POETICO ACCESSORIO - Claudia Olivero - In verità, tutte le cose piccole sono belle

 

Claudia Olivero


Il titolo è una citazione alla quale mi sento ultimamente piuttosto affine, in poesia. È tratta dalle Note del guanciale della poetessa di corte Sei Shōnagon (965-1025 ca.).

A lungo mi sono chiesta cosa avrei scritto in questo articolo di Poesia accessoria, dove l’aggettivo accessoria non si riferisce alla poesia come arte, bensì al posto in cui (ahimè!) essa è relegata.

Intanto, fino a qualche giorno fa, l’autunno sembrava essere arrivato un po’ troppo presto, con un susseguirsi di giornate dagli sfondi grigi…non solo dal punto di vista meteorologico. Appena è uscito un po’ di sole mi sono spogliata di tutto e ho provato a ricordare com’è essere in un luogo altrove.

Non dovrei, non si dovrebbe, è per questo che fioriscono corsi di mindfullness: per farci tornare nel presente. Eppure la poesia è proprio lo strumento ideale per creare e vivere altri mondi: paralleli, inventati, ritrovati.

C’è tuttavia una piccola forma poetica, sotto tanti aspetti simile alla pratica della consapevolezza di sé, che riesce ad ancorare al qui e ora: una poesia che nasce nel passato e che grazie alla stabilità delle sue forme, con la semplicità dei suoi temi, attraverso la voce limpida dei suoi scrittori, dà serenità, aiuta a respirare ed è più che mai presente. Parlo dello haiku.

Sì, va beh, ma cosa sono in sostanza ‘sti haiku di cui ogni tanto parli? Non me l’ha chiesto proprio così, un amico, ma il succo era questo. Perché sono così brevi, perché hanno questa forma? E dunque, perché vale la pena leggerli, aggiungo io?

Oggi sembra che leggere poesia non valga la pena quasi mai, vuoi perché è eccessivamente complessa, o perché troppi la scrivono. Magari perché utilizza un linguaggio un po’ obsoleto, oppure perché la lingua scelta è talmente simile a quella parlata e le forme così libere, che quasi non sembra più poesia. Insomma, lo sappiamo, i motivi per non leggere poesia sono molti e sicuramente condivisi da tante persone.

Ma gli haiku, gli haiku...sono un piccolo gioiello prezioso in mezzo a un eccesso di sfarzo e bigiotteria.

In che modo, però, questi componimenti ci tengono legati al nostro presente, tanto più se sono stati scritti secoli fa? Credo grazie soprattutto alla loro rapidità, che consiste non solo nella brevità del componimento stesso, ma anche nella potenza delle immagini che lo caratterizzano: gli haiku non descrivono, ma trasformano delle impressioni in immagini. Ogni cosa all’interno di questi componimenti ha la sostanza di un’apparizione improvvisa. Ecco quindi che leggere haiku ha un po’ il sapore contemporaneo ed estremo di far scivolare sotto i polpastrelli le immagini su Instagram o Pinterest, una via l’altra, belle, colorate, affascinanti. In altre parole: perfette. E, soprattutto, senza filtri.

A beneficio dei più curiosi e dei nerd, prima di lanciarvi a capofitto nella lettura, sono anche andata a curiosare se per caso esistesse il manuale Haiku for DUMMIES e sì: c’è!

Breve guida per chi non conosce gli haiku:

Cosa sono: componimenti di tre versi, strutturati in 17 more[1], secondo lo schema fisso 5/7/5. Prevedono quasi sempre un riferimento alla stagione (kigo), col quale suggeriscono il colore del contesto.

Dove nascono: in Giappone.

Chi li ha scritti: gli haijin, in Giappone, ma in seguito anche molti poeti in occidente. Tra gli italiani va ricordato Andrea Zanzotto, senza dimenticare l’affinità del primo ermetismo di Ungaretti con questi componimenti.

I più famosi haijin giapponesi sono Matsuo Bashō, Kobayashi Issa e Masoaka Shiki.

Quando: la prima forma, dalla quale ha origine lo haiku così come lo conosciamo oggi, risale             all’XI-XII secolo, con il kusari-renga, componimento formato da strofe incatenate tra loro e declamate ognuna da un diverso poeta. Col passare del tempo, il primo emistichio[2], detto hokku, si staccò dal renga per diventare in seguito haiku. Era lo hokku a imprimere il tono dell’intero componimento, pertanto caratteristica degli haiku è essere brevi, ma intensi.

La maggiore fioritura di questi componimenti si ha intorno al XVII secolo.

Quali sono le caratteristiche principali: la natura è un tema centrale, declinata seguendo il corso delle stagioni. Spesso compaiono negli haiku le sue manifestazioni più infinitesimali, quelle meno adatte a essere cantate in poesia (i pidocchi, lo sterco, i mendicanti).

Non c’è rima, la potenza è data dal ritmo interno, dalle allitterazioni e dalle ripetizioni di suoni (kireji) che creano pause e talvolta trasportano emozioni (e che purtroppo non sempre si riescono a rendere nella traduzione in lingua italiana), nonché dal ribaltamento concettuale dell’ultimo dei tre ku (questo il nome dei versi), che spesso regala al lettore una piccola sorpresa.

