L'INGRATO - David La Mantia - "Grigio"

David La Mantia


 “E' così che sono gli uomini! Ingrati e mai soddisfatti. Quando li respingi ti odiano perché li respingi; e quando li vuoi ti odiano lo stesso, per qualche altra ragione. Oppure senza nessuna ragione, solo perché sono come bambini capricciosi, mai soddisfatti, qualunque cosa ottengano...”

David Herbert Lawrence

"L’ingratitudine dell’ospite: questa è piuttosto di non salutare al mattino chi a sera ti ha dato da mangiare e da bere e benevolo ha riso dei tuoi scherzi. È di non sentirsi come in casa propria."

Franco Fortini, L'ospite ingrato

 

Nemico lettore, io sono un ingrato.

Vivo in una società che non mi piace, non sopporto la Natura, il mare mi terrorizza, il sole mi brucia la pelle, mi acceca. Le formiche mi pungono, le zanzare non mi fanno dormire.

Ogni strada della città in cui vivo mi ricorda uno sputo di sangue di mia madre, un cedere di mio padre, l'impossibilità di vivere come gli altri. Essere ingrati nei confronti della mia città, di G., è quasi un dovere morale, una scelta etica. L'ingratitudine è ciò che devi essere.

Vivo in una società che mi ha nutrito, mi ha educato, mi dà la possibilità di scrivere questo.

Ma non sono più nemmeno un ospite, come pensava Fortini. Perché oggi distinguere la mano che apre la porta e quella che la chiude é impossibile. Perché oggi oppressi ed oppressori mangiano insieme allo stesso tavolo, mai uguali, ma con le stesse forchette, con gli stessi cibi surgelati e riscaldati, le stesse attese davanti agli ascensori, gli stessi abiti di viscosa, lo stesso sorriso, lo stesso gesto vuoto, lo stesso scatto degli occhi.

L'ingratitudine deve essere attiva soprattutto nei confronti di sé stessi. Se si è operato per gli altri, deve nutrire il rimpianto di non avere utilizzato quel tempo e quelle forze a proprio favore. Se si è fatto qualcosa per se stessi, lavorare per renderne il giudizio negativo, per nutrire l'insoddisfazione.

E così io canterò il canto dei contabili che comprano viaggi a rate, che rateizzano la loro vita, che rateizzano i sogni, i figli, la morte. Canterò il canto dei dipendenti pubblici, dello loro giornate uguali, del grigio dei loro occhi, del loro sentire grigio, pensare grigio, di una polenta grigia. Canterò le anime perdute dei becchini, le anime folgoranti dei commercialisti. Canterò la folgore che cancella le foglie d'erba.

Qualcosa canterò. Fosse anche il gatto avvelenato dal troppo cibo, il bimbo riempito fino a scoppiare dai genitori previdenti.

Qualcosa canterò. Magari il silenzio.


Commenti

  1. " Perché oggi oppressi ed oppressori mangiano insieme allo stesso tavolo, mai uguali, ma con le stesse forchette, con gli stessi cibi surgelati e riscaldati, le stesse attese davanti agli ascensori, gli stessi abiti di viscosa, lo stesso sorriso, lo stesso gesto vuoto, lo stesso scatto degli occhi."

    Non mi pare. A Gaza vedi istraeliani e palestinesi mangiare "insieme allo stesso tavolo"? Ma anche da noi....

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  2. L'immagine metaforica di oppressi ed oppressori che mangiano insieme è quella che mi è piaciuta di più. Per me quel tavolo è lunghissimo e i commensali possono anche non vedersi nemmeno, ma usano la stessa tipologia di 'apparecchiato' ed il cibo disponibile è quello, standard, che le catene commerciali propongono...ed anche coloro che sono rimasti senza un posto anelano ad aggiungersi a chi è già seduto...

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  3. Se rimaniamo nel mondo occidentale la metafora funziona eccome, pensando al rapporto tra Nord e Sud del mondo non funziona più.

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    1. Anche rimanendo nel mondo occidentale la metafora falisifica la realtà: questo tavolo unico non esiste e ci sono vistose differenze nei consumi (oltre che nei conti in banca). Senza dimenticare che se anche fossero tutti a usare le stesse forchette, cibi surgelati ecc. i produttori di forchette e cibi surgelati non sono tutti. ( Ricordarsi di Brecht: Compagni, parliamo dei rapporti di produzione! ).

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