LA STANZA DEI DESIDERI - Ivana Rinaldi - Albert Camus e Maria Casarès. Saremo leggeri.

 

Ivana Rinaldi


Tutte le lettere d’amore sono ridicole, scriveva Fernando Pessoa, non sarebbero lettere d’amore se non lo fossero, aggiungeva.

La figlia di Albert Camus, nel 2017, ha autorizzato Gallimard a pubblicare la corrispondenza del padre con Maria Casarès. Un gran numero di lettere, ben 865, poi tradotte in italiano nel 2021 da Camilla Diez e Yasmina Mélaouah per Bompiani, che non si possono leggere tutte d’un fiato. Tra l’altro l’edizione italiana è molto costosa e bisogna confrontarsi con l’originale. Qualche critico/a severa si interroga su quanto la corrispondenza tra i due amanti ci aiuti a farci un’idea dello scrittore filosofo, nato in Algeria, o quanto invece si possa relegare al pettegolezzo o a una pura operazione commerciale. In realtà, basterebbe una delle prime missive per illuminarci un po’ di più sulla sua figura votata a una forma di nichilismo che appartiene a molti suoi contemporanei, che in lui si traduce in una forma di estraneazione dal mondo, e che l’incontro con Maria sembra spezzare:

Tu sei entrata per caso in una vita della quale non eri a conoscenza. E da quel giorno qualcosa è cominciato a cambiare. Ho respirato meglio. Ho detestato meno cose, ho ammirato liberamente tutto ciò che lo meritava. Prima di te, lontano da te non aspiravo a nulla. Questa forza della quale mi hai dotato non è mai stata una forza solitaria. Con te ho accettato più cose. Ho imparato a vivere. È per questo, senza dubbio, che ogni giorno dedico a questo amore, una gratitudine immensa”.

Camus, nato a Mondovì in Algeria, nel 1913, rimane orfano di padre, operaio in un’azienda vinicola, durante la prima guerra mondiale; cresce con la madre, domestica, e frequenta la scuola elementare con il maestro Louis German, che ebbe un ruolo fondamentale nella sua formazione e a cui Camus porta eterna riconoscenza. Dopo essersi laureato in Filosofia, esordisce in Algeria con il teatro. Il suo primo viaggio in Francia è nel 1937 per ragioni di salute e dove si stabilisce definitivamente nel 1942. È dello stesso anno il romanzo che lo ha reso famoso, Lo straniero, a cui seguono La peste (1947) e L’uomo in rivolta (1951). 

La ricerca della felicità del singolo e dell’intera comunità contrasta con la filosofia dell’assurdo. Una filosofia che viene rivelata sia in Lo straniero che in Il mito di Sisifo. La soluzione è quella dell’Homme révolte: il singolo che decide di ribellarsi al divenire delle cose, pieno di non senso e vuoto di obiettivi. Una via di fuga dal non senso rappresentata dalla rivolta contro l’assurdo che non è riferito alla contingenza e all’immanenza. Va ben oltre l’ideologia politica del marxismo e le filosofie dell’esistenza, per proiettarsi oltre la vita e la morte: non chiede spiegazioni sulla vita, ma sulle ragioni della vita.

E chissà che Maria, incontrata a Parigi il 6 giugno 1944, giorno dello sbarco degli Alleati, non sia tra le sue ragioni di vita, anzi la sua ragione di vita. Lei è nata a La Coruña, in Spagna, il padre, Santiago, è stato l’ultimo Presidente del Consiglio spagnolo prima dell’insurrezione di Franco. Albert è solo a Parigi, impegnato nella Resistenza, sua moglie Francine Fouret è in Algeria. E quando la moglie lo raggiunge, i due amanti si separano, per ritrovarsi casualmente a Saint Germain nel 1948. E da quel giorno non si lasceranno più. Daranno vita a uno di quegli “amori eccezionali” che vediamo solo nei film, sufficientemente forti per vivere senza illusioni in un triangolo, legati l’uno all’altra “come i legami della terra, dell’intelligenza, del cuore, della carne” (A. Camus). 
Scrive il filosofo nel giugno 1944: “Sono così felice Maria. Come è possibile (...). Allo stesso tempo sono trafitto dall’amarezza – partirai, la tristezza nei tuoi occhi, mentre mi lasci. Adesso vai, non ti staccherò gli occhi di dosso”.

Nonostante le difficoltà nel potersi incontrare, visti anche gli impegni di Maria nel cinema, che la vedono spesso cambiare residenza, il loro legame si fa via via più forte e leggero allo stesso tempo: “Vorrei usare una lingua mai usata prima per parlarti” scrive lei. Vivono poco insieme, trascorrono gran parte della loro vita lontani, eppure “I giorni che abbiamo vissuto insieme, mi sembra possano giustificare una vita” (A. Camus). 

Un amore il loro in cui non c’è orgoglio, nessun ricatto emotivo, nessun gesto che possa offendere, il privilegio di riposare l’una nell’altro. Un amore spesso triste, ma troppo forte per farsi ostaggio degli impedimenti: la vita familiare di lui che nel frattempo ha avuto due gemelli con Francine, e il lavoro di lei che la porta un po’ ovunque, e che la impegna a non “tracimare” la sua vita in una fedeltà che eccederebbe la sua esistenza. Maria si impegna a vivere nella separazione. Bella, colta, ironica, raffinata, per non soccombere, esagera negli impegni. Il loro epistolario è ricco di episodi quotidiani, di cose “banali” come il cibo cucinato, risate condivise, e fondamentale, di una condivisione di intenti.

Catherine Camus, che ha trovato le lettere del padre dopo la sua morte a causa di un tragico incidente d’auto nel 1960, scrive nella prefazione dell’edizione originale: “Grazie a tutti e due. Le loro lettere fanno la terra più vasta, lo spazio più luminoso, l’aria più leggera, semplicemente perché loro sono esistiti”. Insieme lo scrittore geniale e l’attrice bella e talentuosa hanno vissuto “una verità che pochi esseri umani avrebbero la forza di sopportare”.




Riferimenti bibliografici:

Albert Camus Maria Casarès, Correspondence (1944-1959), Gallimard, 2020.

Albert Camus Maria Casarès, Saremo leggeri Corrispondenza (1944-1959), traduzione di Camilla Diez e Yasmina Mélaouah, Bompiani, 2021.

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