RONDINI - Melania Valenti - Illusione, delusione, lotta. La parola come arma nella poesia di Maria Costa
Melania Valenti |
Il sentimento della delusione è strettamente legato
al suo contrapposto emotivo: per rimanere delusi, prima ci si deve essere
fortemente illusi. Su qualcuno, su qualcosa, su una idea di mondo.
Letteralmente il termine deriva dal latino delusio,
composto da de-, prefisso che indica allontanamento o errore, e ludere,
giocare, ingannare. La delusione è, quindi, l'atto di "giocare
lontano", ovvero di tradire le aspettative, di ingannare la realtà. È un
tradimento che abbraccia, come anzi detto, la precedente idea di credere
fermamente in qualcosa, in qualcuno, che poi tradisce le aspettative. E mi
interrogo, intanto, su chi sia maggiormente responsabile del fallimento, in
quest’atto che include almeno due agenti, se chi si illude, spesso consapevole
del rischio in cui incorre, o chi delude, sia esso un singolo o una
moltitudine, una persona o una idea.
La Sicilia, ed io lo so bene, è terra di contrasti e
tradizioni millenarie, crocevia di speranze e disincanti, delusioni che, in
modo più o meno palesato, hanno ispirato alcuni versi di donne nate qui e
vissute in una terra dai profondi condizionamenti e disuguaglianze sociali,
culturali, politiche. Una terra che, prima o poi, ti marchia e ti insegue come
eredità spesso pesante da sopportare.
Mi interessa quindi indagare l’aspetto sociale e culturale
della delusione, più che quello strettamente sentimentale, portando con me a
supporto una poetessa che amo, per evidenziare come, al di là di ciò che si
vive, sopporta, subisce, ci sia una forte carica che in alcuni emerge e fa
superare il senso di delusione e di sconfitta.
Maria Costa (Messina, 15/12/1926-7/09/2016), donna semplice, umile, nata e vissuta nel piccolo
borgo di Case Basse in località “Paradiso” a Messina, credeva
fortemente nella libertà dell’individuo e, nonostante l’ambiente di una Sicilia
ancora retrograda, di una società patriarcale e sessista come poteva essere quella
di una piccola provincia sicula della prima metà del Novecento, non si
assoggettò mai alle leggi moralistiche e maschiliste della società dominante.
Donna libera e autentica, padrona di se stessa,
profondamente innamorata delle sue radici, fece del mito e della lingua
siciliana un mezzo per alzare la testa e reagire alla delusione, appunto, cui
doveva fare fronte giornalmente rispetto alle aspettative di una vita diversa.
La scrittura di Costa si è spesso messa al servizio
dell’emancipazione, contro il degrado culturale dell’isola dei ceti più poveri,
ed ha sovente utilizzato la scrittura per portare alla luce le fratture sociali
dell’isola, non mancando, poi, di registrare poeticamente l'impossibilità di
superare certe barriere culturali e politiche, barriere responsabili della
delusione, appunto, nel dovere appurare la limitazione alla crescita e alla
emancipazione culturale femminile. Si tratta degli strati più umili, in cui
poco poteva la donna, analfabeta e che come compito esclusivo doveva accudire
casa, figli e un marito spesso rozzo e maschilista.
Maria Costa si fa però protagonista di una azione di
rivolta, linguistica e contenutistica, e rende la Sicilia, simbolo di un sud
dimenticato e spesso emarginato, mito e protagonista di componimenti in cui
ritroviamo Colapesce o gli spietati Scilla e Cariddi,
il Cammaroto, un noto cocchiere che predisse il terremoto del 1908,
San Nicola, o la Fata Morgana. Una Sicilia che diventa eco
di una delusione più grande quanto più grande ne era l’immagine, mitizzata
appunto, che se ne possedeva. “Sicilia, terra di sole e di buio / dove tutto
è speranza e tutto delusione,” afferma la poetessa cantrice di storie e
mestieri antichi, patrimonio di quella cultura antica pre-terremoto del 1908
che si andò tramandando anche oralmente e che Lei seppe mantenere viva nei suoi
scritti.
Quanto più sente la pressione della delusione avvicinarsi,
tanto più si affida al mare, fonte primordiale di ispirazione e vita, o alla
sua casa, sentita come culla e radice, nonostante la povertà dei mezzi a
disposizione. Sono questi i cardini ispiratori della sua produzione, assi
portanti dell’intera sua esistenza.
È un combattere costante, una pertinace lotta quando le
aspettative di un possibile e prossimo cambiamento troppo spesso si infrangono
contro la durezza della realtà.
La poetessa siciliana, infatti, con una forza che riconosco
essere qualità di tanta parte di Sicilia, di quella Sicilia che resiste e non
piega la testa di fronte alle innumerevoli vessazioni subite nei secoli, non si
limita a subire la delusione, ma la trasforma in una forma di resistenza
poetica. La sua scrittura diventa una risposta, un’azione di denuncia, ma anche
un’arte che sopravvive alla delusione stessa.
È qui che si deve ascrivere il grandissimo senso storico e
sociologico di Maria Costa, riconosciuta ormai universalmente come patrimonio
di quella sicilianità che, senza di lei e senza la sua eccellente qualità
interpretativa, sarebbe probabilmente oggi perduta.
Nascono allora testi in cui il passato non viene vissuto in
modo intimistico e lirico, bensì sempre nella sua dimensione corale, narrando eventi
e storie di vita attraverso una parola asciutta e una rigorosa trama narrativa,
non cadendo mai nel sentimentalismo. E anche quando la poetessa si affida alla
dimensione epica, non perde mai il contatto con la dimensione realistica,
ponendosi sempre come interprete del meraviglioso che si nutre e si muove nel quotidiano[1].
Costa non si limita, quindi, a descrivere una Sicilia
delusa, ma cerca di dare voce a chi è stato escluso da quel sogno di progresso
che sembrava promettere la modernità.
È, quindi, un esempio di resistenza attiva nel nome della
parola, dell’unica risorsa riconosciuta come possibilità di narrare il bello e
il suo opposto, la luce dell’illusione e il buio della conseguente delusione,
con la autenticità di una donna al servizio della sua passione per il mare, la
casa, il mondo isolano che la videro nascere e morire. Divenendo esempio e
studio per chi Le ha riconosciuto ormai un ruolo indiscusso tra le figure più
significative della letteratura siciliana.
Fonti:
Maria Costa, Poesie e prose siciliane, Pungitopo,
2020. Introduzione di Sergio Todesco
[1]
Da leggere i testi in vernacolo, A prova ‘ill’ovu (Pungitopo, 1989),
Cavaddu i coppi (Pungitopo, 1993), Scinnenti e muntanti (Edas,
2003), Ventu cavaleri (Edas, 2005), Mari e maretta (Antonello
da Messina, 2010), Àbbiru Maistru (Pungitopo, 2013), riuniti tutti nel volume “Poesie e prose siciliane” (Pungitopo, 2020)
nato su iniziativa del Centro studi “Maria Costa”.
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