UMAMI, DHARMA E BARBABIETOLE - Pietro Edoardo Mallegni - Amuse-Bouche per "Lo squalificato" di Osamu Dazai
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Pietro Edoardo Mallegni |
Circa dieci anni fa, tra i
vari viaggi di lavoro, ero solito trasportare con me sempre gli stessi
libri, un po’ per scaramanzia, un po’ perché li ritenevo reali compagni e
testimoni del lavoro e di quello che facevo. Tra questi compariva (e compare
tutt’oggi nella mia libreria, avendo dato pace al mio spirito ) “Lo
squalificato” di Osamu Dazai. Un libro che ho adorato e
che mi sono trovato più volte a prestare senza mai vederlo rientrare,
maledizione, credo, venduta unitamente alle pagine. Ovviamente ve
ne parlerò da cuoco, da lettore, da autodidatta e spero possa essere una
possibile e corretta “Amuse-Bouche” di questo romanzo, a mio parere, oltre
l’incredibile.
Facciamo una piccola
introduzione. Chi è Osamu Dazai? Se siete appassionati di scrittura e arte
moderna giapponese, scoprirete che la sua vita e la sua penna hanno ispirato e
accompagnano ancora oggi le generazioni; quasi sempre lo trovate in fondo alle
biografie con il prefisso “I lavori di…. sono ispirati anche a Osamu Dazai”.
Eppure, nel meandro delle cucine e fuori quelle, non ho mai conosciuto nessuno
che mi dica che abbia letto
“Il sole si spegne”
o, appunto, “Lo squalificato”.
Nasce Shuji Tsushima.
Giappone, per la precisione Kanagi, 1909, nono di undici fratelli, figlio di
ricchi proprietari terrieri, venne cresciuto prevalentemente dalla
servitù, avendo contatti sporadici con la famiglia. Appassionato di
scrittura, all’età di ventuno anni si iscrive alla facoltà di Letteratura
Francese, si avvicina al Marxismo, ma senza impegno, e sappiamo che aveva
già provato a suicidarsi due volte; so che può essere un po’ di
difficile digestione, parlare subito di tali fatti, ma appunto la vita del
nostro amato scrittore nuota tra isole in un mare di disperazione: l’alcool, la
morfina e il suicidio.
Di fatto, potremmo definirlo un Enfant Terribile: libertino, incapace di impegnarsi, giustamente abbandona gli studi e si dedica alla scrittura. Ovviamente sono passati alcuni anni, non mancano amanti, crisi e nuovi tentati suicidi, spesso commessi insieme appunto alle compagne del momento, alle quali però lui sopravvive sempre, loro purtroppo no.
Dal 1931 in poi la sua vita è un’altalena continua: due mogli, la paternità, numerosi tentati suicidi, la tubercolosi, l’alcoolismo, l’appendicite che lo getta nell’abisso della morfinomania. Ricordandoci anni e posizione geografica, va da sé che il nostro scrittore non godesse di buona fama tra i giapponesi. Riesce a non mettere la guerra nel suo Curriculum grazie a una grave malattia cronica dei polmoni, ovviamente aggravata dalle sue abitudini. Il dopoguerra è il periodo più fruttifero; ispirato dalla sconfitta, dal crollo dei valori sociali e culturali del giappone post-atomica, scrive appunto i due libri che abbiamo citato sopra. Nel 1948, abbandona moglie e figli, scappa con una vedova di guerra e il 13 giugno dello stesso anno, riesce insieme alla stessa a darsi pace.
Trentanove
anni.
So di essermi dilungato un po’, ma mi è impossibile parlare dello scritto senza parlare dello scrittore, soprattutto in questo caso in cui il rapporto protagonista e narratore è per l’appunto una metaforica biografia romanzata
Il nostro anti-eroe è Oba Yozo, scrive delle sue peripezie tramite una serie di taccuini. Incapace di sentirsi parte della società, riesce a donarsi un senso di appartenenza attraverso una serie di comportamenti ridicoli, che lo costringono a una sopravvivenza marginale, e piano si forma, in coloro che lo osservano, l’idea che, in realtà, egli sia pazzo e pertanto da accettare per quello che è.
Alcolizzato, morfinomane, nonostante abbia una relazione, preferisce la compagnia delle prostitute (ogni fatto o persona di cui sopra è un riferimento puramente casuale) e ovviamente ha un desiderio continuo di porre fine alla sua esistenza; incapace anche in questo, danna la sua condizione di sopravvissuto, fino all’ultimo taccuino, nel quale finalmente giungiamo al termine delle sue sofferenze.
Colpo di genio??? Sì, c***o, perché, nonostante il nostro
protagonista sia morto, il libro va avanti ancora per qualche pagina, parlando
solo velatamente della sua morte e di come abbia influito sugli altri, ma
piuttosto viene data una descrizione dell’intorno che potrebbe essere riassunta
nell’espressione
“Hai visto, il mondo va avanti uguale.”
Dazai, che ritroviamo in queste pagine, come se avesse voluto passare la sua esistenza al carboncino e carta velina per imprimerla nell’eternità, opta per lo “Shisosetsu”, ossia l’equivalente de “Il romanzo dell’io”, anche se assoggettato a un legame con un naturalismo di carattere decadente e la tendenza tecnica a voler rimettere su carta in maniera più che fedele gli eventi reali (di fatto quasi tutti gli scrittori amanti del genere parlano sempre di esperienze vissute in prima persona).
Il prologo è una sintetizzazione assoluta di
tutte le pagine a seguire, nelle quali attraverso tre fotografie lo
scrittore/protagonista evidenzia la sua incapacità nel riconoscersi
parte della società nelle varie stagioni della sua esistenza e in più, osservandosi, si rende conto di essere irriconoscibile persino a se stesso e di
provare disgusto nel guardarsi.
Il primo taccuino inizia “Ho condotto una vita colma di vergogna” e, nel susseguirsi delle pagine, credo ci sia il tatuaggio più fedele della sofferenza. Osamu Dazai condensa tutto: l’inutile austerità del periodo pre-guerra, il crollo degli usi e delle abitudini post-bomba, in un Giappone sempre più americanizzato dove egli riconosce il fallimento del suo popolo e dentro al quale non può che vivere lui stesso la condizione di “fallito tra i falliti”; le sue dipendenze si fanno inchiostro di questa storia, piena di squallore, incomunicabilità e sopravvivenza e su questo ultimo concetto, appunto, Osamu/Oba costruisce la sua prigione, vivendo come un’eterna condanna il sopravvivere agli altri, ma, soprattutto, il sopravvivere a se stesso.
Colpo di genio??? Sì (ci stava bene anche qui
un’enfatizzazione come quella sopra, ma mi sembrava di scadere nel volgare
perciò l’ho tolta). Perché, se in un primo momento troviamo che il libro sia
copia della vita dello scrittore, il fatto che solo dopo il
suicidio, il romanzo venga pubblicato, ci porta a pensare che la vita di Osamu
sia ispirata al libro, dando un sprezzante cosistenza alla verità, in una
diade metafisica, che ci riporta appunto al finale del libro:
“Hai visto, il mondo va avanti uguale.”
Detto ciò non mi sento di
dirvi altro di questo libro che è una pelle d’oca ad ogni rilettura, o per lo
meno se volete proprio parlarne ancora, leggetelo e poi giustamente c’è da
vedersi e parlarne con birra e vino alla mano.
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Lo squalificato - Osamu Dazai (1948) - Feltrinelli, 2017 |
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