Viola Bruno – Por límite el cielo (Unico limite il cielo)
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Viola Bruno |
Ho incontrato Madrid, in una fredda primavera.
Aveva indosso un abito leggero talmente azzurro da poter immaginare che quel colore sia stato inventato proprio lì.
E fiori colorati tra i capelli, una voce
bellissima e profonda, volteggiava sui suoi tacchi, spargendo profumi
inebrianti tutt’intorno. Me ne sono innamorata al primo sguardo.
Questa storia inizia così e ancora una volta
parla di Bellezza…“Vorrei per altro, o
lettor mio, offrirtela; pulita e ignuda, senza l'ornamento di un prologo, e
spoglia dell'innumerabil caterva degli usitati sonetti, epigrammi, od elogi che
sogliono essere posti in fronte ai libri; e ti so dire che sebbene siami costato
qualche travaglio il comporla, nulla mi diede tanto fastidio quanto il fare
questa prefazione che vai leggendo. Più volte diedi di piglio alla penna per
iscriverla, e più volte mi cadde di mano per non sapere come darle principio…”[1]
Inizierò allora da uno dei simboli di questa
terra, l’Ingenioso hidalgo del
geniale Miguel de Cervantes e poi
passerò tra i fiori, rose di ogni tipo, camelie e narcisi, squarci di cielo tra
grappoli di nuvole ed una musica, perché
https://youtu.be/pUR2QxLJRE8?feature=shared
“C'è
bisogno soprattutto
d'uno
slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi
a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho
promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso…”
(Francesco Guccini – Don Chisciotte)
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(Monumento a Cervantes in Plaza de España)
Continuerò con illustri impressioni a supportare
l’inevitabilità di questo mio amore improvviso: “A Madrid l’aria è diversa. La sua luminosità, a volte, acceca l’anima
per farci vedere più chiaramente le cose”, diceva Roberto Bolaño, ed anche
Ernest Hemingway: “A Madrid non c’è
bisogno dei costumi nazionali; non importa che generi di edifici costruiscano:
per quanto l’edificio in sé possa rassomigliare a uno di Buenos Aires, quando
lo vedete contro quel cielo capite che è Madrid. Anche se non ci fosse altro che
il Prado, varrebbe la pena passarvi un mese ogni primavera.”
Dello stesso avviso Miguel Mihura, drammaturgo madrileno precursore del teatro
dell’assurdo: “Perché Madrid, in realtà,
non è niente di speciale. Non ha un grande fiume. Né importanti grattacieli. Né
canali o laghi. Né gloriose rovine. Né il mare. A Madrid mancano molte cose.
Però ha la gente per le strade. Ha angoli inattesi. Ha la varietà. Il contrasto.
L’animazione costante. E i suoi costumi. Vale la pena levarsi presto – per una
sola volta – per vivere un giorno la vita di Madrid.”
Ebbene sì, potete fidarvi: Madrid possiede quel
“non so che”, che sia magia o sortilegio, che ti cattura e ti fa sentire “suo”,
dal primo istante.
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(El Oso y el Madroño, simbolo di Madrid, a Puerta del Sol)
… cerco quella linea che fa tremare un uomo nella sala di un museo…
“Amo
ogni tuo ciglio, ogni tuo capello, ti combatto in candidi corridoi
dove
si giocano le fonti della luce,
ti
discuto in ogni nome, ti strappo con delicatezza di cicatrice,
a
poco a poco ti metto nei capelli cenere di lampo e nastri
assopiti
nella pioggia.
Non
voglio che tu abbia una forma, che tu sia esattamente
quello
che viene dietro la tua mano,
perché
l’acqua, pensa all’acqua, e ai leoni quando si
sciolgono
nello zucchero della fiaba,
e
ai gesti, architettura del nulla,
le
loro lampade accese a metà dell’incontro.
Ogni
domani è l’ardesia su cui ti invento e ti disegno,
pronto
a cancellarti, non sei così, neppure con quei capelli lisci,
quel
sorriso.
Cerco
la tua somma, il bordo del bicchiere in cui il vino si fa
luna
e specchio,
cerco quella linea che fa tremare un uomo
nella
sala di un museo.
E
poi ti voglio bene, nel tempo e nel freddo.”
Prendo in prestito questi meravigliosi versi di Julio Cortázar per rivolgermi a Lei,
Madrid, in questa dichiarazione d’amore verso il suo fascino sfumato ed
inspiegabile, trattenendo poi l’immagine finale per raccontare della mia full immersion - tre giorni di apnea nella bellezza - nei suoi grandi musei: El Prado, Reina Sofía e Thyssen-Bornemisza.
Vi ho trovato esattamente quella linea: ho
provato quel sentimento di tremore dell’anima dinanzi alla potenza di una
bellezza tale da non poterla sopportare.
Non ho saltato neanche una delle opere esposte,
ne sono uscita con gli occhi rossi ed il cuore estasiato, straripante.
Ho contemplato Guernica proprio nel giorno in cui fu realizzato da Picasso, 87 anni prima, per rappresentare l’orrore dei bombardamenti nazisti sull’omonima città. In una sala gremita e raccolta nel messaggio che l’imponenza e la straordinarietà dell’opera (quasi 8 per 3,5 metri) sono state in grado di trasmettere così chiaramente e gravemente ai visitatori.