Perché si scrivono: e già, bella domanda! Per questo consiglio la lettura di Haiku for DUMMIES.

 

***

Vola una farfalla

sono anch’io

come polvere

(Kobayashi Issa)

 

Questo mi piace moltissimo, perché, proprio come il battito d’ali di una farfalla, porta in un istante dalla riflessione sulla vita a quella sulla morte. Sempre mi aspetto da una farfalla in poesia un esito primaverile e felice, ma non posso dimenticare che anche la morte fa parte della vita. È infatti tipico degli haiku suscitare un senso di impermanenza, di eternità, quasi, che proietta in una dimensione atemporale perfetta per far cogliere pienamente il respiro del mondo.

 

***

 In cinque o sei

piangendo si intrecciano

i salici

(Mukai Kyorai)

 

Fiori di ciliegio:

sparsi si posano sull’acqua

della risaia

(Morikawa Kyoroku)

 

Lo haiku è una poesia di cose, non di idee, ma tuttavia ha una leggerezza tale da sembrare semplice. D’altra parte ciò che in poesia appare leggero, è sicuramente frutto del lavorìo più duro. Come nella danza.

 

Infine, prima di lasciarvi cullare delicatamente dalla voce senza tempo di alcuni componimenti, mi va di regalarvi ancora la delicata definizione che Roland Barthes, nel suo L’impero dei segni, dà di questa forma poetica e dei suoi compositori: lo haiku è lo spazio piccolo di una conchiglia in cui si sente il rumore del mare e lo haijin è l’arpa eolica che si lascia suonare, interferendo il meno possibile con la sua stessa arte. Un’idea di creazione semplicemente magnifica!


Posologia: silenziare il telefono, disattivare tutte le notifiche, seppellirlo sotto qualche cuscino e dimenticarsene a lungo. Ripetere la lettura più di una volta.


Di Matsuo Bashō (1664-1694)

sera:

tra i fiori si spengono

rintocchi di campana

 

è primavera:

una collina che non ha nome

velata nel mattino

 

silenzio:

graffia la pietra

la voce delle cicale

 

l’ombra di una vecchia

che piange sola,

la luna per compagna

 

il mare si fa nero:

le voci delle anatre,

oscuramente bianche

 

chiacchiericcio

tra i nidi dei passeri

e dei topolini

 

un guscio

di cicala, svuotatasi

nel canto

 

Di Kobayashi Issa (1763-1828)

l’allodola

del mio villaggio: non la vedo,

ma so che canta

 

vapori:

nella luce della luna

un inizio di primavera

 

in questo mondo,

frenesia anche nella vita

della farfalla

 

si sveglia

e sbadiglia, il gatto;

poi, l’amore

 

anche per le pulci

è forse lunga la notte

e solitaria

 

in questo mondo

contempliamo i fiori;

sotto, l’inferno

 

villaggio di montagna:

il plenilunio d’autunno arriva

nella mia zuppa

 

perle di rugiada:

in ognuna vedo

il mio villaggio

 

Di Masoaka Shiki (1867-1902)

brezza leggera:

dentro il verde di mille montagne

un tempio solo

 

convalescenza:

stancarsi gli occhi

contemplando le rose

 

torri di nubi:

verso sud volano

vele bianche

 

solitudine:

i fuochi d’artificio che fioriscono -

dopo, cade una stella

 

ombre d’alberi -

e la mia ombra che si muove

nella luna invernale

 

capodanno:

tra cielo e terra

inizio d’armonia

 



Breve bibliografia disordinata:

https://brooksbookshaiku.com/MillikinHaiku/courses/globalSpring2005/JoanneWhaikuForDummies/index.html (29/9/24)

Haiku e sakè, in viaggio con Santōka, Susanna Tartaro, add editore

Haiku – Il fiore della poesia giapponese da Bashō all’ottocento, a cura di Elena Dal Pra, Mondadori

Haiku – For a season/ Per una stagione, Andrea Zanzotto, Mondadori

https://mantovastoria.it/2019/08/26/haiku-quando-la-poesia-e-densa-un-bel-libro-di-andrea-zanzotto/ (24/09/24)



[1] In fonologia, una mora è un'unità di suono che determina la quantità di una sillaba, la quale a sua volta, in alcune lingue, determina l'accento. (da Wikipedia)

[2] In metrica classica, si intende per emistichio una cesura del verso.


Commenti

  1. Ho letto in silenzio questo contributo bellissimo. Tesoro prezioso, dono delicato che giunge da chi non conoscevo. A volte, le parole, come i suoni, come le stagioni creano Intrecci meravigliosi. Grazie Claudia, con tutto il mio cuore per il tuo poetico accessorio (che diventa necessario) e per la tua delicatezza.
    Annalisa

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    Risposte
    1. Grazie a te, Annalisa, per aver letto con il cuore queste poesie e le mie parole

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