perde
tutto viene scagliato
lontano.
…………
Paolo
Ruffilli, nel suo libro “Affari di cuore” scrive:
Il letto per l'amore
è un campo di battaglia
del mistero:
vi dura la pace
nella guerra e nel
conflitto,
più si è morti
più si vive meglio
da risorti
e, colpendo,
ognuno vuole essere
trafitto.
Per
la fisicità che è loro propria, i polsi hanno anche una particolare connotazione
erotica: della “guerra” di cui parla Ruffilli ne scrive con ironia Nina
Cassian.
Il
tempo dell’amore fisico è passato o forse è passato solo al momento in cui la
poetessa scrive. Fatto sta che sulle manette ai polsi è venuta la ruggine e
nessuno la toglie, la Consolazione ha un aspetto davvero poco
invidiabile.
Nessuno mi stringe al
petto
per riassorbirmi tra le
sue costole.
Nessuno lava via la
ruggine dalle manette
sui miei polsi.
Il bacio è abolito
per un ordine
dall’Alto.
Ai miei piedi
Consolazione,
una cagna
dal profilo assiro.
Più
di tutti però sono famosi i versi di Dante Alighieri, così famosi da
essere entrati nel linguaggio comune per indicare un’indicibile paura di fronte
a qualcosa che è più grande di noi.
Nel Canto I dell'Inferno, Dante
si rivolge a Virgilio che è giunto in suo aiuto e, riferendosi alla
terribile lupa che tanto lo spaventa, dice al maestro:
Vedi la bestia per
cu’io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio
ch’ella mi fa tremar le
vene e i polsi.
Versi
immortali per tutte le volte in cui ci siamo trovati davanti la nostra “lupa
spaventosa” e senza nemmeno guardarli, i nostri polsi, abbiamo sentito le vene
tremare.
Ho Chi
Minh da “Diario dal carcere” (Iduna ed)
José
Saramago da “Una terra chiamata Alentejo” (Bompiani ed.)
Milo de
Angeis “Tutte le poesie” (Lo specchio - Mondadori ed.)
Antonella
Anedda, “Notti di pace occidentale” (Donzelli ed.)
Paolo
Ruffilli, “Affari di cuore” (Einaudi ed)
Nina
Cassian “C’è modo e modo di sparire” (Adelphi ed.)
Dante
Alighieri, Divina Commedia
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