L'INGRATO - David La Mantia - Perder tempo è bellissimo

 

David La Mantia



Seduto pacificamente senza far nulla 

viene la primavera 

e l’erba cresce da sola

Poesia Zen

 

Mi sveglio con in bocca il sapore di un sogno, di cui non ricordo nulla di davvero significativo. 

Ero a scuola e cercavo di perdere tempo con i compagni per non essere interrogato. 

Si parlava della gita, del brutto tempo, dei termosifoni che non funzionavano. 

Perdere tempo è un'arte. 

Era bello perdere tempo, allora. E perdere tempo è forse la cosa in cui ho ancora più talento, sin da quando sarei dovuto impazzire sui libri prima dell'alba per cambiare il mio destino, ma preferivo stare qualche minuto di più a letto, con i gatti che mi correvano sopra. 

Anche oggi, non sono cambiato. Spreco me stesso con ostinazione, con la consueta destrezza. E se c'è da fare una cosa la rimando, la posticipo, cerco persino di dimenticarla. 

Forse è un modo di opporsi al mondo, alla sua disperata efficienza, all'idea di riuscire sempre e comunque. Forse è un atto politico. Forse sprecare se stessi è l'unica cosa che non possono toglierci. 

Sono padrone di una libertà che è rinuncia, che è approssimazione, improvvisazione. Sono irregolare da sempre e un lottatore sconfitto dalla nascita. 

Forse perdere tempo è uno stato d'animo, nemmeno una scelta. Forse c'è una ragione profonda, che giace, da qualche parte, dentro il rimosso, l'inconfessabile. 

O forse sono un banalissimo pigro depresso.

È tempo di chiudere. Lo faccio con una poesia di una poeta amatissima, per cui perder tempo diventa addirittura mestiere, forse il mestiere dell'artista. 


Che forse non è questo il mio mestiere?

Perdere tempo, questo è il mio mestiere,

e il bello è perdere quel che non si ha.

Ho perso tempo e certo non l’avevo

ma io perdendo prendo, anzi ricevo,

lusso supremo, la mia immortalità.

Altro non voglio infatti che essere immortale

qui in questa terra essere immortale, sospesa

in mezzo al tempo non più mio, esposta

e già finita, chiuso animale che certo

non risorge, giocando alle parole solo l’inizio.


da Patrizia Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi, 2006, pag. 36



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