Anna Spissu - La lingua misteriosa della poesia VI

 

Anna Spissu



Recentemente sono stata a un Poetry Slam e fra i concorrenti c’era una poetessa che ha proposto al pubblico una poesia partecipata. La cosa funzionava così: lei recitava la sua poesia inserendo fra i versi la frase “basta (con una certa cosa)!”. Quando alzava la mano il pubblico doveva gridare la stessa frase. A un certo punto siamo arrivati a “Basta con le metafore!”. Anch’io, come tutti, ho gridato “Basta con le metafore!”: quando si gioca bisogna seguire le regole del gioco.


Poi però quelle parole mi sono restate dentro: io non ce l’ho affatto con le metafore, la frase mi aveva procurato un certo fastidio eppure la poesia recitata conteneva un grido di dolore che non poteva essere ignorato, così ho cominciato a ragionare sulla lingua misteriosa: esisterà forse un futuro lontano (o vicino) nel quale le metafore verranno bandite dalle poesie? Le metafore nella poesia sono davvero inutili e obsolete? In fin dei conti cosa c’era veramente dentro al grido “Basta con le metafore”?

Io credo che il vero contenuto di quel grido fosse rappresentato dalla ricerca della verità delle cose. In termini semplici la questione era questa: a cosa serve saper scrivere ardite e magari bellissime metafore a discapito del fatto di mettere in versi la realtà, anche con la sua crudezza e la sua sofferenza? Può esistere una poesia che ne faccia a meno a vantaggio di un impatto comunicativo- emozionale più forte e immediato? Si trattava, come avrete capito, di un grido di dolore.

Per dipanare la matassa partirei da un dato di fatto della poesia contemporanea o almeno di buona parte della poesia contemporanea: la contaminazione delle forme diciamo “tradizionali” della poesia con la prosa ha ridotto l’uso delle metafore. 

Intendiamoci, questa contaminazione non è affatto indolore e sono consapevole che esistono molte voci critiche a riguardo: la mia opinione, che ho espresso più volte, è che non ci vedo nulla di strano nel fatto che diverse forme di poesia possano coesistere pacificamente come d’altronde fa la musica che abbraccia il canto lirico, il rock, il pop, ecc.  Tra l’altro, curiosamente (ma la cosa non mi sorprende), pare che anche la prosa cominci a mostrare una piccola crepa, speculare a quella della poesia. 

Non è questo l’argomento che voglio trattare qui ma a, titolo di cronaca, cito “Marta era rimasta carsica” dal romanzo “Chi dice e chi tace(1) di Chiara Valerio finalista al Premio Strega 2024. Una delle frasi criticatissime perché, dicono, non se ne capisce il significato, cosa senz’altro vera se si prende in mano il vocabolario, un po’ meno vera se si guardasse la cosa attraverso la lente visionaria della poesia. 

Ma torniamo alle metafore. Curiosando in rete m’imbatto in un saggio intitolato “Contro le metafore(2) di Patrick Facciolo, nel quale l’autore sostiene che le metafore in politica sarebbero “inattuali” in quanto col passare del tempo non sarebbe più possibile ricordare a chi erano riferite. In un articolo di “Italia Oggi” del 2018, Diego Gabutti riporta un estratto del saggio “Social Change and History(3) del sociologo americano Robert A. Nisbet, il quale sostiene che “se le metafore si sostituiscono alla realtà finiscono per diventare pericolose avvelenando il pozzo della conoscenza”.

Penso che qui siamo arrivati al nocciolo della questione anche in poesia: le metafore sono potenti per questo in un certo senso “temibili”.

A mio avviso poco importa se oggi nessuno ricorda più bene a chi si riferisse la metafora “smacchiare i giaguari” o “pettinare le bambole”, certo un politico non la userà più ma nella comunicazione fra i comuni mortali queste parole mantengono la loro forza comunicativa, certo al di là delle convinzioni politiche di ognuno.

In che cosa consiste dunque la potenza della metafora? In questo: “sfiorano l’inesprimibile, tessendo trame di significati intorno alla percezione dell’universo”.

Per dirla ancora con Milan Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere(4): le metafore sono una cosa pericolosa. Con le metafore è meglio non scherzare. Da una sola metafora può nascere l’amore”.

In pratica la metafora, in quanto poiesis cioè creazione trova nuove vie per proiettarsi oltre il reale e permettere in modo più semplice e intuitivo di comprendere sia il reale che il mondo immaginario e immaginato.

Tutto ciò che è potente contiene in sé (anche) il carattere di pericolosità. Proviamo a considerare la metafora una pistola (odio le armi, ma qui servono solo per un esempio). Se la stessa fosse difettosa, il colpo non partirebbe e la pistola sarebbe inutile. Lo stesso per la metafora, anche in poesia. Nel gridare “abbasso le metafore” avrei gridato volentieri, in aggiunta, “abbasso le metafore inutili” che sono quei giri di parole ben costruite, magari al momento di qualche effetto, come la vista di una pistola, ma che non “sparano”, non aggiungono nulla né alla conoscenza del reale né dell’immaginato e/o immaginabile. In questo senso: “abbasso le metafore! (vuote)

Già Aristotele parlava della metafora soprattutto come uno strumento di conoscenza (5).

Nella vita “non poetica” certo non penso sfugga che la capacità di costruire metafore efficaci non è esente da processi manipolativi della realtà e bisogna stare attenti perché la comunicazione basata su elementi percettivi mostra immediatamente una cosa che, solo in seguito, valuteremo come vera oppure manipolativa. Anche in questo senso: “abbasso le metafore! (manipolative)”.

Tornando all’argomento principale di questa breve nota, la metafora in sé mantiene intatto il suo valore assoluto di elemento immaginativo/reale e la poesia, da sempre, ne è un veicolatore potente e privilegiato, capace di spalancare altri mondi nei quali immedesimarsi o sentirli come propri: il vero vulnus è l’uso che se ne fa.

Bastano poche righe, due parole accostate insieme per comprendere come la lingua misteriosa della poesia sia capace, tramite le metafore, di dirci qualcosa che muova il nostro mondo emozionale e lo amplifichi di nuove esperienze. Se ciò non accade si trattava di una pistola giocattolo oppure rotta.

L’elenco poetico a dimostrazione di ciò è ovviamente infinito. Qui sotto trascrivo pochissime righe tratte da “Favoletta per la mia bambina” di Umberto Saba:

Tu sei la nuvoletta, io sono il vento

Chi, nella vita, ha o ha avuto il privilegio di essere a contatto con dei bambini saprà immediatamente quali mondi spalanchino queste semplici metafore.




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Riferimenti:

1. Chi dice e chi tace”, Chiara Valerio (Sellerio Ed.)

2. “Contro le metafore”, Patrick Facciolo (Amazon)
 
3. “Social Change and History”, Robert A. Nisbet

4. “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, Milan Kundera ( Adelphi Ed.)

5. In “Aspetti conoscitivi della metafora in Aristotele”, Umberto Eco in Doctor Virtualis

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