FIGLI DI VENTIDUE STELLE - Sergio Daniele Donati - Impressioni di fine inverno su una poesia di Mario Luzi

 

Sergio Daniele Donati

Natura


La terra e a lei concorde il mare

e sopra ovunque un mare più giocondo

per la veloce fiamma dei passeri

e la via

della riposante luna e del sonno

dei dolci corpi socchiusi alla vita

e alla morte su un campo;

e per quelle voci che scendono

sfuggendo a misteriose porte e balzano

sopra noi come uccelli folli di tornare

sopra le isole originali cantando:

qui si prepara

un giaciglio di porpora e un canto che culla

per chi non ha potuto dormire

sì dura era la pietra,

sì acuminato l'amore.

(Mario Luzi)


Più volte mi sono incontrato, e altrettante scontrato con questa poesia di Mario Luzi. E sempre ho percepito una mia tensione a volerne dire, scrivere, senza peraltro riuscirci. Ne è risultato una mia sorta di onda di ritorno che ogni tanto mi riporta su questo lido a cercare tracce dei motivi di questa mia attitudine verso una poesia di uno fra i miei autori di riferimento.

Sì perché quando il tema è la Natura a me sorge spontanea, e non solo con Luzi, una sorta di reazione che mi fa percepire come assurdo e inutile lo iato tra uomo e natura stessa.

È come se mi dicessi che percepire la natura come un corpus a noi estraneo su cui discettare mi trova spaesato e inutile. Inutile la mia presenza, in altri termini, ecco.

Ma non in questo caso perché a ben vedere questa poesia parla tanto del mio mondo da lasciarmi senza parole, quasi fosse descrittiva di un mio personale rapporto con le cose.

Leggo in quell’esordio in cui terra e cielo primeggiano in concordanza tra loro un’assenza e non so dirmi quale. Poi chiudo gli occhi e penso alla Genesi biblica e alla prima Avdalà (atto di separazione) in cui il creatore divide le terre emerse dalle acque.

E, da sempre, sia leggendo il testo sacro che questa poesia mi chiedo perché nessuno parli mai del dolore e dello strazio di quella separazione, tanto simile a un parto in cui, certo, si generano due vitali entità, ma a quale costo?

E quel passaggio degli uccelli che, per certo pensiero ebraico, avrebbe anche la funzione di farci percepire come delle piccole fessurazioni nella unità dei cieli.

Un uccello passa e divide in due il cielo così che, nello spazio vuoto che crea tra i due, noi si possa porre la nostra esigenza di rondine e comprensione, tanto nevroticamente umana.

E di quella naturalezza con cui Luzi riesce a passare con estrema nonchalance dal riposo che dona l’apparire della luna, all’ineluttabilità della morte su un campo io resto totalmente ammaliato.

Sì, perché della morte si può parlare come un dato di fatto, come di un esistente, così come della luna che, forse, è esse stessa anche simbolo di ciò che è incapace di donare luce propria al mondo.

Nella morte di quel verso ci ritrovo la fatal quiete di foscoliana memoria e forse, sì, per scambi epiteliali di memorie, anche leggendo Luzi in me (…) dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

In Luzi poi chi non dorme incontra la pietra. Nella Bibbia Giacobbe dorme su una pietra e fa il sogno della scala degli angeli. E benedice quella pietra con il nome Bet El (Casa della Trascendenza, della divinità).

Ecco il testo:

11 Capitò in un certo luogo dove passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, la pose come suo capezzale e si coricò lì. 12 Fece un sogno: una scala appoggiata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; ed ecco gli angeli di Dio, che salivano e scendevano per la scala. 13 L'Eterno stava al di sopra di essa, e gli disse: “Io sono l'Eterno, l'Iddio di Abraamo tuo padre e l'Iddio di Isacco; la terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza; 14 e la tua discendenza sarà come la polvere della terra, e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione; e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. 15 Ed ecco, io sono con te, e ti guarderò ovunque tu andrai, e ti riporterò in questo paese; poiché io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho detto”. 16 Appena Giacobbe si svegliò dal suo sonno, disse: “Certo, l'Eterno è in questo luogo e io non lo sapevo!”; 17 ebbe paura, e disse: “Com'è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!”. 18 Allora Giacobbe si alzò la mattina di buon'ora, prese la pietra che aveva posta come suo capezzale, la eresse come pietra commemorativa e vi versò dell'olio sulla cima. 19 E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora, il nome della città era Luz.

Allora nella mia folle visione mi verrebbe da dire al caro poeta Luzi che dura non è la pietra ma l’assenza di sogno e l’incapacità di santificare e di trovare casa all’Eterno e al Sacro nel più piccolo elemento naturale.

Ma non posso dirlo perché quel verso finale, quel “sì acuminato l'amore” mi trafigge il cuore salterino che mi ritrovo, e taccio, commosso, perché non è più natura, ma vita quella spada che ognuno di noi sente nel costato, spesso come il più grande dei doni... Anche quando non c’è più.





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