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(Pablo Picasso, Guernica, 1937)
Ho pianto incredula dinanzi ai più grandi
artisti di tutti i tempi, alle loro opere immortali, quelle che da sempre
ospitiamo nel nostro immaginario, che abbiamo conosciuto sui libri: trovarsele
di fronte fa tremare, letteralmente, per qualcosa che ci appartiene nel
profondo e di cui non ci sentiamo degni. Ed è gioia, gioia pura da ringraziare
il cielo che ti ha portato lì, in quel preciso istante.
Ho incontrato Raffaello, Caravaggio, Beato Angelico, Rubens e poi Dalì, Mirò, Magritte, Goya (che
emozione le sue due Maya e le sue pinturas negras!!). La genialità fuori
dal tempo di El Greco, il simbolismo
straripante dei trittici di Bosch,
solo per citarne alcuni, e poi, al Thyessen
Bornemisza, gli Impressionisti, Van
Gogh, Monet, Degas, fino all’arte Moderna, da Mondrian a Fontana a Kandinskij,
persino il mio amato, silenzioso, Hopper
(quello che forse mi ha fatto più emozionare, per quel muto grido dell’anima
immobile ed arresa dinanzi all’esistenza).
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(Edward Hopper, Hotel Room, 1931)
Ho poi attraversato il Paseo del Prado, il “Viale dei musei”, proseguendo per il Barrio de Las Letras, dove visse, tra i
tanti letterati menzionati ad ogni angolo (da Lope de Vega a Quevedo a
Góngora), anche Miguel de Cervantes Saavedra,
da cui ho scelto di farmi accompagnare al piccolo trotto in questa bella
passeggiata fino al cuore della città, a Plaza
Major, coi suoi Musei del Jamón (Musei
del prosciutto, vero orgoglio nazionale!), assaggiando tutte le tipiche delizie
all’interno dei tanti mercati gastronomici della città, a partire dal Mercado de San Miguel, paradiso delle tapas nella sua splendida architettura
in ferro del primo Novecento.
Arrivando fino a Palacio Real, si rimane colpiti
dall’enorme area verde alle sue spalle, quasi come se lì la città si fosse
fermata, per proseguire poi attraversando Plaza
de España, fino ai quartieri della movida, Malasaña e Chueca.
Incontro qui il Teatro de Flamenco de Madrid, che mi cattura e mi investe con l’anima passionale di
questa città delle meraviglie.
Visitare un paese, per me, significa viverlo
nella sua fibra più pura, assaporarne ogni lato, prestargli tutti i sensi. Il flamenco è l’anima vibrante della
Spagna, un mezzo vivo per narrarne le storie, attraverso i gesti, le mani, i
piedi che scandiscono inequivocabilmente il ritmo, la voce, la musica, in
ritratti inconfondibili, unici, in grado di generare un’onda travolgente che non
può che scuoterci nel profondo.
“ll flamenco
è un potere misterioso che tutto il mondo sente e che nessuna filosofia spiega…
Un potere e non un modo di fare, una lotta non un pensiero… Non è questione di
capacità, ma di stile vivente… Non è nella gola, sale dall’interno a cominciare
dalla pianta dei piedi.”
Sono parole di Federico García Lorca, che dal flamenco
era abitato, tanto che a quest’arte dedicò anche due sue opere, Romancero Gitano e Poema del cante jondo (“cante jondo” significa “canzone profonda” ed è uno stile vocale del flamenco), a cui molti artisti a loro volta si
ispirarono, trovando nelle sue poesie, nel sentimento di amore e disperazione
che le abita, così rappresentative della storia della sua terra, l’ideale
espressione in questo avvicendarsi di baile,
musica e cante.
https://youtu.be/PxOTqoWcTdw?si=5aWiLr3m-LAi1zgh
“…
Sotto un arancio la candela
è
piena di cotone,
le
foglie sono verdi
e
l'amore è viola,
Oh
amore, oh amore, oh amore,
sotto
un arancio in fiore.
L'acqua
del fosso
era
piena di sole,
e
nell'olivo
cantava
un passerotto,
oh
amore, oh amore, oh amore,
Sotto
un arancio, un fiore.
È
stato lasciato morto per strada
con
un coltello nel petto
e
nessuno lo conosce.”
(Camaron de la Isla - Homenaje a Federico –
Bulerías)
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(Teatro de Flamenco de Madrid)
Proprio con l’intento di assorbire ogni
sfumatura di questa esperienza, di trarne quanto più incanto possibile, ho
camminato respirando a pieni polmoni l’atmosfera magica di ogni angolo di
Madrid, muovendo ancora dalle parole di Cervantes, consiglio e monito prezioso:
"Chi
non sa godere della fortuna quando gli si presenta, non si deve lamentare se
poi gli sfugge."
È una benedizione quando ci si trova illuminati
dalla lucidità del qui ed ora, dal sentirsi presenti a sé stessi, nel momento
esatto in cui raccogliamo la bellezza tra le mani, riuscendo a trattenerla il
più possibile.
“Quando siete felici, fateci caso”,
suggerisce anche Kurt Vonnegut: è
questo ciò che ci farà dire un giorno di aver vissuto appieno, di poter
chiudere, comunque sia, il bilancio in positivo. Per non aver sprecato le belle
occasioni, anche fossero state pochissime nell’arco di un’esistenza, ma averle
sapute riconoscere e benedire.
Solo questo ci farà dire sì, ho vissuto, il mio
unico limite è stato il cielo.
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La Roselada del Parco El Retiro
La poetà che rivela l'Anima di una città straordinaria!
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